4 ottobre 2007

Processo ai Templari: il Vaticano renderà pubblici gli atti


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Templari, la verità dopo sette secoli

Il 25 il Vaticano pubblicherà gli atti del processo che distrusse l’Ordine. Sono stati ritrovati nel 2001 da una ricercatrice in una pergamena che si credeva perduta

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO
E’un’opera preziosa e segreta, quella che verrà presentata il 25 ottobre nella Sala Vecchia del Sinodo, in Vaticano. Il titolo è di quelli che fanno venire l’acquolina in bocca agli appassionati del genere mistico-esoterico: il Processus contra Templarios si basa, sostanzialmente sul Foglio di Chinon, la pergamena scoperta nel 2001 dalla ricercatrice Barbara Frale nell’Archivio Segreto Vaticano. Ed è proprio l’Archivio che ha deciso di pubblicare quella che viene definita un’opera «monumentale». È un progetto prezioso, un’edizione rigorosamente limitata a 799 esemplari, contenente la riproduzione fedele degli originali conservati nell’Archivio.

L’opera s’inserisce negli Exemplaria Praetiosa, ovvero la più elaborata pubblicazione che l’Archivio abbia finora realizzato. «È un’opera importante - dice lo storico Franco Cardini, che parteciperà alla presentazione del volume -. Contiene gli ultimi documenti pubblicati sulla vicenda, con la pergamena originale rintracciata in Vaticano». La pergamena fu scritta nel 1312, l’anno dello scioglimento dell’Ordine da parte del papa; uno scioglimento, tiene a precisare Cardini, non una condanna: «La prerogativa del papa era quella di sciogliere l’Ordine, ma non lo condannò mai». Il Foglio di Chinon, sfuggito per secoli e secoli all’attenzione degli studiosi a causa di un errore nell’archiviazione compiuto nel XVII secolo, getta una nuova luce sulla fine di quello che fu uno degli Ordini più potenti e famosi del mondo e, fra l’altro, testimonia che il pontefice non lo considerava eretico. La condanna per eresia dei tribunali ecclesiastici locali «si fonda sulle confessioni di alcuni Templari - spiega Cardini - che però poi ritrattarono e per questo motivo furono considerati “relapsi”, cioè ricaduti nell’errore per cui erano stati processati e condannati. E il potere temporale, l’unico che aveva l’autorità per farlo, li condusse al rogo».
Quanto sia importante per l’Archivio quest’opera lo dimostra il «cast» dei presentatori: oltre all’archivista bibliotecario di Santa Romana Chiesa, l’arcivescovo Raffaele Farina (futuro cardinale) e al prefetto dell’Archivio segreto vaticano, il vescovo Sergio Pagano, ci saranno Frale, Cardini e l’archeologo e scrittore Valerio Massimo Manfredi.
«Tra le accuse che vennero rivolte ai Templari - spiega Cardini - c’erano quelle di essere stati in qualche modo sedotti dall’Islam e attirati dall’eresia catara. Due elementi che non potevano coesistere». Cardini sta per pubblicare per Vallecchi un libro intitolato La tradizione templare, che rifà la storia dell’Ordine, non trascurando le ricostruzioni del Codice Da Vinci di Dan Brown. I motivi della condanna furono politici (francesi) e non religiosi: «Gli avvocati del re di Francia non avevano in fondo bisogno di costruire un coerente edificio accusatorio: quel che interessava loro era che fosse efficace e credibile al livello dell’opinione pubblica».Salendo sul rogo, Jacques de Molay (in un’immagine ottocentesca) avrebbe maledetto Filippo il Bello e Clemente V. E, in effetti, il papa morì un mese dopo di dissenteria, il re di Francia nel dicembre successivo per una caduta da cavallo. Sempre secondo le innumerevoli leggende fiorite sulla fine dei Templari, il Gran Maestro avrebbe anche maledetto la casa reale francese «fino alla tredicesima generazione»: appunto quella di Luigi XVI, morto, anche lui sul patibolo durante la Rivoluzione.

© Copyright La Stampa, 4 ottobre 2007


E venerdì 13 diventò una data nefasta

Fu in quel tragico giorno dell’ottobre 1307 che il re di Francia iniziò la caccia all’uomo

VINCENZO TESSANDORI

Quella notte sarebbe diventata sinonimo di sventura, nella vecchia Europa. Venerdì 13. C’era luna piena a metà ottobre del 1307; oggi, 700 anni dopo, sarà sabato e novilunio: impossibile la caccia all’uomo che allora permise di celebrare il processo. Jacques Vergès, avvocato francese che ha legato il suo nome ai giudizi contro i militanti del Fln algerino, difensore del terrorista Carlos «lo Sciacallo» e autore di De la stratégie judiciaire, Strategia del processo politico, e la cui vita ha ispirato il film L’avvocato del diavolo, attualmente nelle sale, ha osservato come «il bel processo dei Templari - diciamo bello come può dirsi bella una ferita - rassomiglia una partita a scacchi». Soprattutto somigliò a una farsa feroce. Venne seguito uno schema talora adottato dall’Inquisizione e divenuto metodo negli anni bui dello stalinismo: fabbricare prove di delitti tremendi che avrebbero schiacciato imputati dai quali si voleva soltanto la confessione. Dunque, consentito ogni mezzo, e il più lecito ed efficace era la tortura. Naturalmente, la sentenza è già scritta. Sette secoli più tardi, ne avremo forse la prova dalla lettura del volume sul Processus contra Templarios, basato sui verbali di allora, che sarà presentato in Vaticano, giovedì 25 prossimo, dai monsignori Raffaele Farina, archivista bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e Sergio Pagano, prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano.
Difficile che alla base di un processo politico non vi siano motivi poco limpidi. E quello fu il padre di tutti i processi politici. Potere contro potere, la spada contro l’aspersorio, Filippo IV il Bello, monarca di Francia, contro Clemente V, il pontefice di Roma. Sullo sfondo di questa lotta senza quartiere, o in primo piano, i tesori accumulati dai cavalieri del Tempio, l’unico strumento che, agli occhi del re, avrebbe risolto i problemi economici della neonata burocrazia e il fatto che lui dovesse ai monaci guerrieri 300 mila fiorini, bruciati per cominciare quella guerra che sarebbe durata cent’anni contro l’Inghilterra. Alla cupidigia in Filippo si univano un sano sospetto sulla fedeltà dei Templari alla parola di Cristo e un sordo rancore perché l’ordine aveva respinto la sua domanda d’iniziazione: la decisione era stata presa perché serpeggiava fra i cavalieri la convinzione che il re volesse scalare la gerarchia per diventare Gran Maestro e allungare così le mani sulle proprietà del Tempio. Ma un altro e, forse, più serio motivo allarmava il re. Diffuso da Cipro alla Spagna, l’Ordine rappresentava una realtà trasversale alle monarchie europee, una insopportabile contraddizione dei nazionalismi, pure di quello ancor verde del regno di Francia.
Certo, liberarsi dei Templari sarebbe stata un’operazione complessa. Indispensabile l’appoggio della Chiesa, ma il Papa, seppur francese e debole, non l’avrebbe concesso senza concrete ragioni. Filippo ne era consapevole e portò avanti con pazienza il suo disegno. L’occasione decisiva gliela offrì, nel 1303, Esquieu de Floryan, già priore di Montfaucon, che aveva assassinato presso Milano il governatore provinciale dell’Ordine e si era rifugiato a Parigi. Al suo arrivo, Guillaume de Nogaret, ministro del re, lo fece rinchiudere nel castello reale di Tolosa, il braccio della morte. La stessa cella ospitava tal Noffo Dei, un tipaccio arrivato dalla Toscana per rappresentare in Francia i banchieri fiorentini. Costui raccolse la confessione dell’omicidio e dei peccati di cui si sarebbero macchiati i cavalieri e capì che avrebbe potuto barattare quelle informazioni. Patteggiò. Il «pentito» raccontò ciò che il re voleva udire. Riferì che durante la cerimonia d’iniziazione ai neofiti s’imponeva di rinnegare Cristo, sputare sulla croce, baciare l’«osculum infame», il culo del Mestro, e offrirgli il corpo per i «mal protesi nervi», come disse Dante di Brunetto Latini, scaraventato nel girone dei peccatori «contro natura». Insomma, un elenco infinito di accuse raccolte poi in un cospicuo dossier dal quale i giudici del re cavarono undici capi d’imputazione fra i quali spiccavano avidità, orgoglio, sfarzo, sodomia, eresia. E idolatria: si sostenne che i cavalieri adorassero il rospo o il gatto, ma soprattutto Baphomet o Acharnoth, divinità androgina con petto di donna e ali di demonio; che provassero verso l’Islam un’attrazione fatale; che amassero fornicare pure con altri culti. Del resto, arroganza ed eccessi avevano guadagnato loro pessima fama, proverbiale l’espressione: «Bibere templariter», «tracannare come un templare». In realtà il detto era: «Bere come un vetraio», ma fu adattato alla bisogna.
Il 14 settembre 1307 il tempo sembrò maturo e, in segreto, fu spiccato l’ordine di cattura collettivo. Ma per eseguirlo, bisognava attendere il momento propizio. Che arrivò il 12 ottobre, ai solenni funerali, a Parigi, della cognata del re, Caterina di Courtenay. Con pacata e ostentata benevolenza il sovrano accolse Jacques de Molay, Gran Maestro del Tempio e inviato del papa. All’indomani, il blitz. Alla medesima ora, in ogni angolo del regno, le guardie reali snidarono i cavalieri, 150 nella sola Parigi, anche de Molay in ceppi. Poi la caccia si era allargata a tutta Europa e fu la fine dei Templari, ma non della loro leggenda. Per tenersi coperte le spalle Filippo aveva proclamato di aver ascoltato «le suppliche del nostro beneamato in Nostro Signore, Guillaume de Paris». Che era il grande inquisitore di Francia. Sottoposti a ogni tipo di tortura, compresa quella delle tenaglie arroventate, molti confessarono l’inconfessabile e solo in quattro, nella capitale, si proclamarono innocenti. Chi ammetteva la colpa, avrebbe avuto salva la vita; se ritrattava, finiva sul rogo. Anche il Gran Maestro del Tempio, robusto combattente e mediocre teologo, si scoprì impreparato e debole di fronte alla valanga delle accuse e, dieci giorni dopo l’arresto, il 24 ottobre, raccontò ai giudici la sua iniziazione, avvenuta 42 anni prima, quando lui ne aveva 22. «Quand’ebbi fatto ogni sorta di promesse sulle osservanze e gli statuti dell’Ordine, mi venne imposto il mantello. Fratello Humbert fece poi portare una croce di bronzo su cui si trovava l’immagine del Crocifisso e m’ingiunse di rinnegare Cristo, raffigurato su quella croce. Sebbene con rammarico, lo feci. Infine fratello Humbert m’invitò a sputare sulla Croce, ma io sputai per terra». L’indomani, davanti ai professori e agli studenti dell’università di Parigi, il prigioniero confermò la confessione. Sopravvisse a sette anni di tormenti, ma il 18 marzo 1314 l’ultimo Gran Maestro, decise di non poter più mentire e rivendicò l’innocenza dei Templari. Con lui ritrattò anche Geoffroy de Charnay, Gran Precettore di Normandia: entrambi finirono sul rogo. «È quello il giorno che noi ricordiamo», dice Stelio Venceslai, gran Priore d’Italia, un templare dei giorni nostri. Ciò che vorrebbe dimenticare, invece, è quella notte.

© Copyright La Stampa, 4 ottobre 2007


Ma i cavalieri conquistano anche la Cina

L’anniversario Innumerevoli iniziative in tutta la Francia
E i “nuovi” monaci aprono le loro commende in venti Paesi


DOMENICO QUIRICO
CORRISPONDENTE DA PARIGI

Allora, cari fratelli (e sorelle) templari: l’«Ordo Supremus Militaris Templi Herosolymitani» e il gran Priore di Francia vi danno appuntamento sabato 13 ottobre, sì, il giorno in cui il re dalle mani insanguinate si illuse di averci sterminati, spazzati via dalla Storia come «mala gente». Se volete potete portare la vostra cappa e alle 15 riunirvi in avenue de Choisy, nel tredicesimo arrondissement, nella chiesa di Notre Dame de Chine. «Il triste evento» non lo ricorderemo sull’Île de la Cité, non allo Square du Vert Galant che una volta si chiamava l’«isola dei giudei». Troppo occultismo di bassa lega, troppo inconfondibile odore di zolfo, ma hollywoodiano, in quelle pietre, sotto quella lapide. Il martirio di Jacques de Molay semmai lo celebriamo con l’investitura della prima «commanderie», casa templare cinese. Sì, anche la Cina entra nella geografia dei templari, insieme ad altri venti Paesi, dagli Stati Uniti alla Bolivia alla Lituania, una geografia più grande di quando le fortezze dell’Ordine si estendevano dall’Aragona a San Giovanni d’Acri.
Diabolici templari. Re Filippo pensava di metter loro le briglie del suo rachitico assolutismo e loro, 700 anni dopo, sono più vivi che mai con gli spadoni, le cappe, le cerimenie dell’investitura. Il re è ingoiato dall’ombra e invece la rivincita degli sconfitti si nutre di un fiume di carta, li trasforma nei primi eroi della persecuzione politica. Sono diventati perfino eroi di innumerevoli fumetti, condannati a un’infinita e voluttuosa adolescenza. Da quando, nel 1960, Pierre Plantard, occultista con fallite ambizioni politiche, «scoprì» che in una parrocchia campestre, a Rennes-le-Château, un curato di campagna aveva ritrovato nel 1885 il tesoro dei Templari (ma solo per farlo risparire), siamo diventati pericolosamente golosi di un altro capitolo della leggenda. Già, dov’è il tesoro? In Scozia? No, giurano altri: in Spagna. E perché non patriotticamente nel sud-ovest della Francia, dove le «commanderies» erano numerosissisme? Ma non è meglio pensare che abbia ragione Dan Brown, che, cioè, non fosse un banale peculio precapitalistico dei monaci-banchieri ma un patrimonio spirituale, alterno e estenuante luccicare di verità e inganni?
Sarà ben ricco questo 13 ottobre nel regno di Francia e di Navarra, di rievocazioni e di investiture. Alla «commanderie» di Vaillampont c’è anche il pranzo dei monaci guerrieri: 20 euro, senza bevande. Il menu è storia: Hypocras di Merlino e Mistembecs de la fée Viviane, tranchoir di Brocéliande (formaggio di capra e porcellino affumicato), Farcin di Coquelet al ventre di fagiano con salsa naturalmente Jacques de Molay, torta di Normandia e pere alla catara, Moka di Gerusalemme. Di che lamentarsi se Rabelais calunniava i Templari come smodati a tavola?
Unica voce assente in questa furia rievocatoria, lo Stato francese, che pure ha riabilitato tutto il possibile, ha affratellato Marat e Maria Antonietta, gettato gli occhi in tutti i baratri. Ma i Templari, quelli no! Impero o République, è sempre rimasto fedelissimo alla sentenza dell’infame processo. Forse perché la nazione è figlia dell’assolutismo di Filippo il Bello?

© Copyright La Stampa, 4 ottobre 2007


Processo ai Templari Il Vaticano svela i documenti segreti

L’Archivio Segreto Vaticano sta per pubblicare Processus contra Templarios, un volume prezioso in edizione rigorosamente limitata a 799 esemplari, dove si potranno leggere le riproduzioni fedeli di antiche pergamene che ricostruiscono il processo ai Templari, l’Ordine dei Cavalieri creato dopo la prima Crociata e soppresso tra il 1312 e il 1314.

© Copyright Il Giornale, 4 ottobre 2007

2 commenti:

Blog creator ha detto...

Bene, è un buon argomento. Che conosco molto bene.
Tra l'altro la Frale, grande ricercatrice e studiosa, Diplomata vaticana, ha già pubblicato sulla faccenda ottimi volumi.
Che vi consiglio.

Anche perchè, purtroppo, sul templarismo, ormai in mano massonica, e non lo dico solo io, c'è di tutto.

Era un Ordine. E' stato sospeso.
Punto.
Ma imperversano Templari su, templari giu, Templari qui e quo e qua. Un occhio alla rete e vedrete quanta fuffa gira.
Anche su pseudo, e ripeto, pseudo templari cattolici.
E parlo perchè conosco bene l'argomento, ma proprio bene.
Magari se ce ne sarà motivo, ve ne darò ragione e ragguaglio.

euge ha detto...

Grazie Umberto