29 settembre 2008

Sofia Vanni Rovighi: «San Tommaso spiega la pochezza del mio lume» (Osservatore Romano)


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«San Tommaso spiega la pochezza del mio lume»

Nel centenario della nascita di Sofia Vanni Rovighi, la rivista "Vita e Pensiero" ha pubblicato un inedito della filosofa dedicato alla bellezza della preghiera vissuta alla luce dell'insegnamento di Tommaso d'Aquino. Ne riportiamo la prima parte.

di Sofia Vanni Rovighi

Quando recito il Salmo 18, in cui si parla di cieli che narrano la gloria di Dio, di una parola di consegna trasmessa dal giorno al giorno successivo, di un sapere che la notte comunica alla notte perché non siano trasgredite le loro misure; ancora più, forse, quando nel Salmo 148 mi unisco alla lode di tutto l'universo, dagli Angeli alle bestie più paurose (i dracones della Vulgata), dai buoni alberi fruttiferi alla grandine che distrugge i loro frutti, e mi domando quale concezione del mondo si adatti alla mia preghiera, penso volentieri a san Tommaso, che non ebbe paura di assimilare quella visione aristotelica nella quale ogni cosa che mi sta intorno ha un suo valore e spessore ontologico - non è solo l'ombra proiettata sul fondo di una caverna - ogni cosa, dall'Angelo più sublime alla grandine e alla neve, ha una sua forma, un principio di intelligibilità, in virtù del quale essa può narrare a me la gloria di Dio e, a suo modo, lo può lodare. Quello che Aristotele non sapeva, e che san Tommaso imparò dalla Bibbia, a cominciare dal primo versetto della Genesi, è che ogni cosa in tanto è intelligibile e narra, riflette la gloria di Dio in quanto è stata creata da Lui e porta un sigillo, un'orma, un vestigium, come dicevano i medievali, della sua infinita intelligenza, e per questo può parlare a me di Lui, a me che porto un'orma più profonda, che sono di Lui imago, e posso non solo parlare ad altri di Lui (come fanno i cieli, le piante e gli altri animali) ma aver coscienza della mia lode e così, propriamente, pregarlo.
Sono ben inserita in questo mondo di cieli, di piante, di animali, in questo mondo sensibile, e ringrazio Dio di averci ispirato, nei salmi, una preghiera che fiorisce dalla contemplazione di questo mondo e che risponde così bene alla mia personale esperienza e a quella concezione dell'uomo e della sua situazione nel mondo che mi è offerta da san Tommaso. Il quale mi dice - con un'ardita teoria che non mancò di suscitare scandalo ai suoi tempi e che non è stata forse ancora assimilata dal pensiero cristiano, la tesi dell'unicità della forma sostanziale nell'uomo - che il medesimo principio per cui mi elevo alla contemplazione della verità, alla contemplazione di ciò che Dio mi ha rivelato di sé, è quello per cui ho un determinato temperamento, un determinato corpo con le sue forze e debolezze. E mi spiega così, ripetendomi mille volte che l'intelligenza umana è l'infima delle intelligenze, la pochezza del mio lume, la fatica che debbo fare per elevarmi alla sublime verità della infinita trascendenza di Dio - haec sublimis veritas chiama san Tommaso la frase con la quale Dio disse il suo nome a Mosè - ma spiega anche come io possa in certo modo dare voce alle creature inferiori all'uomo, o meglio: come io possa capire, interpretare la loro voce di lode, poiché questa umana intelligenza, l'infima delle intelligenze, fa un po' da cerniera fra il mondo dei corpi e quello delle pure intelligenze, degli Angeli.

(©L'Osservatore Romano - 28 settembre 2008)

A cento anni dalla nascita della filosofa Sofia Vanni Rovighi

La passionaria della verità

di Michele Lenoci

La prima generazione che, all'insegna della ripresa fedele e aggiornata del pensiero scolastico, ha costituito nell'Università Cattolica una scuola di filosofia intorno al fondatore, padre Agostino Gemelli, è formata da un piccolo ma affiatato e battagliero manipolo, in gran parte composto da sacerdoti: si tratta di Francesco Olgiati, Amato Masnovo, Emilio Chiocchetti, Giuseppe Zamboni e Umberto Padovani. Con loro si avvia un percorso teoretico e ha inizio una serie di ricerche storiografiche che caratterizzeranno i primi anni di vita dell'ateneo milanese e che lo imporranno all'attenzione e all'apprezzamento, non privo di polemiche, del mondo filosofico nazionale e internazionale. A partire dagli anni Quaranta vanno affermandosi progressivamente due personalità, Gustavo Bontadini e Sofia Vanni Rovighi, che hanno occupato la scena filosofica della Cattolica sino ai giorni nostri, dedicando cospicue pubblicazioni e una instancabile attività didattica, svolta sempre con passione e grande umanità, a intere generazioni di allievi e riscuotendo l'apprezzamento e la stima di molti colleghi, anche appartenenti a esperienze filosofiche assai diverse.
Il 28 settembre ricorre il centenario della nascita di Sofia Vanni Rovighi, nata a San Lazzaro di Savena nel 1908: una figura limpida nei pensieri e nei comportamenti, sommessa e discreta, quanto decisa nel sostenere le proprie convinzioni, argomentandole sempre con rigore e pacatezza; capace di apprezzare il valore dell'obbedienza, senza mai confonderla con l'accondiscendenza, supina solo perché inconsapevole o interessata; aliena da forme di esibizionismo e narcisismo, così diffuse anche tra molti validi esponenti del mondo accademico, ma estremamente coraggiosa e sempre pronta a esporsi di persona, incurante di finire in minoranza, anzi forse incoraggiata da una tale eventualità. La sua opera ha segnato per decenni la scuola filosofica della Cattolica.
Nell'ateneo milanese la Vanni è entrata matricola di filosofia e ha trascorso tutte le tappe della sua lunga carriera accademica, insegnandovi Storia della filosofia medioevale, Filosofia morale, Storia della filosofia e Filosofia teoretica: raccontando la sua esperienza universitaria, amava in particolare ricordare l'appoggio con cui padre Gemelli l'ha sempre accompagnata, in anni in cui per una donna non era facile affermarsi. Insieme, non dimenticava gli ampi spazi di libertà intellettuale che il fondatore le ha sempre assicurato, sicuramente apprezzando il carattere fiero e l'intelligenza cristallina di quella "gran donna", come un collega "laico" l'ha definita.
A tutta la filosofia medioevale la Vanni Rovighi ha rivolto la sua preferenza, e il suo interesse appassionato, con particolare attenzione ad Agostino e Anselmo, a Bonaventura e Tommaso, ai maestri francescani del xiii secolo. In un suo curriculum ha scritto: "Non ho mai smentito la mia formazione tomistica, dovuta a un maestro, Amato Masnovo, che mi mise subito a contatto con i testi di san Tommaso e non con le raccolte di tesi ad mentem Thomae. (...) Non mi sono mai sentita prigioniera di una filosofia elaborata sette secoli fa, perché più andavo avanti negli studi più mi persuadevo che le filosofie non sono geniali costruzioni incomunicabili fra loro, ma sono "avventure dello spirito in cerca della verità"". In queste righe è delineata l'impostazione della Vanni Rovighi: pur ritenendo essenziale fondarsi sempre su un paziente lavoro storico, fatto di una lettura diretta dei testi, anche di quelli meno noti e studiati, continuamente riafferma che i suoi interessi sono per la filosofia e per quel problema della vita che, anche alla luce dell'insegnamento di Masnovo, la riflessione filosofica aiuta a formulare rigorosamente e a risolvere, almeno nei suoi tratti fondamentali, in maniera giustificata. Proprio a questo scopo si volge al pensiero contemporaneo, per vedere se e in che misura le intuizioni dei medioevali possano trovare conferme o essere arricchite e approfondite da nuove e originali analisi, attraverso un dialogo onesto e alieno da presupposti ideologici di parte.
Con questo spirito incontra Heidegger - di cui segue alcune lezioni nel 1932 -, da lui risale a Husserl, per il quale ha sentito sempre una grande affinità, e a Brentano; studia Scheler ed Edith Stein, Hartmann e Sartre, dedicando a questi filosofi saggi che saranno pionieristici e particolarmente illuminanti. Si avvicina anche al neopositivismo logico e alla filosofia analitica anglosassone, per nulla scoraggiata dall'accentuato antimetafisicismo di queste correnti, giacché ritiene che la chiarificazione terminologica, l'esigenza di rigore concettuale, la capacità di argomentare le proprie tesi con rigore logico e l'esplicitazione di tutte le premesse possono costituire una base non solo utile, ma preziosa anche per un discorso che intende spingersi oltre la dimensione empirica, superando proprio quelle acritiche preclusioni e incoerenze che appesantiscono il discorso neopositivista. Né dimentica di indagare i classici del pensiero moderno, che della contemporaneità, dei suoi pregi e limiti, serbano molte e decisive premesse: e così accosta Galileo e la nascita della scienza moderna, Leibniz, Spinoza e Kant, Hegel e Marx e dalla loro lettura va sempre più convincendosi che "a uno studio pacato si rivelano erronee certe schematizzazioni, di anticristiani e di cristiani: e in special modo quella per cui "il" pensiero moderno sarebbe opposto a quello medioevale. Non c'è "una sola" filosofia medioevale e meno ancora c'è "un" pensiero moderno. Dico: meno ancora, perché tra le filosofie medioevali c'è una certa affinità che manca invece alla filosofia moderna. Ci sono filosofie moderne aperte al Cristianesimo (...) e ce ne sono di incompatibili col Cristianesimo: ce ne sono di metafisiche e di antimetafisiche".
Una così vasta conoscenza storica - di cui sono testimonianza la Storia della filosofia moderna e la Storia della filosofia contemporanea, nonché la Storia della filosofia medievale, da poco riedita - consente alla Vanni Rovighi di affrontare, sul piano teoretico, una serie di problemi, la cui trattazione andrà poi a costituire quegli Elementi di filosofia sui quali si sono formate intere generazioni di studenti e di sacerdoti, giacché per lungo tempo sono stati adottati (e talora continuano a esserlo anche oggi) presso molti seminari e facoltà teologiche. L'intento non sarà mai quello di elaborare un sistema chiuso e autosufficiente, con la pretesa di giungere a risultati esaustivi: la convinzione che la ragione sia guida preziosa e imprescindibile per l'uomo non è mai disgiunta dalla consapevolezza che essa è sempre limitata, capace sì di astrarre e di pervenire a conoscenze universali, ma destinata ad afferrare la realtà solo per aspetti parziali e continuamente perfettibili. Ad alcuni temi, in particolare, vengono dedicate analisi assai acute, quelle che costituiscono tappe fondamentali nel cammino della riflessione: la conoscenza come intenzionalità e concettualità universalizzante; la possibilità di affermare l'esistenza di un Dio intelligente e libero, muovendo dalla realtà diveniente, che non trova in se stessa la propria giustificazione; l'atto creatore, attraverso cui il mondo ha origine, rivelando le tracce di un progetto intelligibile, con l'uomo, che, inteso come imago Dei, può, almeno parzialmente, comprendere il senso e la verità delle cose; l'unità intrinseca dell'uomo, nel quale anima e corpo non costituiscono due sostanze separate, ma sono strettamente compenetrate, ancorché all'anima competa una sussistenza peculiare; l'etica, essenzialmente connessa con la metafisica, e mirante primariamente a determinare il fine dell'uomo, più che a postulare valori o a prevedere norme: un fine articolato e complesso, che si realizza attraverso la soddisfazione ordinata e coerente delle diverse componenti della persona umana, il cui destino, in modo solo apparentemente paradossale, trascende la naturalità, per attingere, attraverso un dono di grazia, la partecipazione alla stessa vita divina.
In questa riflessione, che è stata il percorso della sua vita, la Vanni Rovighi è sempre animata dalla passione per la verità, dalla convinzione che esista una Verità sussistente; insieme, non dimentica mai che quanto riusciamo a cogliere è solo un pallido riflesso di quella pienezza di luce, sempre inadeguato e infinitamente perfettibile. La ragione, che costituisce la miseria e la grandezza dell'uomo, potrà e dovrà essere trascesa, ma questo sarà l'ultimo, non il primo passo, giacché, come insegna Tommaso, Dio, che ha istituito la natura umana conferendole la razionalità, non sottrae a quella natura ciò che le è proprio e peculiare. Per questo motivo, il mistero è l'atmosfera naturale della nostra piccola intelligenza, mentre l'assurdo ne sarebbe la negazione più radicale e sarebbe contro natura. Sicché dobbiamo essere consapevoli della distanza tra il nostro modo di presentare la verità e la verità in se stessa, non esigendo mai per il primo quell'universale riconoscimento che è dovuto solo alla seconda.
Per descrivere il modo con cui ha affrontato le questioni filosofiche, il suo atteggiamento nei confronti dei classici e la sua maniera di leggerli e di insegnarli, si possono riferire alla Vanni Rovighi le espressioni con cui lei stessa, commemorandolo, ha delineato lo stile del suo maestro Amato Masnovo: "Metteva un impegno particolare nel dire quello che aveva da dire col minor numero di parole possibile, e nel mettere in luce piuttosto la verità di quello che diceva che la propria originalità nello scoprirlo, anche in questo seguace di san Tommaso, ed esempio a tutti noi".

(©L'Osservatore Romano - 28 settembre 2008)

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