7 maggio 2008
Agnes Heller: "L'Occidente sta perdendo le virtù" (Molinari)
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Heller: l’Occidente sta perdendo le virtù
DA NEW YORK ELENA MOLINARI
Agnes Heller riceve l’ospite nella lobby dell’albergo di uno dei quartieri più bohemien New York. «La gente qui è più interessante che nei grandi hotel del centro, pieni di turisti. Qui almeno si può fare conversazione a cena», spiega scandendo le parole e marcando le consonanti – l’unica traccia di accento che le è rimasta da quando ha lasciato Budapest, nel 1977, alla volta dell’Australia e poi degli Stati Uniti. Ora la quasi ottantenne filosofa passa l’autunno a New York, insegnando etica ed esistenzialismo ai dottorandi della New School, e il resto dell’anno in giro per Europa ed Australia, tenendo lezioni e conferenze. Parlare con la gente e scoprirne le motivazioni la interessa da quando aveva 18 anni e abbandonò la fisica per studiare filosofia con il marxista György Lukács. Era il 1947 e due anni dopo l’Ungheria avrebbe abbracciato lo stalinismo, che si presentava come un’applicazione sociale del pensiero di Marx. Nel 1956 con l’esplodere della rivoluzione ungherese, Heller cominciò però il cammino prima di reinterpretazione poi di allontanamento da Marx che ha occupato buona parte del suo lavoro filosofico. A renderlo del tutto originale è l’intersezione fra studi sociali e morali, fra storia ed etica che trova origine nell’esperienza personale della filosofa.
Quali eventi hanno influenzato maggiormente la sua ricerca filosofica?
«Negli anni ’40, in Ungheria, sono passata dall’Olocausto a un regime totalitario. La mia ricerca da quel momento è stata dedicata a comprendere quegli eventi dal punto di vista morale.
Il totalitarismo sono riuscita a capirlo, l’Olocausto no. Come un essere umano possa fare qualcosa del genere ai suoi simili, senza odio personale o gelosia, è rimasto un mistero. La mia ricerca è sempre stata in due direzioni. Quella morale, o antropologica, per capire la radice del bene e del male, e quella sociale, o storica, che si chiede: che tipo di mondo è quello in cui si può sviluppare il totalitarismo, o un sistematico annientamento di altri esseri umani? La mia risposta è che questi due regimi non sono emersi da alcuna necessità storica. Entrambi sono in parte il risultato del 'peccato originale' della Prima guerra mondiale, ma non ne conseguono necessariamente. Ho però concluso che il totalitarismo è una forma di governo moderna, è un fenomeno della modernità».
Vede differenze fra fra totalitarismi secolari e religiosi?
«Non sostanziali. Entrambi sono il risultato di una perdita di credo fondamentali. Di quella che Sartre chiamava caduta nella libertà, ovvero nel nulla. Sono una reazione alla modernità».
Come definisce la modernità?
«Ha tre caratteristiche imprescindibili: il libero mercato, l’accumulo di conoscenza scientifica e tecnologica e la possibilità di inventare nuove istituzioni.
Nessuno di questi tre elementi può essere omesso perché una società sia effettivamente moderna».
Quali fondamenti abbiamo perso?
«Non ci muoviamo più su terreno solido. Il principio base della modernità è che tutti gli uomini sono nati liberi e uguali.
Ma non è una base solida. Le società tradizionali si costruivano sulla fede in Dio, nella provvidenza. L’Illuminismo ha distrutto questa fede come elemento condiviso della vita sociale. La modernità è la prima forma sociale nella storia che può essere riprodotta con o senza religione. Ora l’unica verità condivisa è quella della scienza».
Come nasce e che ruolo ha la moralità individuale in una società moderna?
«La scienza non pretende di avere alcuna autorità in campo morale. Siamo liberi. Quindi, persi. La scienza ci dice che l’unico motivo per esercitare autocontrollo individuale è quello della salute, e ci indica uno stile di vita basato su cosa ci fa bene o male. Questo è uno dei sostituti della morale. Ma si può ancora essere persone morali nella nostra società».
Come?
«Bisogna scegliere di esserlo. E conquistare da soli le virtù che rendono una persona 'buona', perché non sono più date per scontate. Alla fine la scelta è semplice: preferire subire un’ingiustizia al commetterla».
Possono modernità e religione convivere?
«Sì, lo si vede chiaramente in America, dove la religione, pur non essendo più l’unico fondamento della società, ha lasciato una forte impronta nel modo in cui la società è organizzata. Gli americani, per esempio, hanno un forte senso di comunità. Sono individualisti dal punto di vista economico, ma in ogni altro aspetto della loro vita danno forte importanza alla comunità e ai suoi riti, e se ne lasciano più facilmente influenzare rispetto agli europei. Inoltre gli americani hanno più fede.
Non solo in Dio, ma anche nella democrazia, nella libertà, rispetto agli europei che sono più cinici. In questo senso se la democrazia può essere considerata a rischio, lo è maggiormente in Europa, dove è solo una cornice all’interno della quale operare».
Visto che la modernità è una forma sociale relativamente nuova, sopravviverà?
«È impossibile saperlo. Possiamo avere solo intuizioni sul futuro basate sul presente. L’esempio lampante è Marx. Le sue previsioni basate sull’osservazione del presente erano esatte: la globalizzazione, l’accumulazione di capitale. Ma quando parla delle future forme di società, dice sciocchezze».
© Copyright Avvenire, 7 maggio 2008
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1 commento:
Cari amici, sarà un pò di stanchezza, l'età che avanza, non so, ma ho letto più di una volta quest'intervista alla Heller, e sinceramente non sono riuscita a capire molto delle sue conclusioni sulla sua visione del mondo. Ciò malgrado l'accuratezza della sua analisi " a monte" sulle caratteristiche del mondo moderno.
Certo, da un parte comprendo che non si può, con un'intervista, apprendere "in pillole" un pensiero filosofico. Ciao Carla
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