26 settembre 2008
Igor Man: "Pio XII, oltre il silenzio l'attiva pietà" (La Stampa)
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Pio XII, oltre il silenzio l'attiva pietà
IGOR MAN
S’avvicina l’anniversario della morte (difficile) di Pio XII in Castel Gandolfo, il 9 di ottobre del 1958, e puntuale come l’influenza arriva un nuovo capitolo del lungo fogliettone storico che potremmo intitolare «Papa Pacelli e gli ebrei». Del «silenzio» di Pio XII sul genocidio nazifascista s’è scritto a dismisura negli ultimi cinquant’anni e ancorché lentamente l’accusa abbia perso vigore. Il dubbio ha aperto non poche brecce nel muro dell’accusa dando sollievo alla fatica di studiosi (non tutti cattolici) che, carte alla mano, cioè in forza di testimonianze, affermano che da parte del Papa non ci fu «silenzio» ma, al contrario, una carsica, attenta «opera di protezione» degli avversari del nazifascismo e dunque di non pochi ebrei. Sarebbe del pari bizzarro sostenere che il Vaticano sia stato «eccessivamente prudente». Roma era città aperta solo ai bivacchi nazisti e repubblichini, da qui l’obbligo di agire con ragionata accortezza; per non aggiungere disastro a disastro. Era in giuoco la vita di migliaia di persone: nei conventi, nelle più piccole chiese, nelle stesse stanze vaticane trovavano rifugio persino laici laicisti, atei insomma, ed ebrei, inermi agnelli disperati. Pietro Nenni era fra gli «ospiti» di San Giovanni in Laterano e si vuole che abbia incontrato il Sostituto di Stato Montini. Ci fu un momento in cui si temette che Hitler ordinasse l’irruzione delle SS «nella tana dei traditori», in Vaticano. Si deve all’abile azione diplomatica della Santa Sede se il blitz non ci fu.
Chi scrive era a Roma in quel tempo senza misericordia e questa vuol essere la testimonianza «dal basso» di un, allora, giovanissimo partigiano. Un giorno, in Galleria Colonna, mi fermò un giovine signore catanese: «Pensiamo che tu possa lavorare proficuamente nelle fila dei “Vespri siciliani” guidati da Peppino Sapienza e da sua moglie Maria Giudice». Fui incaricato dello «smistamento». Mi recavo, un giorno sì, un giorno no, in Santa Maria dell’Anima. Mi infilavo nel gabbiotto delle confessioni dove trovavo Herr Doktor, un dentista austriaco che aveva il talento della contraffazione. Vestito da prete, fingendo di confessarmi mi consegnava carte d’identità da lui falsificate. Gli affidavo fotografie con dati in bianco ch’egli avrebbe trasformato in documenti. Attraversando (a piedi) Roma che pullulava di tedeschi e repubblichini, portavo il prezioso malloppo in via Panisperna dove, in una pensione coraggiosa, sostavano ebrei tunisini che i partigiani di Sezze avrebbero aiutato a scavalcare il Garigliano. Nel mio servizio del quale, forse, mi sfuggiva la pericolosità (un partigiano veniva fucilato sul posto se colto in flagrante) ebbi modo di incontrare un vecchio signore tunisino: «Ma perché? Perché odiano gli ebrei?», si chiedeva sconsolato. Ero troppo giovine per poter rispondere; a mia volta mi domandavo furibondo perché lasciare che il giornalista G.R. esortasse da Radio Tevere «a bruciare, uno per uno» gli ebrei. Dopo la Liberazione G.R. venne «rieducato» a Coltano e subito riammesso nel giornalismo. Fu a lungo inviato d’un autorevole settimanale illustrato. (Come mai? Perché?).
Vista «dal basso» quella stagione appare storicamente legata a Pio XII sol che ci si rammenti del drammatico «incontro» col popolo di Roma in piazza San Pietro, il 12 marzo 1944. «Sono con voi, tornerà la luce», disse il Principe romano ai concittadini. Un Principe-Papa che certamente agì con curiale prudenza ma certamente non replicò Don Abbondio; fu la voce severa di Roma, della cristianità. Voce nel deserto?
P.S. Chi vuol saperne di più legga un libro, prezioso, uscito per Laterza: L’inverno più lungo 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma di Andrea Riccardi, il fondatore di Sant’Egidio, la comunità laica battezzata «l’Onu di Trastevere».
© Copyright La Stampa, 26 settembre 2008 consultabile online anche qui.
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