26 settembre 2008

Scuola cattolica, fatto di giustizia: il pre-giudizio ne fa una riserva indiana (Paolucci)


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SCUOLA CATTOLICA, FATTO DI GIUSTIZIA

IL PRE-GIUDIZIO NE FA UNA RISERVA INDIANA

GIORGIO PAOLUCCI

Una volta le chiamavano 'le scuole dei preti'. E nell’immaginario collettivo di molti, lo sono ancora. La scuola cattolica? Una specie di ghetto dorato frequentato da gente benestante. Roba da ricchi, roba per pochi. Pregiudizi che crollano se confron­tati con la realtà.
Basterebbe fare un giro ne­gli istituti fondati per l’educazione del po­polo da tante congregazioni religiose e, sem­pre più numerose, da associazioni e coo­perative di famiglie: gli asili parrocchiali, i centri di formazione professionale – solo per fare due esempi tra i più noti –, ma an­che tante scuole elementari, medie e supe­riori. Una proposta per chiunque. Per i ric­chi e per i poveri. Perché l’educazione non è affare per pochi, ma necessità di tutti. Ed è un dinamismo che per mettersi in azione e per continuare a vivere ha bisogno della libertà, come un uomo ha bisogno dell’aria per respirare.
Senza libertà, l’educazione soffoca. Per que­sto, chi chiede libertà di educazione non di­fende un privilegio ma rivendica un sacro­santo diritto civile.
Lo ha ricordato ieri, per l’ennesima volta, Benedetto XVI ricevendo i rappresentanti della scuola cattolica: «È necessario che si abbia matura consapevo­lezza non solo della sua identità ecclesiale e del suo progetto culturale, bensì pure del suo significato civile, che va considerato non come difesa di un in­teresse di parte, ma come contributo pre­zioso all’edificazione del bene comune dell’intera società ita­liana».
Dal 2000 è stato in­trodotto in Italia il si­stema paritario che riconosce alle scuole non statali (che offra­no determinati re­quisiti) lo stesso ruo­lo riconosciuto a quelle di proprietà dello Stato. Tutte insie­me, con pari dignità, svolgono un servizio pubblico. Un riconoscimento sul piano dei principi, al quale però non ha fatto seguito un adeguato sostegno finanziario. Una spe­cie di medaglia al valore, che certo non al­levia la situazione di tanti istituti costretti a fare i conti con crescenti difficoltà di bilan­cio. Ogni anno lo Stato italiano risparmia 6 miliardi di euro grazie al servizio educativo prestato a un milione di giovani dalle dodi­cimila scuole cattoliche, alle quali eroga sol­tanto 500 milioni. E rari – quanto beneme­riti e profetici – sono i casi di Regioni che hanno imboccato la strada di un contribu­to economico alle famiglie. In definitiva i conti non tornano: questa parità è zoppa.
I conti non tornano nelle casse degli istitu­ti e di tanti genitori che spesso sopportano enormi sacrifici economici per pagare le ret­te di iscrizione e frequenza. Magari riman­dando nel tempo il cambio di un’automo­bile già vecchia, o risparmiando sull’abbi­gliamento, sulle vacanze, sulle spese di ca­sa. Si stringe la cinghia per un bene più gran­de: offrire ai propri figli un’educazione ar­monica con quella che viene offerta tra le mura di casa. È un privilegio, questo? O non è piuttosto il sogno di ogni padre e di ogni madre? Ci sono tanti modi con cui lo Stato può battere un colpo sul piano economico a favore di un sistema realmente paritario: intervenendo a favore dei singoli istituti, aiutando direttamente le famiglie o realiz­zando una politica fiscale che permetta – attraverso un sistema di detrazioni – di al­leviare il peso delle rette.

Ma al di là del legittimo dibattito sugli stru­menti più adeguati per realizzare una parità effettiva, c’è un «pre-giudizio» culturale col quale fare i conti: quello che guarda al mon­do della scuola cattolica come a una sorta di riserva indiana nella quale tenere confi­nata una parte della società italiana.

È tem­po di superare questo pregiudizio – e sa­rebbe un segnale di vera modernità –, pren­dendo atto di una realtà che racconta di mi­gliaia di insegnanti e dirigenti che lavorano per il bene comune. Che ogni giorno si spen­dono per mettere in campo risposte quali­ficate e piene di 'senso' a quell’emergenza educativa da tempo denunciata come il più insidioso virus che sta minando la nostra convivenza.

© Copyright Avvenire, 26 settembre 2008

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