29 settembre 2008

Violenze anticattoliche in India e Africa (nel silenzio dei media occidentali)


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Un anno alla guida dell'Osservatore Romano: intervista con il prof. Vian (Radio Vaticana)

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Riccardi: "Immigrati, il realismo della Chiesa" (La Stampa)

Roccella: "Sì al testamento biologico ma la volontà deve essere chiara". "Alimentazione ed idratazione non sono cure" (Pasolini)

Card. Bertone: Benedetto XVI non solo «occidentale» (Cardinale)

Il direttore della Caritas contro il giro di vite sugli immigrati. Vian: «Sono richiami bipartisan. I politici tirano la giacchetta» (Corriere)

India, persecuzioni anche in Tamil Nadu

DA BANGKOK STEFANO VECCHIA

Dopo Orissa, Karnataka e Ke­rala, un nuovo fronte anti­cristiano si è aperto nello Stato sudorientale del Tamil Nadu. Sospetti attivisti indù hanno dan­neggiato una statua di Gesù Bambi­no nella cittadina di Dharmapuram. Immediatamente è salita la tensio­ne tra le comunità religiose e la po­lizia è intervenuta a protezione di chiese, moschee e templi nelle ore notturne, proprio mentre dal confi­nante Kerala giungeva le notizia del danneggiamento, venerdì, delle ve­trate della cupola di una cappella as­sociata alla Cattedrale ortodossa di rito malankarico di san Tommaso a Karthigapally, infrante con pietre.
Quello di Karthigapally, è il quarto atto vandalico registrato finora in Ta­mil Nadu, dopo il danneggiamento giovedì di una statua della Madon­na nel distretto di Nagercoil, di un’al­tra statua nella chiesa di san Giu­seppe a Arapalayam nel distratto di Madurai, martedì, e il lancio di pie­tre contro una chiesa a Namakkal da parte di due indù, fermati. Come in Orissa e in Karnataka, dove la rabbia degli estremisti religiosi si è diretta indiscriminatamente contro i cri­stiani di ogni Chiesa o denomina­zione per la loro presunta politica di conversione, in Kerala e in Tamil Na­du gli attivisti hanno iniziato a coin­volgere nelle violenze i cattolici, e­stranei a qualunque attività di pro­selitismo.
Diversa la reazione politica: se in O­rissa e i Karnataka, i governi locali vicini al radicalismo induista sem­brano non rispondere nei fatti alle sollecitazioni del governo centrale di New Delhi perché cessino le vio­lenze, in Tamil Nadu, il primo mini­stro Karunanidhi ha avvertito che al­tri attacchi non saranno tollerati.
Stesso il tono dell’intervento del go­verno del Kerala, comunista, ma è un fatto che finora i responsabili de­gli episodi di vandalismo in questo Stato – incluso l’assalto a due chie­se preso l’aeroporto di Kochi – re­stano finora non identificati, men­tre va concretizzandosi l’ipotesi di un contagio integralista dal confi­nante Karnataka, con l’appoggio di indù locali che da tempo manten­gono alta la tensione con la comu­nità musulmana. Si è appreso in­tanto che sempre venerdì, ancora nel distretto di Kandhamal, nell’O­rissa, epicentro delle recenti tensio­ni interreligiose, fondamentalisti indù hanno assalito e dato alle fiam­me la casa delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta, nel villaggio di Sukananda. Come ri­ferisce
Asia News, verso le 11 di se­ra, una folla di 700 persone si è ri­versata per le strade – violando il co­prifuoco – e ha preso d’assalto la ca­sa da poco abbandonata dalle reli­giose.
I fanatici indù hanno distrut­to l’edificio e tutto ciò che lo circon­dava, inclusa la chiesa. Una violen­za che sembra inarrestabile, quella nel tormentato Orissa, con un nu­mero enorme di abitazioni incen­diate, decine di morti e almeno 50mila persone in fuga dai villaggi. Ieri le importanti vie di comunica­zione bloccate con tronchi e pietre da gruppi di indù che protestavano per l’uccisione di uno di loro da par­te della polizia sono state in parte li­berate, ma focolai di violenza si re­gistrano un po’ in tutto il Kandha­mal, dove gli oltre 600mila abitanti sono in maggioranza tribali cristia­nizzati.
Venerdì due episodi concomitanti e gravi. Un indù è rimasto ucciso da durante lo scontro tra una cinquan­tina di cristiani armati di coltelli, ba­stoni e pietre e un gruppo rivale nel­la città di Raikia. Contemporanea­mente, 500 indù distruggevano una cinquantina di abitazioni e due cen­tri di preghiera nel villaggio di Behe­rasahi senza fare vittime tra gli abi­tanti che erano fuggiti all’arrivo de­gli estremisti religiosi.

© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008

Africa

Le violenze sui cristiani «nascoste» dai conflitti

In Marocco il proselitismo è proibito dalle leggi, forti limitazioni restano anche nei confronti dei copti egiziani Nel nord del Sudan vige da anni la legge islamica Il tributo di sangue dell’Algeria

DI GIULIO ALBANESE

Una schiera numerosa di uomini e di donne – laici e consacrati – hanno testimoniato nei secoli la Buona Notizia respingendo ogni forma di odio e prevaricazione a qualsiasi latitudine. Nel continente africano, non meno che altrove, i cristiani anche oggi si trovano spesso ad affrontare situazioni difficili determinate da una molteplicità di fattori di ordine sociale, politico e religioso che in alcuni casi possono degenerare in vera e propria persecuzione o comunque in uno stato di aperta ostilità. È il caso di alcune comunità cristiane nei Paesi a maggioranza musulmana dove ad esempio, il dialogo interreligioso appare spesso come una sorta d’utopia, mentre i problemi derivati dalla mancanza di comprensione, dopo i tragici fatti dell’ 11 settembre 2001, acuiscono le differenze degenerando in violenze indiscriminate, unitamente al fenomeno migratorio che costringe i battezzati a trovare riparo in altri continenti. Per non parlare delle limitazioni imposte dai vari sistemi giurisprudenziali che riducono fortemente le facoltà dei cristiani nell’ambito lavorativo e più in generale del diritto civile. Sta di fatto che questi fenomeni, con varie accentuazioni e sfumature si riscontrano dal Marocco, dove la cristianità è ridotta ad un « piccolo resto » senza pretesa alcuna di proselitismo, tassativamente proibito dall’ordinamento vigente nel Paese; all’Algeria, terra di martiri avendo in questi anni la comunità cristiana pagato a caro prezzo con il sangue il suo tributo contro il terrorismo accanto alla popolazione inerme. Basti pensare all’eroico sacrificio di un missionario del calibro di monsignor Pierre Lucine Clavarie ucciso ad Algeri il 1° agosto del 1996 il quale nonostante le minacce dell’islamismo estremista aveva continuato a visitare le comunità cristiane, incoraggiando i fedeli ad operare per la pace. Anche nel « moderato » Egitto il cristianesimo copto è soggetto ai condizionamenti giuridici sanciti dalla Costituzione che pur garantendo la libertà religiosa, proclama l’Islam come principale fonte legislativa, condannando l’apostasia alla pari di un reato per alto tradimento. Sempre in questo Paese, considerato per certi versi filo- occidentale, la costruzione di un luogo di culto per i cristiani necessita di un lungo e spossante iter burocratico.
Particolarmente pesanti sono state le vessazioni perpetrate in questi anni contro i cristiani in Sudan dove fin dall’indipendenza i vari regimi che si sono alternati al potere hanno esercitato azioni coercitive nei confronti delle minoranze religiose, imponendo l’applicazione della legge islamica ( la sharia). Sempre in questo Paese, soprattutto negli anni Novanta, si sono verificati episodi di schiavismo, con la connivenza delle autorità locali, che hanno coinvolto prevalentemente le popolazioni nilotiche di tradizione animista, ed anche alcune componenti cristiane. Ma non v’è dubbio che la terra in cui cristiani hanno sperimentato i maggiori patimenti è la Somalia, un Paese « senza Stato » dal caduta del regime di Siad Barre nel lontano 1991. Qui l’intolleranza verso i cristiani si può far coincidere con l’assassinio del compianto monsignor Salvatore Colombo, vescovo francescano di Mogadiscio. Il 9 luglio 1989 un gruppo armato entrò nella cattedrale aprendo il fuoco contro il presule mentre si stava cantando l’Agnus Dei durante la celebrazione eucaristica.
Monsignor Colombo era unanimemente considerato il simbolo della Chiesa in Somalia. Aveva scelto di testimoniare il Vangelo promuovendo fattivamente le opere di carità per il bene comune di un popolo che si era sempre dimostrato amico. Successivamente, con l’estendersi della guerra civile, la Chiesa in Somalia, che comunque è sempre stata un piccolo gregge in un Paese a stragrande maggioranza musulmana, ha vissuto un vero e proprio accerchiamento. Era problematico anche uscire di casa per i missionari. La stessa cattedrale della capitale è stata più volte saccheggiata, per poi essere demolita e rasa al suolo.
La stessa sorte è toccata praticamente alla quasi totalità dei luoghi di culto cristiani presenti in altre località.
L’insicurezza ha determinato un vero e proprio esodo dei cristiani, famiglia dopo famiglia, chi alla volta degli Stati Uniti, chi in Canada, chi in Europa. Oltre a monsignor Colombo, hanno perso la vita in questi anni altri eroici missionari; l’ultima in ordine cronologico suor Leonella Sgorbati della Consolata, uccisa il 17 settembre del 2006 all’esterno del reparto di pediatria del « Villaggio dei bambini Sos » , assieme alla sua fedele guardia del corpo di religione islamica. In considerazione della diffusa insicurezza che regna a Mogadiscio e dintorni, un territorio che è stato paragonato dai cronisti di guerra ad una vera e propria Stalingrado africana, l’attuale amministratore apostolico di Mogadisco e vescovo di Gibuti, monsignor Giorgio Bertin, esclude, per il momento, la possibilità di un ritorno dei missionari stranieri in Somalia, non essendovi ancora le condizioni per garantire l’incolumità dei religiosi. Da rilevare comunque che sia in Somalia come anche in Sudan, dove le vessazioni contro i cristiani da parte degli estremisti islamici sono state maggiormente evidenti nella cosiddetta fase post- coloniale, lo « stile evangelico » dei missionari non è mai apparso intransigente, all’insegna di uno schierarsi in opposizione ai loro persecutori, tanto meno contro una religione. L’identità cristiana, basata essenzialmente sulla consapevolezza dell’impronta divina presente nell’animo umano, li ha sempre spinti a vivere lo spirito delle Beatitudini, offrendo le loro sofferenze per l’edificazione di una società rispettosa dei diritti fondamentali della persona.
Emblematiche le parole di monsignor Clavarie secondo cui la sua vita missionaria « dipendeva dalla capacità d’essere donata » . I cristiani in questa prospettiva dovevano comunque rimanere in Algeria e negli altri Paesi islamici perché andarsene « avrebbe sancito il rigetto definitivo delle nostre differenze » . Un altro Paese in cui certamente sono state riscontrate in questi anni tensioni tra cristiani e musulmani è la Nigeria dove però alcune sedicenti comunità cristiane di matrice fondamentalista hanno compiuto anch’esse vessazioni contro la comunità musulmana.
Differente invece è stato l’atteggiamento della comunità cattolica che ha sempre condannato il ricorso alla violenza sia degli estremisti islamici che delle sette evangeliche. Da rilevare che sempre in Africa le Chiese hanno a volte sperimentato una sorta di persecuzione per essersi schierate apertamente in difesa dei diritti umani, come espressione qualificata della società civile. Molto spesso una sorta di forza d’interposizione pacifica tra governativi e ribelli.
Straordinario l’esempio di monsignor Christophe Munzihirwa , arcivescovo martire di Bukavu ( ex Zaire), il quale denunciò fino alla fine le vessazioni perpetrate contro i civili dai militari ruandesi. Venne freddato la sera del 29 ottobre 1996 con un proiettile alla nuca.
La sua fede e quella di tanti altri martiri congolesi, ugandesi e di altre nazioni africane segna inequivocabilmente la « vittoria dei vinti » .

© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008

Egitto

Ibrahim, «bollato» per la sua religione: ma io continuo a pregare per la pace

Giulio Albanese

Da quando il giovane ha scelto il cristianesimo la sua vita si è fatta più dura: senza un lavoro e costretto alla semiclandestinità
I brahim è nato nel 1980 ad Ales­sandria d’Egitto e si è convertito al Cristianesimo un paio d’anni fa. I genitori di Ibrahim – il cui nome è fit­tizio per salvaguardarne l’incolumità – non lo hanno mai osteggiato nelle sue scelte, invitandolo però ad essere e­stremamente prudente. Da allora I­brahim ha sperimentato non pochi problemi nel suo Paese.
Su suggerimento del padre si è in un primo momento trasferito ad Isna, nel­l’Alto Egitto a casa di alcuni lontani pa­renti di fede copta. Nel dicembre del 2007 però il loro negozio è stato dato al­le fiamme da un gruppo di estremisti islamici ed Ibrahim ha pensato bene di allontanarsi per timore che la sua presenza, essendo un convertito, po­tesse creare problemi a terzi.
Successivamente si è trasferito al Cai­ro, a casa di amici, ma è ancora disoc­cupato. Si è infatti visto negare ripetu­tamente dal governo il permesso di po­tere modificare la religione nella sua carta d’identità. Purtroppo, la norma­tiva vigente esige ancora oggi che sia specificato il credo religioso nei docu­menti d’identità. Ibrahim non ha pau­ra di rischiare e sebbene via in uno sta­to di semiclandestinità si è adoperato con senno e discrezione in favore di al­tri cristiani che hanno subito altre ves­sazioni.
Finora, con l’aiuto di alcuni benefattori stranieri è riuscito a rima­nere in Egitto e spera prima o poi di ot­tenere un riconoscimento del suo sta­tus «cristiano» nella consapevolezza che la sua esistenza è nelle mani di Dio. «L’unica cosa che posso fare è pregare per la pace e la concordia nel mio Pae­se, ricusando ogni violenza».
Come dargli torto? Un’antica storia me­diorientale racconta di un viandante che incontrò un mostro nel deserto. I­nizialmente ebbe paura, ma riuscendo a scorgerlo più da vicino, s’accorse che era un uomo. Di lì a poco lo distinse ancora meglio e scoprì che dopo tutto non era così brutto come pensava. Al­la fine, quando lo scorse negli occhi, ri­conobbe suo fratello. Questo, secondo Ibrahim, vale per noi e per loro.

© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008

Somaliland, il sacrificio di Annalena «La mia è la miglior vita possibile»

Uccisa nel 2003, la Tonelli si era dedicata per 35 anni al servizio dei più deboli e dimenticati

Annalena Tonelli è stata una donna che ha vissuto il nascondimento e­vangelico, ripudiando come cristia­na ogni forma di violenza. Quando era in vi­ta quasi nulla trapelava della sua attività a fa­vore dei malati di tubercolosi, degli handi­cappati e degli orfani, dei malati mentali e delle donne mutilate. Meno ancora della fe­de solida che ne ha ispirato la vita, dell’Eu­caristia che portava nel taschino. Annalena voleva gridare il Vangelo con la vita, sulla scia di Charles de Foucauld.
Proprio perché credeva ardentemente nel­la donazione a Dio e ai più poveri tra i po­veri, amava ripetere che la sua era «la mi­glior vita possibile». È stata uccisa a Bora­ma, nel Somaliland, la sera del 5 ottobre 2003, dopo 35 anni di gratuità, a due passi dal piccolo ospedale che aveva creato per la cura della Tbc. Già nel 1971 aveva ottenuto da un vescovo del Kenya il privilegio di te­nere con sé la particola consacrata. Più tar­di, monsignor Colombo le concesse lo stes­so privilegio in terra somala. Un sacerdote andava di tanto in tanto da lei per celebrare la Santa Messa. Al termine dell’ultima euca­ristia a cui prese parte Annalena poco prima di morire, monsignor Giorgio Bertin, am­ministratore apostolico di Mogadiscio, le la­sciò in un purificatoio una parte dell’ostia grande con la quale aveva celebrato la Mes­sa.
Quell’ostia venne ritrovata qualche setti­mana dopo l’uccisione di Annalena, dentro un armadio, in un sacchetto di pelle morbi­da, insieme ad una croce francescana. Al­l’interno di un purificatoio c’era metà del­l’ostia consacrata, proprio quella che il pre­sule avevo lasciato. Era la sorgente dove at­tingeva la forza per amare a tutti i costi. ( G.A.)

© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008

LA PRESENZA

Oltre 355 milioni i credenti nel Continente nero

Gli appartenenti alla religione cristiana rappresentano poco meno del 40% del totale della popolazione africana. Si tratta di oltre 355 milioni di persone su un totale di 890 milioni di abitanti del Continente nero. Sono in maggioranza cristiane soprattutto le zone orientali, centrali e meridionali dell’Africa, mentre nell’Ovest i cristiani sono poco più di un terzo e nel Nord del continente solo il 5%. I fronti che restano caldi per gli episodi di intolleranza verso i cristiani sono quattro. In NIGERIA la presenza cristiana è forte soprattutto al Sud, mentre nel Nord prevalgono i musulmani, e diversi Stati anni fa hanno adottato la legge islamica. In totale i cristiani sono il 40% della popolazione nigeriana, i musulmani il 50%. In EGITTO il 90% della popolazione è musulmana, mentre i cristiani copti rappresentano il 9% degli abitanti e gli altri cristiani l’1%. In SUDAN la presenza cristiana è forte nel Sud e a Khartum, dove vivono ancora molti sfollati dalla guerra nel Sud. Ma a livello nazionale il dato si ferma al 5% degli abitanti. Nella Repubblica democratica del CONGO i cattolici sono il 50%, i fedeli protestanti il 20% e gli appartenenti alla religione islamica non superano il 10%.

© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008

3 commenti:

Anonimo ha detto...

"In Marocco il proselitismo è proibito dalle leggi, forti limitazioni restano anche nei confronti dei copti egiziani"

A Treviso sindaco e popolazione impediscono ai musulmani di ritrovarsi per poter pregare, a Milano i musulmani vengono dirottati da un quartiere all'altro perchè arrecano fastidio ma nessuno riesce a trovare un luogo in cui costruire una moschea.
La Lega ha fatto una proposta di legge condivisa pubblicamente (e ci mancherebbe) dal cattolico Borghezio che permetterebbe la costruzione di moschee ad almeno 1 km da qualsiasi altro luogo di culto e solo dopo un referendum comunale.
Insomma, tutto il mondo è paese ... purtroppo.

Raffaella ha detto...

Enno', c'e' una bella differenza!
In Italia tutti sono liberi di convertirsi dal Cattolicesimo all'Islam senza alcuna conseguenza per l'incolumita' delle persone.
In Italia non ci sono gruppi organizzati che distruggono moschee, scuole o case di islamici mentre la polizia sta a guardare.
C'e' una bella differenza...
R.

Anonimo ha detto...

"In Italia tutti sono liberi di convertirsi dal Cattolicesimo all'Islam senza alcuna conseguenza per l'incolumita' delle persone."
Manca solo la libertà di poter pregare il proprio Dio senza essere sbattuti da una parte all'altra o essere offesi da parte di rappresentante di una pubblica amministrazione, questo almeno in alcune città.

"In Italia non ci sono gruppi organizzati ..."
Io mi riferivo al "proselitismo" e alle "forti limitazioni" paragonando queste ad episodi avvenuti nel nostro Paese, mai parlato di stragi o di incendi di moschee (mi pare che in Italia le moschee "ufficiali" siano solo 3, visto che non le bruciano ma non le lasciano nemmeno costruire).