13 aprile 2007
Aggiornamento rassegna stampa del 13 aprile 2007 (2)
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"Gesu' di Nazaret", Rassegna stampa del 13 aprile 2007
Che cosa vi avevo detto? Rassegna stampa del 13 aprile 2007
Aggiornamento rassegna stampa del 13 aprile 2007
Una lezione di stile a Repubblica
Stravaganti ricami sulla stampa italiana
Sui muri e sui giornali «la Chiesa taccia»
Giorgio Ferrari
La sanno lunga. Sanno perfino quando si potrà ricominciare a parlare: il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista. Fino a quell'epoca l'unica interruzione consentita sarà (sarebbe) in occasione dell'assemblea generale della Cei nella seconda metà di maggio, dopo il Family Day. Prima e dopo quella data invece, silenzio assoluto, più di due mesi, un lasso di tempo sufficiente a troncare, sopire, far dimenticare: due mesi di afasia per i vescovi italiani, un silenzio che sarebbe addirittura imposto dal soglio più alto, misura cautelativa estrema per rattoppare gli "errori" fin qui commessi dalla Cei. Sì, avete letto bene. Non siamo nella Ddr di Honecker, nella Cuba di Castro o nella Corea del Nord, ma in Italia, dove di muraglie e di confini spinati non ce ne sono, nemmeno fra una sponda e l'altra del Tevere. Ma loro, i giornalisti famosi gli opinionisti di pregio, la sanno lunga lo stesso. Tanto da spararla in prima pagina (è avvenuto ieri sulla Stampa di Torino), sicuri di ciò che scrivono, anzi, diciamo pure compiaciuti quanto basta perché fra le righe si intraveda il serpentello velenoso della maldicenza, quella che lascia balenare il lampo di un dissidio fra Santa Sede e Conferenza episcopale italiana, così, tanto per gradire, per far sapere che dai muri d'Italia la polemica contro la Chiesa cattolica si è spostata nientemeno che all'interno delle stanze apostoliche. Tanta è la voglia di vedere spaccature. Sciocchezze, in realtà. Come si può facilmente evincere dal comunicato prontamente emesso ieri dalla sala stampa vaticana. Fandonie dunque, leggere come i pollini che danzano nell'aria in bizzarre giornate di primavera. Non fosse che le scritte, quelle scritte, sono purtroppo assolutamente vere, a differenza delle congetture balzane che le accompagnano. Lo sanno bene gli inquirenti, che non sottovalutano il problema pur senza esasperarlo né amplificarlo oltre misura. Esattamente come dichiarava ieri per sé la Cei per bocca del suo segretario monsign or Betori. In fondo lo sa bene - a giudicare da ciò che afferma - anche Gennaro Migliore, capogruppo di Rifondazione comunista alla Camera quando dice a proposito delle scritte contro il presidente della Cei comparse a Bologna: «È da condannare in maniera molto ferma. Come sono da condannare le scritte simili apparse in altre città. Sono gesti di intimidazione».Et voilà, eccola la parola magica: intimidazione. Detta da Migliore, non da uno della parrocchia, da un esponente cioè di quell'area radicale della sinistra raramente tenera nei confronti della Chiesa cattolica. Ma Migliore coglie nel segno, perché di intimidazione si tratta e di nient'altro. Non è il gesto di uno sconsiderato, ma la filigrana di un clima che si va per ora coagulando. Che forse si limiterà all'invettiva a mezzo di graffiti, forse no, ancora non si sa. Lo scopo è chiaro, far tacere una voce. Da che mondo è mondo accade, le voci scomode vanno imbrigliate ridotte al silenzio, sepolte dal coro assordante dell'invettiva. E "loro", che la sanno lunga, non sono da meno. Perché nella fiction a mezzo stampa in cui fantasticano di silenziatori imposti dalla Santa Sede denunciano in modo assai trasparente il messaggio (e il desiderio segreto) di cui sono latori: la Chiesa taccia, in ogni caso. Pia illusione. La Chiesa non si fa intimidire, né oggi né mai, né dalle scritte sui muri né dalla fantasy eletta a scoop. "Loro" che la sanno così lunga dovrebbero sapere anche questo.
Avvenire, 13 aprile 2007
Il riferimento e' all'articolo di Marco Tosatti di ieri in "Rassegna stampa del 12 aprile 2007"
Pio XII e la Shoah, gelo Israele-Vaticano
MICHELE GIORGIO
Gerusalemme. Vaticano e Israele sull'orlo di una crisi diplomatica. Questa volta per una fotografia di Papa Pio XII, esposta al Museo dell’Olocausto a Gerusalemme con tanto di didascalia in cui si sostiene che «la reazione di Pio XII all'uccisione degli ebrei durante l'Olocausto è controversa». Una circostanza che ha fatto rinunciare al nunzio apostolico in Israele (l’«ambasciatore» del Vaticano) monsignor Antonio Franco a rendere visita al museo nel giorno in cui si commemora la Shoah. Se a fine marzo le due parti avevano cercato di minimizzare i forti contrasti - esplosi dopo la decisione del governo Olmert di disertare le trattative bilaterali volte a districare le ingarbugliate questioni giuridico-fiscali sullo status della Chiesa cattolica in Terra Santa - ieri il conflitto è emerso in modo netto. La polemica, anche in sede storica, sul ruolo di Pio XII, non è certo nuova. Il fatto è che la sua foto riprodotta nel Museo dell'Olocausto (Yad Vashem) a Gerusalemme è collocata fra le personalità che hanno avuto una posizione ambigua durante le persecuzioni naziste contro gli ebrei. Pronta la risposta di Israele alla decisione del nunzio apostolico. La ministra degli Esteri Tzipi Livni, attraverso un portavoce, ha commentato con parole di fuoco: «La cerimonia allo Yad Vashem ha il fine di onorare la memoria delle vittime della Shoah, l'evento più traumatico nella storia del popolo ebraico e tra i più traumatici nella storia dell'umanità. Per quanto riguarda la partecipazione alla cerimonia, ciascuno si comporti secondo ciò che gli dice la sua coscienza». Il Vaticano smentisce di avere poca sensibilità per l'Olocausto. Lo stesso monsignor Franco, spiegando la sua «dolorosa rinuncia», ha riferito di aver scritto una lettera al direttorato dello Yad Vashem per sottolineare che già l'anno scorso il Vaticano aveva fatto presente la sua difficoltà per la foto di Pio XII presente nel memoriale. «Nella risposta alla mia lettera che vedo su alcuni giornali israeliani - ha proseguito il nunzio - si dice che non si può cambiare la verità storica. I fatti non si possono cambiare ma di questi si è data un'interpretazione contraria anche a molte altre verità storiche». Papa Pio XII - ha aggiunto il diplomatico - «non può essere messo in mezzo a uomini che dovrebbero vergognarsi per quanto compiuto contro gli ebrei...mi rifiuto categoricamente di dire che c'è responsabilità della Chiesa cattolica e della Santa Sede nel non aiutare gli ebrei, con tutto quello che è stato fatto». Secondo Israele, Pio XII non solo non avrebbe fatto abbastanza per salvare gli ebrei persequitati dai nazisti ma avrebbe mostrato indifferenza verso l'Olocausto. Ma la decisione di monsignor Franco forse è anche una ritorsione della Santa Sede per la decisione del governo Olmert di disertare all'ultimo momento la Commissione bilaterale permanente, che si sarebbe dovuta svolgere a fine marzo per discutere il contenzioso tra i due Stati, dopo l'accordo del 1993. Era da cinque anni che la commissione plenaria non si riuniva e il Vaticano sperava di poter sbloccare i negoziati sull'esenzione dalle tasse per beni ecclesiastici in Terra Santa. La questione delle proprietà è centrale per la comunità cattolica in Israele che, peraltro, si è vista espropriare negli ultimi anni molti dei suoi beni. Lo Stato ebraico da parte sua sostiene che accordando al Vaticano l'esenzione dalle tasse, offrirebbe un precedente giuridico a tutte le altre chiese e fedi presenti in Terra Santa. La Santa Sede chiede inoltre che Israele non ostacoli più i movimenti dei religiosi cattolici.
Il Mattino, 13 aprile 2007
Quel «silenzio» denunciato nel ’62
ALCESTE SANTINI
Pio XII continua a dividere Israele e la Santa Sede a causa di una sua foto con una didascalia da cui si desume che non aiutò gli ebrei che figura le personalità e documentazioni presenti al Museo dell'Olocausto di Yad Vashem. La polemica risale al 1962 quando fu rappresentata in Italia l'opera teatrale dello scrittore tedesco, Rolf Hochhuht - «Il vicario» - imperniata su una requisitoria contro Pio XII accusato di non aver pronunciato una condanna contro il nazismo e lo sterminio degli ebrei. Una polemica sviluppatasi nel tempo orientata a denunciare «i silenzi di papa Pacelli» che Paolo VI difese in occasione del suo viaggio in Terra Santa nel gennaio 1964. Da allora si sono moltiplicate le pubblicazioni, alcune a difesa di Pio XII ma la maggior parte contro. La svolta si ebbe con Giovanni Paolo II, il quale, seguendo l'esempio di Giovanni XXIII che aveva rimosso l'antica accusa di «deicidio» verso gli ebrei, decise di visitare il 13 aprile 1986 la Sinagoga ebraica di Roma dove definì gli ebrei «fratelli maggiori». Così, il dialogo tra cattolici ed ebrei, avviato con il documento «Nostra aetate» del Concilio Vaticano II, assunse sempre più importanza per le due religioni provenienti dal comune padre Abramo. E poiché le polemiche riaffioravano, Giovanni Paolo II proclamò dapprima santa, l'11 ottobre 1998, l'ebrea fattasi cattolica come «figlia di Israelee figlia del Carmelo», Edith Stein, uccisa l'11 luglio 1942 ad Auschwiz-Birkenau. E, in occasione del Grande Giubileo del 2000, dichiarò il 12 marzo il famoso «mea culpa» con un documento che riconosceva «le responsabilità della Chiesa» per le crociate, l'inquisizione, l'antigiudaismo e l'antisemitismo. Fu, dopo questi gesti clamorosi, che Giovanni Paolo II si recò a Gerusalemme e il 23 marzo, insieme all'allora primo ministro Ehud Barak, visitò il Museo dell'Olocausto Yad Vashem e il 26 marzo, accolto dal Rabbino Michael Melchior e da altri rabbini, si raccolse in preghiera davanti al «Muro del Pianto». Da allora i rapporti, compresi quelli diplomatici, tra Santa Sede e Istraele erano stati buoni e rafforzati con la recente visita a Benedetto XVI in Vaticano del primo ministro Olmert.
Il Mattino, 13 aprile 2007
Gli ebrei: Pio XII figura controversa
Il nunzio diserta il museo della Shoah
Il ministro degli Esteri, Livni: noi onoriamo le vittime, ciascuno faccia secondo coscienza
di ERIC SALERNO
GERUSALEMME - Che cosa ha fatto Pio XII durante la Shoah? Ha dato un qualche contributo positivo per frenare il genocidio degli ebrei? O il suo comportamento, in quegli anni tragici della Seconda Guerra Mondiale, è stato ambiguo come risulta dalla didascalia posta a corredo di una fotografia dell'allora pontefice esposta nel museo dell'Olocausto a Gerusalemme?
Quelle parole d'accusa hanno innescato una nuova crisi nei rapporti tra Israele e la Santa Sede. Il Nunzio apostolico monsignor Antonio Franco non intende essere presente accanto a tutti gli altri ambasciatori stranieri durante l'annuale cerimonia a Yad Vashem per la giornata dell'Olocausto. Non accetta le spiegazioni dei responsabili del museo. E preferisce andare allo scontro.
Polemico lui, ancora più polemici gli studiosi israeliani per i quali è il Vaticano, che da sempre nega ai ricercatori quella parte dei suoi archivi che riguarda comportamenti e atteggiamento della Santa sede nei confronti di Hitler e dello sterminio degli ebrei, a essere responsabile del giudizio negativo su papa Pacelli.
E' una polemica non nuova. Monsignor Franco parla di «dolorosa rinuncia» nell'illustrare il motivo del suo gesto. «Ho scritto una lettera alla direzione dello Yad Vashem spiegando che già l'anno scorso avevamo fatto presente la nostra difficoltà per la foto con didascalia di Pio XII. Nella risposta alla mia lettera... si dice che non si può cambiare la verità storica. I fatti non si possono cambiare ma di questi si è data un'interpretazione contraria anche a molte altre verità storiche e soprattutto a tutta un'altra storiografia che interpreta in altro modo» la posizione che assunse l’allora Papa di fronte all’Olocausto.
Nella didascalia che correda la foto di Pio XII si legge testualmente, oltre a un riferimento all'atteggiamento neutrale della Chiesa: «Quando fu eletto Papa nel 1939, accantonò un'enciclica contro il razzismo e l'antisemitismo che il suo predecessore aveva preparato. Persino quando cominciarono ad arrivare in Vaticano notizie sull'assassinio degli ebrei, il Papa evitò di protestare sia verbalmente sia per iscritto. Nel dicembre 1942, si astenne dal firmare la dichiarazione degli Alleati di condanna dello sterminio degli ebrei. Quando gli ebrei furono deportati da Roma ad Auschwitz, il Papa non intervenne».
Affermazioni arbitrarie e incomplete secondo il Nunzio per il quale foto e didascalia «offendono tutta la Chiesa cattolica».
Secca la risposta del ministero degli esteri israeliano: «La cerimonia allo Yad Vashem ha il fine di onorare la memoria delle vittime della Shoah, l'evento più traumatico nella storia del popolo ebreo e tra i più traumatici nella storia dell'Umanità. Per quanto riguarda la partecipazione alla cerimonia, ciascuno si comporti secondo ciò che gli dice la sua coscienza».
E i dirigenti del museo, dopo aver ripetuto che fotografia e didascalia restano dove sono, insistono: «Ci sono nazioni che si assumono la responsabilità per le loro azioni durante l'Olocausto e altre che non lo fanno. Il Vaticano non ha attivamente partecipato nello sterminio degli ebrei, ma restano molte domande riguardo alle azioni del pontefice».
Il Messaggero, 13 aprile 2007
«Il silenzio di Pio XII sull’Olocausto?
Forse per non esporre a rischi i cattolici»
di MARIA LOMBARDI
ROMA - Professor Giovagnoli, perché Pio XII non intervenne pubblicamente per difendere gli ebrei?
«I silenzi di Pio XII, fatto incontrovertibile, hanno a mio parere tre motivazioni», spiega Agostino Giovagnoli, professore ordinario di storia contemporanea all’università Cattolica di Milano. «La sua prima preoccupazione era probabilmente quella di difendere i cattolici: prendere posizione contro il nazismo, li avrebbe esposti a rischi in Germania, in Polonia e anche in Italia. Ebbe inoltre una fiducia eccessiva nella diplomazia, ma quegli strumenti ordinari si rivelarono inadeguati. Infine c’è da considerare che il suo atteggiamento di cautela era condiviso dalla Chiesa cattolica del tempo, tanto è vero che gli episcopati non chiesero alcun intervento del Papa».
E’ vero che mise da parte un’enciclica contro il razzismo preparata da Pio XI?
«Quell’enciclica esisteva, l’aveva preparata un gesuita su istruzione di Pio XI e rimase a metà strada. Ma non sappiamo con certezza se Pio XII ne fosse a conoscenza. O se la conosceva, forse la riteneva superata dagli eventi. Di sicuro Pio XII ha assunto nei confronti dell’antisemitismo un atteggiamento più cauto e timido rispetto a quello del suo predecessore».
Qual è il giudizio su Pio XII che oggi prevale tra gli storici?
«La storiografia oggi non ritiene che l’atteggiamento di Pio XII sia stato motivato da una volontà antisemita e non lo accusa più di essere filo-nazista. Papa Pacelli è una personalità più complessa di quello che appare, è espressione della Chiesa della sua epoca, di un cattolicesimo ancora impregnato di antisemitismo. Questo retroterra culturale probabilmente non lo ha spinto a fare una clamorosa denuncia di fronte al mondo. Il suo comportamento è comprensibile, anche se non si giustifica».
Moltissimi ebrei furono aiutati dalle istituzioni religiose, soprattutto a Roma. Pio XII ha incoraggiato questi interventi di salvataggio?
«Nessun documento ci dice che Papa Pacelli incoraggiò l’assistenza degli ebrei e d’altra parte sarebbe stato folle emanare un ordine scritto in una Roma occupata dai tedeschi. Gli ebrei non furono nascosti solo nei conventi, ma anche nell’Università Lateranense, un’istituzione pontificia. Con ogni probabilità dietro queste iniziative c’era la volontà di Pio XII, tante coincidenze ci fanno presumere che il Papa abbia incoraggiato la protezione degli ebrei».
Qualche mese fa è stato chiesto di fermare il processo di beatificazione di Pio XII fino a quando non verranno aperti gli archivi vaticani sul periodo bellico.
«La richiesta di apertura degli archivi è opportuna, permetterà di arrivare a un giudizio più solido sulla figura di questo Papa. Fermare il processo di beatificazione a mio parere non ha senso».
Il Messaggero, 13 aprile 2007
Sullo sfondo l’apertura degli archivi vaticani
di FRANCA GIANSOLDATI
Ciò che potrebbe, invece, con ogni probabilità subire sostanziali modifiche è la scritta che attualmente campeggia sotto la ieratica figura di Eugenio Pacelli. Gli storici del Memoriale, gli stessi che hanno addebitato al pontefice della seconda guerra mondiale un «comportamento discutibile» davanti alla morte di milioni di ebrei, sembra non opporranno ostacoli all’inserimento di una breve frase a completamento dell’attuale. La proposta avanzata da parte israeliana è attualmente al vaglio della Segreteria di Stato. La nuova versione si presenta decisamente più equilibrata: per la Chiesa salvò dai campi di concentramento molti ebrei anche se gli ebrei e tanti storici non sono d’accordo. Il problema della didascalia covava sotto la cenere da un anno e mezzo, da quando cioè l’allora nunzio a Gerusalemme, monsignor Pietro Sambi, ora di stanza a Washington, prese carta e penna per protestare con il direttore del Museo. Il direttore di Yad Vashem si diceva pronto ad andare incontro alle richieste previo doveroso supplemento di indagini storiche con l’apertura degli Archivi vaticani relativi al periodo del pontificato pacelliano. Carte tutt’ora segretate. I fondi in questione, veniva motivato, se fossero accessibili agli studiosi aiuterebbero a mettere la parola fine alla leggenda nera che perseguita Pacelli dai tempi della pubblicazione del Vicario di Rolf Hochhuth. La querelle aperta nel gennaio 2006 da Sambi è ovviamente stata ereditata dal successore, monsignor Antonio Franco. Fino all’epilogo odierno. «Mi fa male andare allo Yad Vashem e vedere Pio XII così presentato. Per questo non parteciperò alla cerimonia annuale di commemorazione della Shoah». Una reazione durissima ed inusuale, quella del nunzio. Un passo sicuramente intrapreso d’accordo coi vertici del Vaticano. E mentre il governo israeliano adotta la linea del fair play evitando l’incendio, alcuni autorevoli osservatori si interrogano se la reazione vaticana non sia in realtà la risposta alla cancellazione improvvisa dell’incontro del 29 marzo scorso. A Roma, quel giorno, era attesa una delegazione israeliana per l’ultima fase dei negoziati tira-e-molla riguardanti l’accordo economico. Il governo israeliano si è giustificato spiegando che erano tutti impegnati a seguire il vertice della Lega Araba a Riad e ad accogliere la Rice ed il segretario dell’Onu, Ban Ki Moon. «Contingenze internazionali». Due giorni fa monsignor Franco ha incontrato il direttore del dipartimento interessato a Gerusalemme. Inoltre, c'è che sullo sfondo di questa piccola tempesta si muove la beatificazione di Pio XII. Beatificazione non gradita al mondo ebraico.
Il Messaggero, 13 aprile 2007
«Diffamato da nazisti e comunisti»
CITTA’ DEL VATICANO - «Ci sono tanti ebrei che devono tanto a Pio XII. Trovo offensivo per la memoria di questo grande pontefice esporre a Yad Vashem una didascalia come quella». Il gesuita padre Peter Gumpel, postulatore della causa di beatificazione di Eugenio Pacelli, ha da poco terminato di spedire la Positio al collegio dei cardinali della Congregazione delle Cause dei Santi. La causa di beatificazione corre veloce. «Sono state superare favorevolmente le prime due discussioni, quella degli storici e quella dei teologi. Ora ci avviciniamo alla terza investigazione, quella dei cardinali. Poi la pratica arriverà al Papa il quale deciderà se è d'accordo sull’eroicità delle virtù. Poi potremo iniziare a discutere dei miracoli attribuiti alla sua intercessione».
La decisione dei cardinali per quando è attesa?
«Spero presto, prima dell’estate. I cardinali sono normalmente molto occupati, la Positio e' voluminosa, circa 3 mila pagine, e occorre il tempo sufficiente».La causa è controversa...
«Un tempo, ora non più. Ci sono tanti ebrei che ora difendono il buon nome e la santità di Pio XII. E poi è sempre più chiaro su chi aveva interesse diffondere la leggenda nera: prima i nazisti e poi i comunisti».
Lei, che ha indagato tanto sulla vita di Pio XII, ha trovato zone d’ombra?
«No, non ce ne sono. Era un santo. E se io avessi trovato ombre non avrei firmato la Positio».
F.GIA.
Il Messaggero, 13 aprile 2007
La verità su Pio XII è "consultabile" da tutti. Ma c'è chi fa finta di niente
di Paolo Rodari
Non ho scritto, sul quotidiano di oggi, in merito alla decisione del nunzio apostolico a Gerusalemme, monsignor Antonio Franco, di non partecipare alle cerimonie del «Giorno della Rimembranza» per i martiri e gli eroi dell’Olocausto, che si terranno presso lo Yad Vashem il 15 aprile, in segno di protesta per la presenza di un foto di Pio XII nel museo, con la didascalia che riferisce del comportamento "ambiguo" del pontefice di fronte allo sterminio degli ebrei.
Non ho scritto ma se lo avessi fatto avrei detto che mi sembrano piuttosto pretestuose le giustificazioni ebraiche quando dicono che non tolgono la didascalia della foto fino a quando il Vaticano non aprirà loro gli archivi segreti su Pio XII.
Mi sembra pretestuosa perché innazitutto prima di accusare un pontefice bisogna avere le prove.
In secondo luogo il Vaticano ha reso per tutti disponibili gli “Actes et documents du Saint Siège relatives à la seconde Guerre Mondiale” in cui, in 12 volumi, sono raccolti tutti i documenti di archivio della Santa Sede durante la seconda guerra mondiale e quindi durante il pontificato di Eugenio Pacelli, iniziato nel 1939 e finito nel 1958.
Dodici volumi che nessuno si degna di studiare, sopratutto nessuno del museo di cui sopra.
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