9 ottobre 2007

Böckenförde: legittimo il tentativo di Papa Benedetto di far tornare la religione al centro della vita pubblica


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Per Böckenförde l’ateismo militante non fa bene allo stato secolarizzato

Marina Valensise

Roma. C’è ben poco di mondano nello spettacolo che si terrà questo pomeriggio al Teatro Eliseo. Il grande storico del costituzionalismo Ernst Wolfgang Böckenförde, studioso del potere costituente e dei paradigmi dello stato moderno, sale sul palco per discutere con Giuliano Amato e Rosy Bindi di stato liberale.
E in particolare per rispondere a una domanda: lo stato liberale ha bisogno di religione? Maria Grazia Cucinotta, l’attrice siciliana consacrata da Massimo Troisi, leggerà la storia di Rosa Parks, la nera dell’Alabama che rifiutandosi di alzarsi dall’autobus scatenò nel 1955 la rivolta per i diritti civili di Martin Luther King.
Ma la vera risposta al quesito di Giancarlo Bosetti, direttore di Reset e organizzatore dell’happening, verrà da Böckenförde, l’allievo di Carl Schmitt che ha posto nei suoi studi l’accento sull’inadeguatezza dello stato liberale moderno, incapace di garantire le sue stesse premesse.

“La mia tesi – dice il professore rispondendo alle domande del Foglio – è che lo stato liberale secolarizzato vive di premesse che esso stesso non può rispettare.
La religione, in effetti, non è l’unica di queste premesse, ma una delle più importanti, perché è quella che trasmette l’ethos nei rapporti dei cittadini, senza il quale la vita comune sarebbe impossibile in un ordinamento liberale”.

Che succede allora nello stato secolarizzato che sanziona la fine della religione? “Attraverso la fondamentale separazione tra lo stato e la religione, che vale nello stato secolarizzato, la religione – spiega Böckenförde – deve fare affidamento solo su se stessa. Non viene più garantita in alcun modo dallo stato, eppure, la sua esistenza viene resa possibile dalla stessa garanzia di libertà religiosa. La religione dunque può dispiegare la sua efficacia nella misura in cui per farlo le basta la sua forza interiore, e anzi solo in questa misura”.
E’ per questo che lei usa il concetto di “societas imperfecta?” per lo stato liberale?
“Questo concetto – risponde il professore, che è anche giudice alla Corte costituzionale tedesca – indica che lo stesso stato moderno non include più tutti i campi della vita umana. Lo stato liberale, proprio in virtù della separazione tra stato e religione non è più una societas perfecta, come la polis di Aristotele, ma una societas imperfecta”. Ma quando uno gli domanda se la sua critica allo stato liberale non stia proprio in una sorta di nostalgia aristotelica, il professore si schermisce:

“Io non critico lo stato liberale, ma lo difendo e lo sostengo. Critico solo il liberalismo quando non è più aperto alla religione, e la costringe invece ad allontanarsi dalla vita pubblica, a ritirarsi dall’agorà”.

E in questa affermazione respira non solo lo studioso del diritto costituzionale, che ha fornito argomenti decisivi a Jürgen Habermas, fondando la possibilità di incontro e di dialogo sui temi della religione tra il filosofo della scuola di Francoforte e il teologo Joseph Ratzinger, ma si sente anche lo studioso e prima ancora il discepolo di Carl Schmitt, il giurista nazista che fondò la sua teoria del politico, e la dottrina del decisionismo e dello stato totalitario, sulla critica della democrazia liberale e della sua infondatezza: “Ho molto imparato da Carl Schmitt, in particolare dai suoi scritti sul Diritto costituzionale e sul concetto di Politico. Ma ci sono anche molti temi sui quali ho assunto una posizione critica nei suoi confronti”.
Eppure Böckenförde, che di Schmitt è stato un attento frequentatore, di quell’esperienza dice di non voler parlare:
“Ho ancora molte lettere ricevute da lui, ma non intendo pubblicarle. Né ho intenzione di scrivere delle tante conversazioni
che ebbi con lui”.
Se invece gli si chiede un giudizio sul tentativo da parte del Papa Benedetto XVI di riportare la religione al centro della vita pubblica risponde che lo giudica “un tentativo legittimo, se per di più si considera, come ha dichiarato Papa Giovanni Paolo II, che uno stato moderno non deve fare dell’ateismo o della religione
un concetto politico, ma favorire piuttosto un clima culturale e un contesto legislativo, per permettere a ogni singolo individuo e a ogni comunità religiosa di vivere liberamente la propria fede, e anche esprimerla nella vita pubblica”.
Dunque niente laicismo militante, niente scientismo senza freni: “In Germania l’obbligo di tener conto nella giusta misura dei desideri umani è un norma positiva del diritto costituzionale in virtù della quale, per me, è possibile porre limiti alla ricerca scientifica, e secondo le mie convinzioni, persino escludere l’uccisione dell’embrione per studiare le cellule staminali. Il positivimo e l’ateismo militante con pretese esclusiviste sono incompatibili con la mia concezione dello stato secolarizzato”.

© Copyright Il Foglio, 9 ottobre 2007

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