21 maggio 2008

Intervista a Lucetta Scaraffia: "Il sacro va in scena" (Silvia Guidi per l'Osservatore)


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Intervista a Lucetta Scaraffia

Il sacro va in scena

di Silvia Guidi

Una sacra rappresentazione che va in scena tutti i giorni dalla fine del Quattrocento a oggi, un "Gran teatro montano", come lo chiamava Giovanni Testori, che ripercorre per immagini la vita di Cristo, il mistero dell'Incarnazione e la nascita della Chiesa, ma anche le mille sfumature del dolore umano, la fatica del cammino, il peso della croce, l'incomprensibile potenza del male, la certezza della speranza nei volti degli apostoli e delle donne che non abbandonano Gesù neanche dopo la sepoltura e saranno le prime testimoni della sua vittoria sulla morte. Un percorso umano, troppo umano per attirare l'attenzione degli storici dell'arte fino alla metà del secolo scorso, che bollavano la poesia espressionista di Gaudenzio Ferrari e Tanzio da Varallo come "pupazzi da presepe". Indifferenza ironica, quando non esplicito disprezzo: "Il Sacro Monte è un'assurda esposizione di statue dipinte e vestite nello stile di Madame Tussaud, ma molto inferiori ad esse, anche se i soggetti sono di natura sacra" scriveva nel 1855 il pittore inglese Sir Charles Lock Eastlake - all'epoca direttore della National Gallery - dopo aver visitato il monumentale complesso di Varallo.
Di opinione opposta lo scrittore Samuel Butler, che restò affascinato dalla forza espressiva della "Nuova Gerusalemme" della Valsesia pensata da padre Bernardino Caimi nell'ultimo ventennio del Quattrocento come un pellegrinaggio virtuale in Terra Santa, più difficile da raggiungere dopo la conquista musulmana. La rassegna Imago Veritatis, l'arte come via spirituale, tre giorni di conferenze, pellegrinaggi, mostre, concerti, lezioni e visite guidate d'autore dal 13 al 15 giugno, è stata ideata proprio per recuperare un aspetto oggi completamente censurato dell'esperienza artistica, il suo valore di viaggio terrestre e celeste, e far tornare il Sacro Monte un "cammino dello sguardo" - così il biblista Ignace de la Potterie definiva la fede - alternativa possibile al turismo mordi e fuggi che desertifica l'esperienza del visitatore in una serie di cartoline banali e fotogrammi senza senso.
"La nostra realtà è costruita da immagini invadenti, ma prive di consistenza propria, a cui vogliamo dare noi un significato, negando che ce l'abbiano di per sé", spiega Lucetta Scaraffia, docente di storia contemporanea all'università La Sapienza di Roma. Resta da stabilire se si tratta di un'acquisizione di libertà o se ci stiamo allontanando irreparabilmente dalla realtà. Il progetto Imago Veritatis vuole andare in controtendenza, per offrire un'occasione inedita: quella di fare un'esperienza spirituale dell'arte, e non limitarsi a una sua percezione estetica. Per questo sono stati scelti una lettura diversa e nuova delle opere d'arte e un luogo, Varallo, che per la sua particolare storia si rivela come particolarmente adatto a questo percorso. Il Sacro Monte, infatti, incarna proprio la certezza che le immagini possano ricreare la realtà storica della storia sacra, possano rendere la complessità del mistero, possano far sentire ai visitatori - che qui si chiamano pellegrini - la consapevolezza che la storia sacra è una certezza della quale vengono fatti partecipi attraverso la loro emozione e la loro memoria".

Per secoli il Sacro Monte è stato considerato arte di serie B; perché questo disprezzo per la fisicità della sacra rappresentazione e per tutto ciò che è umano, quotidiano, "popolare"?

"È una posizione nata dallo scientismo, dalla presunzione di dominare la materia attraverso la scienza, che separa corpo e anima. È una sorta di nuovo manicheismo, nel nostro caso la fisicità non è identificata con il male, il corpo deve essere bello, efficiente, perfetto, ma è completamente soggetto alla nostra pretesa e al nostro capriccio, per cui svilito e privato di senso. Staccato dall'anima diventa manipolabile e fragile anche se apparentemente sembra essere al centro dell'interesse della persona. Gli affreschi e le statue del Sacro Monte sono arte popolare di altissimo livello artistico ma con un fine didattico esplicito, insegnare la vita di Cristo al popolo; è questa la funzione primaria della Gerusalemme terrestre e celeste della Valsesia. La mia bisnonna era una contadina piemontese, abitava nelle campagne vicino ad Asti e il suo unico viaggio fu proprio al Sacro Monte, quando era ancora una bambina. Il suo commento al ritorno fu: "È successo proprio davvero". Ecco qual è il fine del complesso monumentale che si arrampica sulla parete rocciosa che sovrasta Varallo, documentare la realtà dell'Incarnazione. Il fine didattico teologico è sempre stato esplicito, mentre ai critici d'arte di solito interessa recuperare solo la funzione estetica. Il problema del Sacro Monte, anzi, la sua principale qualità, è che non lo puoi trasformare in un museo, la sua evidente struttura religiosa lo rende meno "digeribile" dalla cultura dominante rispetto ad altri capolavori, come ad esempio la Cappella Sistina, che spesso viene staccata dal suo senso, esaminata e commentata a prescindere dal tema che narra. In un certo senso si può parlare di una nuova iconoclastia della nostra epoca, secondo cui la vera religiosità è solo interiore, è un fatto privato che deve essere programmaticamente privo di segni esteriori. Così la fede si protestantizza e progressivamente si ritrae dalla realtà. È un modo sottile ma molto efficace per farla scomparire più facilmente. Un po' meno facile è far scomparire un complesso imponente come la cittadella di Varallo: quarantacinque cappelle con pareti affrescate, oltre ottocento statue in legno e terracotta, giardini, strade, mura. Il Sacro Monte non è spostabile, non solo materialmente, ma anche dal punto di vista del suo significato".

Cos'è che il visitatore non deve assolutamente perdersi a Varallo?

"La cappella della Crocifissione in cui la pittura diventa scultura, ci sono cavalli in rilievo, per metà scolpiti e per metà dipinti. Purtroppo adesso è chiusa dai vetri per motivi di conservazione, ma un tempo era possibile passare in mezzo alle statue ed entrare a far parte concretamente della sacra rappresentazione, sperimentando la contemporaneità della presenza di Cristo. Nel dolore ma anche nella resurrezione; l'itinerario è stato costruito in modo che anche dalle stazioni più dolorose sia sempre visibile il traguardo finale della vittoria sulla morte".

Un modo di concepire la preghiera in linea con la tradizione più alta della Chiesa cattolica: sant'Ignazio di Loyola consiglia di visualizzare le scene della vita di Cristo, Teresa d'Avila esorta a pregare davanti a un'immagine sacra, incenso, paramenti d'altare e arredi preziosi simboleggiano l'infinita bellezza di Dio...

"La storia dell'arte è la disciplina più secolarizzata in assoluto, la dimensione estetica ha oscurato tutte le altre. Ma è successo anche il contrario: troppo spesso la Chiesa ha ridotto a semplice pratica devozionale il pellegrinaggio al Sacro Monte senza rendersi pienamente conto del valore artistico delle opere di Gaudenzio Ferrari, Tanzio da Varallo e degli altri pittori e scultori che hanno lavorato a un cantiere artistico rimasto attivo per secoli. Ma questo forse è spiegato anche dalla disposizione geografica: la Valsesia è tra Milano e Torino, la Svizzera è vicina, Varallo è stato anche un baluardo contro la Riforma". Oltre che "un'urgenza di vita in atto, un teatro che ha la forza di trascinare continuamente a sé nuova vita e nuova morte", come scriveva Testori.

(©L'Osservatore Romano - 21 maggio 2008)

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