26 settembre 2008

Il patto europeo per l'immigrazione e il diritto d'asilo: "Poca memoria, pochissima speranza" (Osservatore Romano)


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Il patto europeo per l'immigrazione e il diritto d'asilo

Poca memoria
Pochissima speranza


Vittorio Nozza
Direttore nazionale di Caritas Italia

Restrizioni, ostacoli, barriere. Sono i segnali che arrivano dal Parlamento europeo e dal patto per l'immigrazione e il diritto d'asilo che dovrebbe essere adottato dal vertice europeo dei capi di Stato e di Governo del prossimo 15 ottobre. Con possibili eccezioni e corsie preferenziali per i lavoratori altamente specializzati. Un giro di vite anche in Italia sui ricongiungimenti e per i richiedenti asilo. Tolleranza zero contro gli irregolari, ma anche qui con eccezioni in base alle nostre convenienze. Tendenze che non meravigliano in questo primo segmento del terzo millennio in cui c'è sempre meno memoria e scarsa speranza. In cui la vita è sempre più "usa e getta", più che curata e vissuta. Con i deboli e i poveri costretti a pagare due volte.
Le recenti parole del Papa, di compassione per le tragedie nelle quali si concludono i tentativi degli immigrati di approdare alle nostre coste e di appello ai Paesi occidentali affinché mettano in atto politiche di soccorso, sono però un invito a valutare criticamente le scelte che criminalizzano l'immigrazione indesiderata. Parole che devono interrogarci sulle contraddizioni delle politiche di chiusura delle frontiere e sulla necessità di prestare al fenomeno migratorio una maggiore e più qualificata attenzione e progettualità.
Le migrazioni mettono a nudo principalmente due problemi: la giustizia distributiva e la giustizia politica. Circa il primo problema è palese che la povertà, il sottosviluppo e la disperazione di molte persone sono drammatici. Spesso queste situazioni portano le persone ad intraprendere rischiosi viaggi verso l'Europa, che per molti finisce con la morte. L'unica soluzione, a questa che è una vera tragedia umanitaria, è che i Paesi del primo mondo adottino politiche globali di giustizia redistributiva.
L'appello del Papa all'Europa affinché accolga gli irregolari pone un secondo problema di giustizia politica. Cioè la capacità di parlare e operare di impasto tra dignità e giustizia. E qui la ricerca del bene comune, cioè la politica, deve fare la sua parte, riaffermando il primato della persona umana. La politica infatti è creazione di opinioni non tenute al guinzaglio dell'opinione corrente; è capacità e coraggio di influire sul giudizio politico dei cittadini; è azione capace di operare affinché si determinino cambiamenti nell'opinione pubblica imperante.
Intristisce quando, dal mondo politico, arrivano segnali contrari che - per mitigare le frustrazioni di chi vede riflesse nell'altro, nel diverso le proprie insicurezze - alimentano un clima di paura e di intolleranza. Tanto che nella dimensione locale del vivere si accentuano tendenze di chiusura autarchica e di arroccamento sociale. Le solidarietà si accorciano sempre più, mentre si moltiplicano affermazioni, intenzioni e decisioni che incrementano l'orientamento ad attuare una sorta di principio di indesiderabilità per chi bussa alla porta e di riconduzione generalizzata dell'immigrazione alla questione sicurezza. Gli orientamenti corrono il rischio di essere oscurati da questa logica emergenziale, mentre alcune questioni di fondo attendono di essere definite in un quadro limpido di solidarietà e di legalità.
È giusto infatti chiedere alla politica l'indicazione di un progetto fondato sull'equilibrio tra diritti e doveri, tra sicurezza e integrazione, che produca provvedimenti idonei ad affrontare i diversi profili di una questione che chiama in causa valori profondi del nostro modo d'essere e di rapportarci agli altri. La stessa Commissione europea ha definito l'integrazione come un processo continuativo e a doppio senso, basato su diritti e doveri che gravano tanto sugli immigrati che sulla società di accoglienza. Senza contare che ormai tutti parlano di un'Europa dei popoli, sia chi vorrebbe vedere accresciuto il peso dei popoli rispetto ai Governi, sia chi sostiene invece chiusure xenofobe e ritiene che essere popolo significhi avere un'eredità comune impermeabile ad ogni apporto esterno.
Al riguardo ci si deve interrogare circa i cambiamenti culturali in atto. È evidente che il solo appello - pur necessario - ai valori presenti nella cultura istituzionale e nel diritto internazionale (si prenda il caso dell'asilo) non sono più considerati valori comuni. Esistono più voci, nell'informazione, nella cultura, nelle forze politiche, che spingono a forme più o meno raffinate, di diffidenza, intolleranza, contrasto, violenza. È urgente pertanto una rinnovata tensione e azione pedagogica. In quest'ottica deve essere chiaro che quando la Chiesa predica i valori di rispetto della dignità, solidarietà, condivisione tra i popoli, di incontro tra le culture e le religioni non fa battaglie politiche ma - a partire dai principi evangelici e dall'azione che dispiega giorno per giorno - precisa solo i presupposti sui quali la politica deve costruire. Si tratta di un contributo morale, culturale, di esperienza, di disponibilità del quale, a nostro avviso, la politica ha bisogno.

(©L'Osservatore Romano - 27 settembre 2008)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

“La giustizia distributiva e la giustizia politica. Circa il primo problema è palese che la povertà, il sottosviluppo e la disperazione di molte persone sono drammatici. Spesso queste situazioni portano le persone ad intraprendere rischiosi viaggi verso l'Europa, che per molti finisce con la morte. L'unica soluzione, a questa che è una vera tragedia umanitaria, è che i Paesi del primo mondo adottino politiche globali di giustizia redistributiva”.
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Invece che un monsignore di Curia mi sembra di sentire parlare uno di Rifondazione comunista.
Ma questo Monsignor Nozza che vita conduce? Mi sembra uno di quei farisei indicati da Nostro Signore che caricano di pesi insopportabili gli altri, ma loro non fanno nulla di tutto ciò che dicono agli altri di fare. Che ne sai lui dei padri e delle madri di famiglia che si affannano a portare avanti le proprie famiglie per arrivare alla fine del mese dopo aver pagato salate bollette della luce, del gas, dell’acqua, della spazzatura e degli altri balzelli statali, regionali, provinciali e comunali? Di pagare l’assicurazione per l’autovettura, le spese condominiali, di pagare il tichet per le medicine, per le ricette e persino per una medicazione al pronto soccorso, senza contare poi i sacrifici necessari per pagare il mutuo per la casa?
Che ne sai lui quanti soldi ci vogliono per far studiare i figli e come sia al limite della sussistenza tenere un figlio all’università (tasse altissime, libri carissimi, senza parlare della pigione per un posto letto e del costo per il vitto)? Che ne sa lui dell’euro che ha ridotto alla metà gli stipendi, i salari e le pensioni e poi, non poteva mancare, il costo della vita quotidianamente in aumento soprattutto per i generi alimentari: del pane, della pasta, del latte e degli altri generi di prima necessità?
Poi viene a parlarci di giustizia distributiva. Ma che cosa dobbiamo distribuire? La miseria?
Come i nostri padri e noi ci siamo rimboccati le maniche e lavorato sodo per migliorare le condizioni economiche e sociali, anche tutta questa massa di immigrati nei loro paesi si diano da fare, invece di illudersi di trovare facili guadagni nei paesi europei e in Italia in particolare, dopo aver speso un patrimonio, considerate le loro condizioni, per il viaggio in Europa.
Ma forse dietro di loro, come diceva Oriana Fallaci, ci sono gli sceicchi arabi che sognano l’islamizzazione dell’Europa e finanziano questo turpe mercato di traghettare gli immigrati dalle sponde africane in Italia, così come finanziano le costruzioni di moschee piccole e grandi con il fine malcelato di soppiantare le chiese cristiane. Sono essi i veri responsabii delle tragedie del mare e che viene addebitata a noi, che non abbiamo alcuna responsabilità di quanto può accadere in mare. O forse la nostra colpa consiste nel non essere andati a casa loro e detto: "Su, venite. C'è l'aereo o la nave che vi aspetta per condurvi in Italia?
Quello che dispiace è il constatare che anche preti e vescovi si prestino a questa manfrina.
Non so se incoscientemente o per calcolo interessato.
Le varie organizzazioni cattoliche o presunte tali, di nome soprattutto, hanno tutto l'interesse a far entrare migliaia e migliaia di immigrati clandestini, così essi dopo, con il pretesto di opere di carità e di volontariato, chiedono, ottengono e lucrano sulle somme ricevute a proprio esclusivo tornaconto. Tutto questo mi sa tanto di carità pelosa e interessata.
Tutti quelli che dicono di voler soccorrere gli immigrati, mettano mani al loro portafoglio e con i soldi propri e non con quelli degli altri facciano le opere di carità che ritengono necessarie.
E’ troppo bello e facile fare la carità con i soldi degli altri.

Anonimo ha detto...

Punto primo. sostenere che l'Osservatore Romano non è il giornale del Papa, ma un giornale vero e proprio come tutti gli altri (che hanno i loro padroni) è semplicemente ridicolo. L'Osservatore Romano è stato da sempre l'organo ufficiale della Santa Sede e non perdiamoci in disquisizioni filosofiche.
Secondo punto. Ma dove sta scritto che in Italia dobbiamo consentire l'ingresso a tutta questa marea di immigrati che entrano in casa nostra senza chiederci neanche il permesso. Vorrei vedere se una torma di clandestini si presentasse in Piazza San Pietro e chiedesse asilo o ingresso al Vaticano. Sono certo che non ne entrerebbe neppure uno.
Terzo punto. Le varie organizzazioni cattoliche o presunte tali, di nome sopratutto, hanno tutto l'interesse a far entrare migliaia e migliaia di immigrai clandestini, così essi dopo, con il pretesto di opere di carità e di volontariato, chiedono, ottengono e lucrano sulle somme ricevute a proprio esclusivo tornaconto. Tutto questo mi sa tanto di carità pelosa e interessata.
Tutti quelli che dicono di voler soccorrere gli immigrati, mettano mani al loro portafoglio e con i soldi propri e non con quelli degli altri facciano le opere di carità che ritengono necessarie.
E’ troppo bello e facile fare la carità con i soldi degli altri.