19 gennaio 2008
Card. Saraiva Martins: "Benedetto non farà un comizio. L'iniziativa dei docenti che hanno sbarrato le porte al Papa è tristissima" (Tornielli)
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"Ma Benedetto XVI non farà un comizio"
di Andrea Tornielli
Lo hanno definito «il cardinale del sorriso» ed è noto nella Curia romana per essere un inguaribile ottimista. Anche in questo caso, José Saraiva Martins, il porporato portoghese Prefetto della Congregazione delle cause dei santi, non perde il suo buonumore: «Quello che sta accadendo in queste ore, con le adesioni di fedeli, di uomini di cultura, di tanti giovani intenzionati a venire a Roma domenica per manifestare al Papa il loro affetto è qualcosa di molto bello. Bisogna fare in modo che rimanga un momento di preghiera e un momento di festa».
Eminenza, che cosa si aspetta dopo l’invito del cardinale Ruini ad essere in piazza San Pietro domenica per solidarizzare con Benedetto XVI, al quale si è negata la parola alla Sapienza?
«Il cardinale Ruini aveva fatto un invito ai fedeli della diocesi di Roma. Nessuno immaginava che le sue parole sarebbero state accolte in tutta Italia. Si prevede un’affluenza massiccia e sono contento che lo stesso Vicario del Papa abbia voluto ben spiegare che si tratta dell’Angelus di Benedetto XVI e non di un comizio. Ogni strumentalizzazione sarebbe inopportuna, del tutto fuori luogo».
Resta il fatto che si tratterà, concretamente, di una prova di forza...
«Non userei assolutamente queste parole. Non ci sono prove di forza da dimostrare. C’è soltanto l’affetto e la vicinanza al padre comune. Ma in un clima di preghiera, non di manifestazione politica.
Benedetto XVI ha preso la sofferta decisione di non recarsi alla Sapienza proprio come un atto di responsabilità, dopo le polemiche veramente eccessive e infondate, sapendo che c’era il rischio di incidenti. Non rischi per la sua persona, ma per le altre persone. Il suo è stato dunque un atto di distensione.
È bello che gli si dimostri vicinanza, perché in questo caso, purtroppo, una minoranza ha avuto la meglio sulla stragrande maggioranza dei docenti e degli studenti dell’ateneo romano, ma la presenza di domenica è giusto che rimanga quella dei fedeli che si stringono al loro pastore e pregano con lui e per lui».
Converrà, però, almeno su questo: le adesioni che stanno arrivando, le presenze preannunciate, fanno immaginare che domenica si celebrerà un evento di grande portata. C’è molta indignazione per ciò che è accaduto, secondo lei?
«Ho potuto constatare personalmente, qui a Roma, come tante, tantissime persone abbiano avvertito la mancata visita alla Sapienza come una ferita. Io sono stato professore e rettore di un’università. Gli atenei, come ha spiegato lo stesso Benedetto XVI nella bellissima allocuzione che aveva preparato per la Sapienza, sono nati in ambito cristiano. La fede cristiana non è affatto nemica della ragione. “La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità”, ha scritto Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et ratio. La separazione tra ragione e fede è un grande dramma per l’uomo, perché sono due realtà che non si oppongono, ma si completano e si illuminano a vicenda. Da sempre l’università è stato luogo di ricerca libera, di confronto.
L’iniziativa dei docenti che hanno voluto sbarrare le porte a Benedetto XVI, tra l’altro sulla base di una citazione sbagliata tratta da una sua conferenza, resta un episodio tristissimo, che provoca amarezza e che non è degno dell’università».
Quali saranno le conseguenze della mancata visita alla Sapienza?
«Spero vivamente che l’unica conseguenza sia quella di comprendere come il rifiuto del dialogo, il rifiuto delle ragioni dell’altro, la mancanza di accoglienza e di confronto sono elementi patologici che rischiano di far morire la peculiarità delle università. Basta leggere le motivazioni di coloro che volevano che il Papa non venisse, e poi di seguito la bella lezione di Benedetto XVI per accorgersi da che parte stanno ragionevolezza, apertura, disponibilità al dialogo. Chi tira ancora in ballo, oggi, il caso Galileo, e in nome di ciò che è accaduto secoli fa sbarra la strada al Papa che ha soltanto accolto un invito rivoltogli dal rettore e dal senato accademico, non è sintonizzato sull’orologio della storia».
© Copyright Il Giornale, 19 gennaio 2008 consultabile online anche qui
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