29 settembre 2008
Violenze anticattoliche in India e Africa (nel silenzio dei media occidentali)
Vedi anche:
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Intervista esclusiva di Andrea Tornielli a Mons. Georg Ratzinger: "Mio fratello Papa Ratzinger (che voleva fare l'imbianchino)"
Gendarmeria Vaticana in festa per il Santo Patrono Michele Arcangelo. Annunciato l'ingresso del Vaticano nell'Interpol (R.V.)
Un anno alla guida dell'Osservatore Romano: intervista con il prof. Vian (Radio Vaticana)
Benedetto XVI ricorda Papa Luciani, impareggiabile catechista
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Il programma della visita del Papa a Pompei (Il Mattino)
Riccardi: "Immigrati, il realismo della Chiesa" (La Stampa)
Roccella: "Sì al testamento biologico ma la volontà deve essere chiara". "Alimentazione ed idratazione non sono cure" (Pasolini)
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Il direttore della Caritas contro il giro di vite sugli immigrati. Vian: «Sono richiami bipartisan. I politici tirano la giacchetta» (Corriere)
India, persecuzioni anche in Tamil Nadu
DA BANGKOK STEFANO VECCHIA
Dopo Orissa, Karnataka e Kerala, un nuovo fronte anticristiano si è aperto nello Stato sudorientale del Tamil Nadu. Sospetti attivisti indù hanno danneggiato una statua di Gesù Bambino nella cittadina di Dharmapuram. Immediatamente è salita la tensione tra le comunità religiose e la polizia è intervenuta a protezione di chiese, moschee e templi nelle ore notturne, proprio mentre dal confinante Kerala giungeva le notizia del danneggiamento, venerdì, delle vetrate della cupola di una cappella associata alla Cattedrale ortodossa di rito malankarico di san Tommaso a Karthigapally, infrante con pietre.
Quello di Karthigapally, è il quarto atto vandalico registrato finora in Tamil Nadu, dopo il danneggiamento giovedì di una statua della Madonna nel distretto di Nagercoil, di un’altra statua nella chiesa di san Giuseppe a Arapalayam nel distratto di Madurai, martedì, e il lancio di pietre contro una chiesa a Namakkal da parte di due indù, fermati. Come in Orissa e in Karnataka, dove la rabbia degli estremisti religiosi si è diretta indiscriminatamente contro i cristiani di ogni Chiesa o denominazione per la loro presunta politica di conversione, in Kerala e in Tamil Nadu gli attivisti hanno iniziato a coinvolgere nelle violenze i cattolici, estranei a qualunque attività di proselitismo.
Diversa la reazione politica: se in Orissa e i Karnataka, i governi locali vicini al radicalismo induista sembrano non rispondere nei fatti alle sollecitazioni del governo centrale di New Delhi perché cessino le violenze, in Tamil Nadu, il primo ministro Karunanidhi ha avvertito che altri attacchi non saranno tollerati.
Stesso il tono dell’intervento del governo del Kerala, comunista, ma è un fatto che finora i responsabili degli episodi di vandalismo in questo Stato – incluso l’assalto a due chiese preso l’aeroporto di Kochi – restano finora non identificati, mentre va concretizzandosi l’ipotesi di un contagio integralista dal confinante Karnataka, con l’appoggio di indù locali che da tempo mantengono alta la tensione con la comunità musulmana. Si è appreso intanto che sempre venerdì, ancora nel distretto di Kandhamal, nell’Orissa, epicentro delle recenti tensioni interreligiose, fondamentalisti indù hanno assalito e dato alle fiamme la casa delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta, nel villaggio di Sukananda. Come riferisce
Asia News, verso le 11 di sera, una folla di 700 persone si è riversata per le strade – violando il coprifuoco – e ha preso d’assalto la casa da poco abbandonata dalle religiose.
I fanatici indù hanno distrutto l’edificio e tutto ciò che lo circondava, inclusa la chiesa. Una violenza che sembra inarrestabile, quella nel tormentato Orissa, con un numero enorme di abitazioni incendiate, decine di morti e almeno 50mila persone in fuga dai villaggi. Ieri le importanti vie di comunicazione bloccate con tronchi e pietre da gruppi di indù che protestavano per l’uccisione di uno di loro da parte della polizia sono state in parte liberate, ma focolai di violenza si registrano un po’ in tutto il Kandhamal, dove gli oltre 600mila abitanti sono in maggioranza tribali cristianizzati.
Venerdì due episodi concomitanti e gravi. Un indù è rimasto ucciso da durante lo scontro tra una cinquantina di cristiani armati di coltelli, bastoni e pietre e un gruppo rivale nella città di Raikia. Contemporaneamente, 500 indù distruggevano una cinquantina di abitazioni e due centri di preghiera nel villaggio di Beherasahi senza fare vittime tra gli abitanti che erano fuggiti all’arrivo degli estremisti religiosi.
© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008
Africa
Le violenze sui cristiani «nascoste» dai conflitti
In Marocco il proselitismo è proibito dalle leggi, forti limitazioni restano anche nei confronti dei copti egiziani Nel nord del Sudan vige da anni la legge islamica Il tributo di sangue dell’Algeria
DI GIULIO ALBANESE
Una schiera numerosa di uomini e di donne – laici e consacrati – hanno testimoniato nei secoli la Buona Notizia respingendo ogni forma di odio e prevaricazione a qualsiasi latitudine. Nel continente africano, non meno che altrove, i cristiani anche oggi si trovano spesso ad affrontare situazioni difficili determinate da una molteplicità di fattori di ordine sociale, politico e religioso che in alcuni casi possono degenerare in vera e propria persecuzione o comunque in uno stato di aperta ostilità. È il caso di alcune comunità cristiane nei Paesi a maggioranza musulmana dove ad esempio, il dialogo interreligioso appare spesso come una sorta d’utopia, mentre i problemi derivati dalla mancanza di comprensione, dopo i tragici fatti dell’ 11 settembre 2001, acuiscono le differenze degenerando in violenze indiscriminate, unitamente al fenomeno migratorio che costringe i battezzati a trovare riparo in altri continenti. Per non parlare delle limitazioni imposte dai vari sistemi giurisprudenziali che riducono fortemente le facoltà dei cristiani nell’ambito lavorativo e più in generale del diritto civile. Sta di fatto che questi fenomeni, con varie accentuazioni e sfumature si riscontrano dal Marocco, dove la cristianità è ridotta ad un « piccolo resto » senza pretesa alcuna di proselitismo, tassativamente proibito dall’ordinamento vigente nel Paese; all’Algeria, terra di martiri avendo in questi anni la comunità cristiana pagato a caro prezzo con il sangue il suo tributo contro il terrorismo accanto alla popolazione inerme. Basti pensare all’eroico sacrificio di un missionario del calibro di monsignor Pierre Lucine Clavarie ucciso ad Algeri il 1° agosto del 1996 il quale nonostante le minacce dell’islamismo estremista aveva continuato a visitare le comunità cristiane, incoraggiando i fedeli ad operare per la pace. Anche nel « moderato » Egitto il cristianesimo copto è soggetto ai condizionamenti giuridici sanciti dalla Costituzione che pur garantendo la libertà religiosa, proclama l’Islam come principale fonte legislativa, condannando l’apostasia alla pari di un reato per alto tradimento. Sempre in questo Paese, considerato per certi versi filo- occidentale, la costruzione di un luogo di culto per i cristiani necessita di un lungo e spossante iter burocratico.
Particolarmente pesanti sono state le vessazioni perpetrate in questi anni contro i cristiani in Sudan dove fin dall’indipendenza i vari regimi che si sono alternati al potere hanno esercitato azioni coercitive nei confronti delle minoranze religiose, imponendo l’applicazione della legge islamica ( la sharia). Sempre in questo Paese, soprattutto negli anni Novanta, si sono verificati episodi di schiavismo, con la connivenza delle autorità locali, che hanno coinvolto prevalentemente le popolazioni nilotiche di tradizione animista, ed anche alcune componenti cristiane. Ma non v’è dubbio che la terra in cui cristiani hanno sperimentato i maggiori patimenti è la Somalia, un Paese « senza Stato » dal caduta del regime di Siad Barre nel lontano 1991. Qui l’intolleranza verso i cristiani si può far coincidere con l’assassinio del compianto monsignor Salvatore Colombo, vescovo francescano di Mogadiscio. Il 9 luglio 1989 un gruppo armato entrò nella cattedrale aprendo il fuoco contro il presule mentre si stava cantando l’Agnus Dei durante la celebrazione eucaristica.
Monsignor Colombo era unanimemente considerato il simbolo della Chiesa in Somalia. Aveva scelto di testimoniare il Vangelo promuovendo fattivamente le opere di carità per il bene comune di un popolo che si era sempre dimostrato amico. Successivamente, con l’estendersi della guerra civile, la Chiesa in Somalia, che comunque è sempre stata un piccolo gregge in un Paese a stragrande maggioranza musulmana, ha vissuto un vero e proprio accerchiamento. Era problematico anche uscire di casa per i missionari. La stessa cattedrale della capitale è stata più volte saccheggiata, per poi essere demolita e rasa al suolo.
La stessa sorte è toccata praticamente alla quasi totalità dei luoghi di culto cristiani presenti in altre località.
L’insicurezza ha determinato un vero e proprio esodo dei cristiani, famiglia dopo famiglia, chi alla volta degli Stati Uniti, chi in Canada, chi in Europa. Oltre a monsignor Colombo, hanno perso la vita in questi anni altri eroici missionari; l’ultima in ordine cronologico suor Leonella Sgorbati della Consolata, uccisa il 17 settembre del 2006 all’esterno del reparto di pediatria del « Villaggio dei bambini Sos » , assieme alla sua fedele guardia del corpo di religione islamica. In considerazione della diffusa insicurezza che regna a Mogadiscio e dintorni, un territorio che è stato paragonato dai cronisti di guerra ad una vera e propria Stalingrado africana, l’attuale amministratore apostolico di Mogadisco e vescovo di Gibuti, monsignor Giorgio Bertin, esclude, per il momento, la possibilità di un ritorno dei missionari stranieri in Somalia, non essendovi ancora le condizioni per garantire l’incolumità dei religiosi. Da rilevare comunque che sia in Somalia come anche in Sudan, dove le vessazioni contro i cristiani da parte degli estremisti islamici sono state maggiormente evidenti nella cosiddetta fase post- coloniale, lo « stile evangelico » dei missionari non è mai apparso intransigente, all’insegna di uno schierarsi in opposizione ai loro persecutori, tanto meno contro una religione. L’identità cristiana, basata essenzialmente sulla consapevolezza dell’impronta divina presente nell’animo umano, li ha sempre spinti a vivere lo spirito delle Beatitudini, offrendo le loro sofferenze per l’edificazione di una società rispettosa dei diritti fondamentali della persona.
Emblematiche le parole di monsignor Clavarie secondo cui la sua vita missionaria « dipendeva dalla capacità d’essere donata » . I cristiani in questa prospettiva dovevano comunque rimanere in Algeria e negli altri Paesi islamici perché andarsene « avrebbe sancito il rigetto definitivo delle nostre differenze » . Un altro Paese in cui certamente sono state riscontrate in questi anni tensioni tra cristiani e musulmani è la Nigeria dove però alcune sedicenti comunità cristiane di matrice fondamentalista hanno compiuto anch’esse vessazioni contro la comunità musulmana.
Differente invece è stato l’atteggiamento della comunità cattolica che ha sempre condannato il ricorso alla violenza sia degli estremisti islamici che delle sette evangeliche. Da rilevare che sempre in Africa le Chiese hanno a volte sperimentato una sorta di persecuzione per essersi schierate apertamente in difesa dei diritti umani, come espressione qualificata della società civile. Molto spesso una sorta di forza d’interposizione pacifica tra governativi e ribelli.
Straordinario l’esempio di monsignor Christophe Munzihirwa , arcivescovo martire di Bukavu ( ex Zaire), il quale denunciò fino alla fine le vessazioni perpetrate contro i civili dai militari ruandesi. Venne freddato la sera del 29 ottobre 1996 con un proiettile alla nuca.
La sua fede e quella di tanti altri martiri congolesi, ugandesi e di altre nazioni africane segna inequivocabilmente la « vittoria dei vinti » .
© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008
Egitto
Ibrahim, «bollato» per la sua religione: ma io continuo a pregare per la pace
Giulio Albanese
Da quando il giovane ha scelto il cristianesimo la sua vita si è fatta più dura: senza un lavoro e costretto alla semiclandestinità
I brahim è nato nel 1980 ad Alessandria d’Egitto e si è convertito al Cristianesimo un paio d’anni fa. I genitori di Ibrahim – il cui nome è fittizio per salvaguardarne l’incolumità – non lo hanno mai osteggiato nelle sue scelte, invitandolo però ad essere estremamente prudente. Da allora Ibrahim ha sperimentato non pochi problemi nel suo Paese.
Su suggerimento del padre si è in un primo momento trasferito ad Isna, nell’Alto Egitto a casa di alcuni lontani parenti di fede copta. Nel dicembre del 2007 però il loro negozio è stato dato alle fiamme da un gruppo di estremisti islamici ed Ibrahim ha pensato bene di allontanarsi per timore che la sua presenza, essendo un convertito, potesse creare problemi a terzi.
Successivamente si è trasferito al Cairo, a casa di amici, ma è ancora disoccupato. Si è infatti visto negare ripetutamente dal governo il permesso di potere modificare la religione nella sua carta d’identità. Purtroppo, la normativa vigente esige ancora oggi che sia specificato il credo religioso nei documenti d’identità. Ibrahim non ha paura di rischiare e sebbene via in uno stato di semiclandestinità si è adoperato con senno e discrezione in favore di altri cristiani che hanno subito altre vessazioni.
Finora, con l’aiuto di alcuni benefattori stranieri è riuscito a rimanere in Egitto e spera prima o poi di ottenere un riconoscimento del suo status «cristiano» nella consapevolezza che la sua esistenza è nelle mani di Dio. «L’unica cosa che posso fare è pregare per la pace e la concordia nel mio Paese, ricusando ogni violenza».
Come dargli torto? Un’antica storia mediorientale racconta di un viandante che incontrò un mostro nel deserto. Inizialmente ebbe paura, ma riuscendo a scorgerlo più da vicino, s’accorse che era un uomo. Di lì a poco lo distinse ancora meglio e scoprì che dopo tutto non era così brutto come pensava. Alla fine, quando lo scorse negli occhi, riconobbe suo fratello. Questo, secondo Ibrahim, vale per noi e per loro.
© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008
Somaliland, il sacrificio di Annalena «La mia è la miglior vita possibile»
Uccisa nel 2003, la Tonelli si era dedicata per 35 anni al servizio dei più deboli e dimenticati
Annalena Tonelli è stata una donna che ha vissuto il nascondimento evangelico, ripudiando come cristiana ogni forma di violenza. Quando era in vita quasi nulla trapelava della sua attività a favore dei malati di tubercolosi, degli handicappati e degli orfani, dei malati mentali e delle donne mutilate. Meno ancora della fede solida che ne ha ispirato la vita, dell’Eucaristia che portava nel taschino. Annalena voleva gridare il Vangelo con la vita, sulla scia di Charles de Foucauld.
Proprio perché credeva ardentemente nella donazione a Dio e ai più poveri tra i poveri, amava ripetere che la sua era «la miglior vita possibile». È stata uccisa a Borama, nel Somaliland, la sera del 5 ottobre 2003, dopo 35 anni di gratuità, a due passi dal piccolo ospedale che aveva creato per la cura della Tbc. Già nel 1971 aveva ottenuto da un vescovo del Kenya il privilegio di tenere con sé la particola consacrata. Più tardi, monsignor Colombo le concesse lo stesso privilegio in terra somala. Un sacerdote andava di tanto in tanto da lei per celebrare la Santa Messa. Al termine dell’ultima eucaristia a cui prese parte Annalena poco prima di morire, monsignor Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio, le lasciò in un purificatoio una parte dell’ostia grande con la quale aveva celebrato la Messa.
Quell’ostia venne ritrovata qualche settimana dopo l’uccisione di Annalena, dentro un armadio, in un sacchetto di pelle morbida, insieme ad una croce francescana. All’interno di un purificatoio c’era metà dell’ostia consacrata, proprio quella che il presule avevo lasciato. Era la sorgente dove attingeva la forza per amare a tutti i costi. ( G.A.)
© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008
LA PRESENZA
Oltre 355 milioni i credenti nel Continente nero
Gli appartenenti alla religione cristiana rappresentano poco meno del 40% del totale della popolazione africana. Si tratta di oltre 355 milioni di persone su un totale di 890 milioni di abitanti del Continente nero. Sono in maggioranza cristiane soprattutto le zone orientali, centrali e meridionali dell’Africa, mentre nell’Ovest i cristiani sono poco più di un terzo e nel Nord del continente solo il 5%. I fronti che restano caldi per gli episodi di intolleranza verso i cristiani sono quattro. In NIGERIA la presenza cristiana è forte soprattutto al Sud, mentre nel Nord prevalgono i musulmani, e diversi Stati anni fa hanno adottato la legge islamica. In totale i cristiani sono il 40% della popolazione nigeriana, i musulmani il 50%. In EGITTO il 90% della popolazione è musulmana, mentre i cristiani copti rappresentano il 9% degli abitanti e gli altri cristiani l’1%. In SUDAN la presenza cristiana è forte nel Sud e a Khartum, dove vivono ancora molti sfollati dalla guerra nel Sud. Ma a livello nazionale il dato si ferma al 5% degli abitanti. Nella Repubblica democratica del CONGO i cattolici sono il 50%, i fedeli protestanti il 20% e gli appartenenti alla religione islamica non superano il 10%.
© Copyright Avvenire, 28 settembre 2008
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3 commenti:
"In Marocco il proselitismo è proibito dalle leggi, forti limitazioni restano anche nei confronti dei copti egiziani"
A Treviso sindaco e popolazione impediscono ai musulmani di ritrovarsi per poter pregare, a Milano i musulmani vengono dirottati da un quartiere all'altro perchè arrecano fastidio ma nessuno riesce a trovare un luogo in cui costruire una moschea.
La Lega ha fatto una proposta di legge condivisa pubblicamente (e ci mancherebbe) dal cattolico Borghezio che permetterebbe la costruzione di moschee ad almeno 1 km da qualsiasi altro luogo di culto e solo dopo un referendum comunale.
Insomma, tutto il mondo è paese ... purtroppo.
Enno', c'e' una bella differenza!
In Italia tutti sono liberi di convertirsi dal Cattolicesimo all'Islam senza alcuna conseguenza per l'incolumita' delle persone.
In Italia non ci sono gruppi organizzati che distruggono moschee, scuole o case di islamici mentre la polizia sta a guardare.
C'e' una bella differenza...
R.
"In Italia tutti sono liberi di convertirsi dal Cattolicesimo all'Islam senza alcuna conseguenza per l'incolumita' delle persone."
Manca solo la libertà di poter pregare il proprio Dio senza essere sbattuti da una parte all'altra o essere offesi da parte di rappresentante di una pubblica amministrazione, questo almeno in alcune città.
"In Italia non ci sono gruppi organizzati ..."
Io mi riferivo al "proselitismo" e alle "forti limitazioni" paragonando queste ad episodi avvenuti nel nostro Paese, mai parlato di stragi o di incendi di moschee (mi pare che in Italia le moschee "ufficiali" siano solo 3, visto che non le bruciano ma non le lasciano nemmeno costruire).
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