2 maggio 2008

Legge 40 sulla fecondazione artificiale, Roberto Colombo: "Norme imperfette ma che non vanno stravolte" (Osservatore)


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Norme imperfette ma che non vanno stravolte

di Roberto Colombo

La legge 40 del 2004 - che disciplina in Italia gli interventi di assistenza alla procreazione (inseminazione in vivo), di fecondazione artificiale (fertilizzazione in vitro) e di manipolazione e trasferimento in utero dell'embrione umano - è un dispositivo di norme imperfette, sia sotto il profilo morale sia per quanto concerne alcuni aspetti biomedici e clinici. Ciò non di meno, essa ha visto impegnati cattolici e non credenti - durante il lungo processo sociale e politico di redazione e approvazione - nel tentativo di "limitare i danni di una tale legge" e "diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica" (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 73).
D'altra parte, anche talune disposizioni pratiche di ordine biotecnologico e clinico-assistenziale presenti nella legge sono difettive, in particolar modo quando non contemplano un percorso inequivocabile per affrontare e risolvere tensioni che possono sorgere tra la necessità di favorire lo sviluppo di ogni embrione umano generato in vitro, senza discriminazioni genotipiche o fenotipiche, e quella di tutelare la salute della donna e rispettare l'incoercibilità dell'accoglienza in utero del concepito da parte di essa.
Le precedenti Linee guida della legge, previste dall'articolo 7 della medesima e frutto di una Commissione ministeriale ad hoc, avevano sinora assolto il compito di garantire l'attuazione di quanto disposto dalla legge 40 circa "i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito" (articolo 1 comma 1). Esse prevedevano già il caso in cui, dall'indagine osservazionale dell'embrione (di tipo non invasivo, che tutela pienamente la vita e l'epigenesi del concepito), "vengano evidenziate gravi anomalie irreversibili dello sviluppo" che richiedano di informare i genitori ai sensi dell'articolo 14 comma 5 della legge. La diagnosi sull'embrione in vitro è concessa se - come ogni altra onesta diagnosi clinica - essa ha come finalità la tutela e la promozione della salute, in questo caso quella del concepito e della madre, e, comunque, non implica rischi sproporzionati per il soggetto coinvolto. Il medico, comunicato l'esito della diagnosi osservazionale, può imbattersi nel rifiuto categorico e inappellabile della coppia (o anche della sola donna) al trasferimento comunque in utero, di fronte al quale non gli resta che mantenere in coltura l'embrione, intrinsecamente incapace di completare il suo sviluppo, "fino al suo estinguersi" (Linee guida, 2004). I genitori, il medico e il biologo assistono impotenti al concludersi prematuro della vita del concepito: una morte imprevedibile, questa, che non è preordinata alla nascita esclusivamente di un figlio sano, né conseguenza di un atto diagnostico invasivo e discriminante rispetto alle "qualità" del nascituro.
Diverso e di segno opposto è l'orientamento impresso all'applicazione della legge 40 dalla nuove Linee guida per quanto concerne la composizione dei "diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito" (articolo 1, comma 1). Partendo da una estensione, scientificamente e clinicamente ingiustificata, del concetto diagnostico di "sterilità" e "infertilità" alle coppie che - pur potendo generare naturalmente un figlio - non si avvalgono della potentia coeundi et generandi per timore di un contagio venereo o per escludere l'evenienza della nascita di un figlio malato, il decreto ministeriale ha inteso appellarsi alla eventualità di "interventi [sull'embrione] aventi finalità diagnostiche e terapeutiche" prevista dal legislatore all'articolo 13 (commi 2 e 3). In realtà, anche a prescindere dall'ammissibilità della procreazione medicalmente assistita nei soli "casi di sterilità o di infertilità" - definiti in riferimento a "cause impeditive della procreazione" (articolo 4, comma 1) e non in base a timori di contagio o anomalie genetiche presenti nella coppia - la finalità diagnostica e quella selettiva (eugenetica negativa) risultano di fatto, anche se non di principio, inseparate. Non essendo praticabile, allo stato attuale della ricerca in terapia genica e cellulare, nessuna correzione di difetti genomici che fornisca, nella fase precoce di sviluppo dell'embrione, garanzie di efficacia e sicurezza individuale - vi è un generale e solido consenso internazionale circa la inaccettabilità etica degli esperimenti di terapia genica germinale e pre-differenziativa nell'uomo - l'unico scopo per il quale viene invocata la diagnosi citogenetica e genetico-molecolare prima dell'impianto è quello selettivo. Scopo eugenetico che, sebbene escluso di principio sia dal testo della legge (articolo 13 comma 3b) che dalle nuove Linee guida, può essere di fatto deliberato e attuato attraverso il rifiuto della donna, in nessuna forma giuridica escludibile, del trasferimento in utero dell'embrione su cui è stata eseguita la diagnosi.
La ragione pratica ci porta a "ritenere leciti gli interventi sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di salute o alla sua sopravvivenza individuale" (Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Donum vitae, I, 3). Alla luce della retta ragione scientifica e clinica questo non appare essere attualmente il caso corrispondente alla diagnosi genetica sull'embrione in vitro, e non risulta, dunque, giustificata l'introduzione di questa procedura nell'ambito della materia disciplinata in Italia dalla legge 40.

(©L'Osservatore Romano - 2-3 maggio 2008)

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Finalmente un commento autorevole alle nuove linee guida:nel leggere cerco speranzoso l'entusiasmo e l'approvazione per i progressi e le importanti correzione di una legge imperfetta. Innanzi tutto il primo punto delle novità: l'estensione all'accesso alla pratica della PMA a quelle coppie impedite nell'avere un figlio dal rischio reale di contagio(della partner e del nascituro) di malattie sessualmente trasmissibili, in particolare HIV ed epatiti B e c, malattie gravissime e di facilissimo contagio. Nell'articolo trova spazio solo in poche righe, ne sembra si giustifichi tale estensione, e si parla di queste coppie come di coppie che "pur potendo generare naturalmente un figlio" non lo fanno per "timore di un contagio venereo": espressione piuttosto riduttiva se si considera che comprende il rischio reale di trasmissione del virus dell'HIV, e molto poco rispettosa nei confronti di chi, sieropositivo, si trova impedito nei fatti a realizzare il desiderio di paternità.
Il discorso, ambiguo e facilmente fraintendibile, è così strutturato: "Partendo da una estensione ...il decreto ministeriale ha inteso appellarsi...". Ovvero si stabilisce una correlazione stretta tra questa prima importante novità, e la seconda, che è quella che si presta maggiormente a perplessità etiche, quasi l'una scaturisse dall'altra, la selezione embrionale dall'estensione del concetto di sterilità. Questo è falso, non è contemplata nel decreto ne esiste una necessaria correlazione: la riduzione della possibilità di contagio del virus avviene prima della fecondazione, i gameti non sono portatori diretti del virus e quindi la pratica non richiede interventi direttamente su di essi ne tanto meno sull'embrione già fecondato; così anche per le malattie genetiche, che purtroppo non sono ancora incluse tra i fattori di sterilità effettiva, ma cui si accenna nell'articolo, possono essere prevenute attraverso la PCGD, diagnosi pre-concepimento, quindi non intervenendo sull'embrione. Per tanto viene da chiedersi perchè quella che rappresenta una nuova speranza per tante coppie, e che nulla ha a che vedere con l'eugenetica perchè non comporta selezione di embrioni, trova spazio in una sola frase e associata in modo fraintendibile alla parte invece più contestabile del decreto?
Per quanto riguarda la seconda novità, se pure condivisibile la preoccupazione per il rischio di favorire l'eugenetica negativa, non si fa completamente menzione del grave e doloroso fenomeno del turismo riproduttivo, delle considerazione di alcuni specialisti del diritto, ultimo il Tar del Lazio in gennaio sulla legittimità del divieto alle analisi pre-impianto, sia del paradosso che si crea con la legge per l'aborto, che di fatto permette quello che si vorrebbe impedire con la selezione degli embrioni, ma costringendo la donna ad affrontare più gravi conseguenze fisiche e psicologiche.
Essendo Roberto Colombo un'autorità in materia non è verosimile pensare a sviste o dimenticanze: ne consegue che si può qui parlare di attacco meramente politico, ed è vergognoso che lo si passi per il commento di uno specialista.
Uno Stefano profondamente rammaricato

Raffaella ha detto...

La legge 40 non si applica a chi puo' procreare naturalmente un figlio (art.4).
Questo e' il dettato e lo spirito delle legge. Le linee guida non possono in nessun caso oltrepassare la lettera della legge.
Si puo' criticare una norma non solo quando viola principi etici ma quando c'e' un rischio concreto di violazione, presente e/o futura.
Le maglie delle linee guida sono troppo larghe e l'interpretazione delle stesse rischia di essere rimessa alla discrezionalita' del giudice.
R.

Anonimo ha detto...

le coppie sieropositive vogliono un figlio?
fino a dove può arricare il desiderio di essere genitori a tutti i costi?