20 gennaio 2008

Angelus del Papa: interviste a Luciano Violante e Marcello Pera ("Il Messaggero")


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«Sì al Papa che fa riflettere, no a quei cattolici che fanno a gara per legittimarsi»

di ALBERTO GUARNIERI

ROMA - Credente ma non cattolico, il primo presidente della Camera ad invitare un Papa a Montecitorio, Luciano Violante (oggi alla guida della commissione Affari costituzionali) ha le idee molto chiare sull’Angelus di oggi a piazza San Pietro, che in molti hanno già ribattezzato “Papa day”.

Parteciperanno anche molti laici. Una sorta di seconda Canossa, presidente?

«E una cerimonia della religione cattolica. Chi crede, vada».

Pare stia diventando anche un’altra cosa.

«Se diventasse una manifestazione politica, assumerebbe un carattere propagandistico. Sia preoccupazione di chi l’ha organizzata evitarlo».

Il cardinal Ruini ha detto: “Noi non vogliamo certo dettare l’agenda politica. Ma oggi in Italia chi la detta?“.

«Ruini tocca una questione cruciale. Oggi l’intero mondo politico non appare in grado di definire un ordine politico con doveri, gerarchie e ruoli. E a volte sembra prevalere ciò che è contingente».

La politica non è sufficientemente laica per affermare le sue ragioni rispetto alla Chiesa?

«La Dc sapeva essere laica. De Gasperi disse di no a Pio XII che voleva un patto tra DC e MSI per eleggere il sindaco di Roma. Zaccagnini, segretario della DC, non partecipò all’Angelus di Paolo VI, quando si seppe che avrebbe parlato di Aldo Moro sequestrato dai terroristi. Tra gli eredi di quel partito a volte, per cercare una legittimazione, c’è una gara a chi è più papista del Papa. Ma in democrazia la legittimazione la danno sempre e solo i cittadini».

E così torniamo alla crisi dei laici, della politica laica.

«La crisi è di tutta la politica. La legge elettorale Calderoli ha rotto il rapporto tra società e politica perchè i parlamentari sono stati scelti dalle oligarchie di partito e non dai cittadini, che giustamente non si sentono più rappresentati».

E’ questo che ha portato la Chiesa ad avere quasi il monopolio dell’etica?

«Qualsiasi religione ha una innata tendenza espansiva. Sta alla politica difendere i propri confini. Ma credo che oggi sia soprattutto un’altra la ragione che ha spinto le gerarchie cattoliche su temi secolari».

Quale?

«L’irrompere nel mondo occidentale dell’islam, una religione senza confini, che investe massicciamente tutti gli aspetti della vita. A volte mi sembra che nel mondo cattolico sia presente una tendenza a giocare il proprio primato sullo stesso terreno, quello del secolarismo».

Ed è forse questa radicalizzazione a trasformare la risposta laica in una risposta spesso puramente anticlericale?

«Prendiamo pure l’esempio de La Sapienza. E’ venuta a crearsi la situazione che conosciamo. E’ stato indubbiamente commesso un errore. Questo Papa pone nei suoi discorsi il tema cruciale del rapporto tra fede e ragione. Riflette sui problemi del mondo e dei suoi equilibri geopolitici. A volte pone quesiti che la politica non riesce a porsi».

Quindi?

«L’università è luogo di ragione e non di scontro. Il suo discorso andava ascoltato e poi dibattuto. Una scelta certo migliore che non quella di contestarlo a priori».

C’è però anche chi pensa che proprio la singolarità di Benedetto XVI aumenti i problemi di dialogo.

«Giovanni Paolo II aveva conosciuto il nazismo e il regime comunista, era stato operaio. Era una personalità globale. Questo Papa è decisamente più occidentale. E si trova ad affrontare una delle crisi più gravi nella storia del mondo occidentale. Oggi i paesi in forte crescita sono Cina, India e Sud Africa. Benedetto XVI ci spinge a chiederci quale è il futuro dell’Occidente e dei suoi valori, che hanno dato la democrazia al mondo».

E come lo fa?

«Da Papa, naturalmente. Ma i temi che pone riguardano tutti noi. Meglio ascoltarlo che creare le condizioni per impedirgli di parlare. E’ meglio usare l’ago, della forbice. Di tagliatori ce ne sono in giro fin troppi. Servono cucitori».

E all’Angelus cosa succederà, cosa si augura?

«Che nessuno, da nessuna parte, lo usi per altri fini. Cristo era sobrio nelle parole e nei gesti; dovremmo esserlo tutti».

© Copyright Il Messaggero, 20 gennaio 2008, consultabile online anche qui


«Se nasce il partito clericale la colpa è del laicismo, non di Benedetto XVI»

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Senatore Marcello Pera, le proteste dei 67 scienziati che hanno detto “no” al Papa pongono degli interrogativi. La laicità si sta caricando di anticlericalismo?

«La laicità, la sana laicità, è avversata dal fronte laicista. E’ sotto attacco. Una minoranza tracotante e supponente nega la dimensione della fede. Il laico è colui che basa la propria concezione del mondo non su una fede rivelata, ma non la esclude, è rispettoso della fede altrui. Il laicista, invece, nega il fondamento del credere, lo trova irrazionale, primitivo, non moderno. Il laicista irride il credente, il laico no. Ma i valori dello Stato democratico, primi fra tutti la dignità, il concetto di persona, i diritti umani, hanno fondamento religioso, discendono dal cristianesimo. Ecco perché i laicisti, nell’essere antireligiosi, sono contro lo Stato democratico in cui dicono di credere e in questo modo segano il ramo su cui sono seduti».

Lei ci sarà a San Pietro?

«Sì, ma per me non è solo questione di solidarietà. Intendo testimoniare tre cose: il diritto del Papa a parlare, la mia adesione ai suoi principi, l’impegno contro il rischio che nasca il clericalismo».

Si può parlare di crisi della laicità?

«C’è un impoverimento, un affievolimento, che corrisponde alla crisi del liberalismo. In parte la laicità è divenuta laicismo, che si è nutrito dell’indebolimento della cultura laica, generando il clericalismo. Perché, negando alla Chiesa il diritto di intervenire nella vita pubblica, si produce la chiusura, come atto di difesa. I cattolici, attaccati, si chiudono e rischiano di diventare clericali. Perciò, se nasce il clericalismo, per ironia, la responsabilità è dei laicisti, di quelli cioè che non lo vorrebbero. Perciò i laici hanno un grande compito, quello di contrastare il laicismo e la possibile deriva clericale. Non mi sembra che in Vaticano si voglia un partito clericale e questo mi consola. Del resto, il contrario sarebbe un tradimento del pensiero del Papa che non vuole partiti clericali ma diffusione del pensiero cristiano. Il partito clericale è una setta, il pensiero cristiano è ecumenismo».

La laicità non nega e non dà giudizi aprioristicamente. Nel caso della Sapienza, invece, abbiamo visto che si è risolta nell’anticlericalismo trasformandosi in ideologia. Che peso ha questa ideologia nella politica e nella società?

«E’ rappresentata da una minoranza rumorosa che è arrivata a orientare classe politica e élite culturali. Basti pensare alle leggi bioetiche, ai matrimoni omosessuali, alla negazione delle differenze di sesso».

Ruini ha detto: la Chiesa non scrive l’agenda politica, ma chi la fa. Però c’è un vuoto in cui la Chiesa si inserisce. Non è pericoloso?

«La situazione della politica è così debole che se davvero volesse, la Cei potrebbe scrivere l’agenda. Ma confido nel senso di responsabilità della Chiesa. Però si sta verificando un vuoto, tanta gente chiede di tutelare l’identità italiana ed europea, ha paura dell’Islam, è smarrita dalle legislazioni in materia di bioetica e dalla scienza biologica, ma la guida la trova nelle parole del Papa, non la trova nella politica perché questa non risponde. E’ chiaro che la colpa non è di Ratzinger, ma della debolezza della politica».

Mai stati tanti gruppi. Teodem, teocon, cattolici adulti, cattolici del Pd e della Cdl. E’ possibile un grande centro e una loro ricomposizione?

«I gruppi rispondono tutti a una diversa interpretazione dell’ispirazione cristiana, che in politica si traduce anche in posizioni di destra o di sinistra. Non voglio giudicare, ma hanno tutti fondamento, non c’è il partito unico dei cristiani, c’è una molteplicità di movimenti e di interpretazioni. Il cattolicesimo non può essere ridotto a un partito, si svilisce, si perde lo spirito ecumenico».

Lei è un filosofo della scienza, che cosa pensa del Papa accusato di avere approvato il processo a Galilei?

«Qualunque cosa abbia detto, Ratzinger ha diritto ad esprimere il suo giudizio. Credo però, che sulla base dei criteri della scienza attuale, Galileo sarebbe condannato dai suoi colleghi scienziati, così positivistici e rigorosi che la teoria di Galileo risulterebbe essere priva di prove scientifiche».

Crede che i media abbiano enfatizzato il caso Sapienza?

«Si è enfatizzato da solo, il fatto è stato gravissimo. Le autorità sia accademiche che di governo sarebbero dovute intervenire prima».

© Copyright Il Messaggero, 20 gennaio 2008, consultabile online anche qui

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