16 luglio 2008

John Waters: "L'utopia di una speranza sradicata dalla tradizione" (Tracce)


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Interventi

L'utopia di una speranza sradicata dalla tradizione

John Waters

La morte della scrittrice Nuala O’Faolain ha scosso l’Irlanda. Anche per le sue ultime parole. Un nostro amico giornalista ha raccolto quella provocazione. Partendo da ciò che vive lui

La morte di Nuala O’Faolain mi rattrista tanto quanto mi aveva commosso la sua ultima intervista. Negli ultimi vent’anni siamo stati colleghi e, in tempi più recenti, avversari ideologici. Di tanto in tanto ci siamo criticati aspramente, ma ormai tutto questo è acqua passata.
Mi ha commosso la sua lucidità riguardo alla disperazione. Nel corso degli anni, aveva saputo esprimere molte cose che normalmente a livello di coscienza vengono lasciate sotto la superficie; e, ormai prossima alla fine, ci è riuscita nuovamente. La cosa migliore che posso fare è riportare la definizione che ne ha dato Nell McCafferty: era come ascoltare il grido di un animale in una foresta.
Nuala ha parlato più volte a nome di una particolare generazione di donne irlandesi ma, in fondo, ha parlato a nome di diverse generazioni di irlandesi, uomini e donne, che avevano immaginato per se stesse un abisso come conseguenza dell’aver portato avanti l’ipotesi, sbagliata, che il genere umano potesse vivere senza Dio. La disperazione da lei espressa è la disperazione di una generazione che si era illusa di poter creare un’utopia della ragione, libera dagli impedimenti della tradizione e dal timore dell’assoluto.
La pienezza della nostra natura si svela solo nella totalità della nostra vita. Io non sono solo la persona che sono ora, ma anche la persona che sono stata e quella che potrei diventare, quella che invecchierà e infine morirà. Tuttavia, la nostra cultura cerca di nascondere questa verità, di fingere che la realtà si limiti alla giovinezza e alla sua sensazione di tutto conoscere e tutto potere.
È come se ci vedessimo solo nelle forme che abbiamo creato per noi stessi, negando l’ineluttabile realtà del nostro essere creature dipendenti in un ordine infinito.
Ciò che abbiamo abbandonato ha significato una perdita per noi stessi. Abbiamo festeggiato la nostra vittoria sulla tradizione come dimentichi di aver segato a metà il ramo sul quale sediamo.

Pieni di desiderio

Nella sua ultima enciclica Spe salvi, papa Benedetto XVI ha parlato della speranza: «L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze - più piccole o più grandi - diverse nei diversi periodi della sua vita. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell’instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e a una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. [...] Ma nel corso del tempo [...] ci si è resi conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me».
Questo è esattamente il nostro dilemma, che Nuala O’Faolain ha delineato con grande chiarezza da un’altra prospettiva. Alla domanda postale da Marian Finucane se credesse in un aldilà, lei ha risposto enfaticamente: «No».
Alla domanda se credesse in un Dio, ha replicato che questa era una questione diversa, ha proseguito poi parlando poeticamente del suo stupore di fronte all’ordine dell’universo, ma rifugiandosi infine in quella che mi è parsa una certezza ideologica, come se le opinioni da lei espresse precedentemente in pubblico le impedissero di parlare dei suoi attuali bisogni più profondi.
In quanto esseri umani, dentro di noi si agita una domanda, un bisogno, un desiderio, una supplica concernente la nostra vita, la nostra origine e il nostro destino.
Questa domanda esige una risposta. Non sappiamo cosa, in ultima istanza, desideriamo, ma sappiamo che, al pari di Nuala, siamo colmi di desiderio che la vita continui, che coloro che amiamo non siano perduti o dimenticati, che l’amore, la bellezza, la conoscenza proseguano e non muoiano mai. Sappiamo nella parte più profonda del nostro cuore che non possiamo essere redenti dalla scienza o dall’ideologia.
Nel corso delle ultime generazioni, abbiamo cominciato a chiuderci alla consapevolezza - vecchia di duemila anni e più attuale che mai - che l’equilibrio necessario alla sopravvivenza umana possa essere raggiunto solo con la prospettiva della trascendenza. Solo essa si accorda con i nostri bisogni più essenziali.
È questa la speranza più profonda del cuore umano, quella che sta dietro a tutte le altre.
È ciò che ci guida, ci protegge, ci stimola e, mantenendo il nostro sguardo fisso all’orizzonte, ci permette di superare momenti di difficoltà e di dolore estremi.
L’errore fondamentale di quest’epoca sempre più agnostica è credere che la religione sia qualcosa di imposto - qualcosa che proviene dall’esterno e mi plasma, mi opprime.

Struttura fondamentale

Ma la religiosità è il mio stesso essere, la mia relazione con l’intero ordine dell’universo. Io sono collegato a tutto ciò che è sempre stato e sempre sarà. Questo è ciò che mi tiene in vita, mi tiene collegato, tiene vivi in me gli umani desideri di bellezza, di verità, di giustizia, d’amore, di bene: di Dio.
Questa condizione precede la mia esistenza. Non posso scrollarmela di dosso. Posso negarla, ma ciò non cambierà la natura della mia struttura fondamentale, che è dipendente, che è creata, che è segnata da un unico destino e che è essenzialmente un mistero, forse soprattutto per me stesso.

Mendicanza

Fra le caratteristiche di questa condizione vi sono la dipendenza e la mendicanza - il mendicare. Ma il fatto che io sia un mendicante, stranamente mi rende meno timoroso, più equilibrato, più sereno. Sapere che, comportandosi con umiltà, è possibile rimanere connessi alla forza che mi ha creato, mi permette di salutare ogni giorno come un’avventura. Non vedo l’ora di svegliarmi e vedere cosa succede!
Ma là fuori, nel mondo, mi viene proposta un’idea diversa e attraente: che la speranza che mi guida può essere sradicata dalla tradizione da cui ho avuto origine e trapiantata nel mondo fisico, nella mia semplice esistenza terrena, e che ciò mi renderà più libero. È questa la grande menzogna dei nostri tempi. Può sembrare plausibile nei momenti felici e spensierati, ma quando mi imbatto nel dolore, o nella vecchiaia, o nella malattia, o nella morte, capisco - come ci dice papa Benedetto - che è un tipo di speranza fragile, che dipende dalle capricciose e incostanti capacità del genere umano.
Quale mai potrebbe essere la base su cui poggia l’idea corrente secondo cui la risposta alla domanda - che corrisponde all’umanità - possa essere un vuoto, un abisso, un luogo buio e deserto?
Sulla spinta dei più profondi desideri del cuore umano, come possiamo rifiutare la corrispondenza tanto rilevante e miracolosa che esiste fra la domanda del cuore umano e le risposte contenute nei Vangeli? Ritenere che tale corrispondenza alle nostre più profonde speranze sia una mera illusione, un gioco di prestigio, un’invenzione dell’intelligenza umana nel tentativo di ingannare se stessa, non è semplicemente inconcepibile, ma è di fatto insensato.
Per il cuore dell’uomo nutrire tali speranze e il fatto che queste siano infondate e illusorie, sarebbe un tradimento della natura di proporzioni ineguagliabili, mai riscontrato in natura. Questa è una società cattolica, il che significa che la sua stessa vita è fondata sulla tradizione, per quanto imperfetta, a noi nota come cattolicesimo. Noi, in quanto cristiani, crediamo che il Mistero, nella sua misericordia, si sia fatto carne e si sia rivelato quale risposta alla morte e alla disperazione. Cerchiamo di separare questo dalle macerie della pietà e dei giochi di potere, e vederlo per ciò che è: la nostra idea guida più vitale, la fonte della speranza-al-di-là-della speranza che, in quanto esseri umani, bramiamo e da cui dipendiamo.

(dall’Irish Mail on Sunday, 11 maggio 2008)

© Copyright Tracce, giugno 2008

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