22 gennaio 2008
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Parole e gesti che indicano la via
MARCO TARQUINIO
Parole e gesti d’insultante intolleranza contro Benedetto XVI hanno alimentato il caso 'La Sapienza'. Parole e gesti del Papa e di un intero popolo, che domenica gli si è stretto attorno a San Pietro e in tutta Italia, hanno indicato la via per chiuderlo.
E lo hanno fatto nella maniera propria dei cristiani, che con le ragioni di un amore e di una sapienza più grandi – e senza mai rinunciare a testimoniare e ad agire secondo giustizia – sanno superare anche l’ingiustizia.
Parole e gesti, un binomio inscindibile. Nel bene e nel male. Insieme sono stati usati per creare l’insopportabile clima che ha indotto Papa Ratzinger, come egli stesso ha ribadito, a «soprassedere mio malgrado», rinunciando a intervenire alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno accademico dell’antica e grande università romana.
Insieme hanno lanciato, ancora una volta, il forte messaggio di rispetto e dialogo nella chiarezza che è «missione della Chiesa» e cifra indelebile di questo pontificato. Un messaggio che è arrivato al cuore e all’intelligenza di tutti coloro che hanno saputo ascoltarlo – cattolici o «uomini di buona volontà» – e anche di qualche commentatore e titolista di giornale senza pregiudizi laicisti.
Di quelli, cioè, che hanno letto davvero il 'discorso mai pronunciato' scritto da Benedetto XVI per l’incontro con la comunità di studio e di ricerca della 'Sapienza'. Che hanno guardato e compreso il gigantesco abbraccio delle persone riunite in folla strabocchevole per l’«Angelus» a San Pietro. E che prima di dire la loro – a differenza di alcuni altri altezzosi colleghi – hanno atteso, ascoltato e capito le parole e il gesto rappacificante del Papa.
Parole e gesti, che non possono essere equivocati. O ridotti a pretesti e contesti di piccola politica. O, addirittura, tradotti nel loro esatto contrario. Com’è regolarmente accaduto, purtroppo. Per esempio, là dove ieri ( l’Unità) s’è invece preteso di far sapere a tutta pagina che «il Papa si converte alla tolleranza». O là dove ( La Stampa) s’è titolato, con tono irrisorio, «'Dialogo e rispetto', Ratzinger scioglie l’adunata».
Tutto è stato perdonato da Benedetto e dal popolo che gli si è raccolto intorno, verrebbe da annotare, ma nulla è stato sciolto.
Certo non è stato sciolto il saldo e libero legame tra il Papa e i credenti che solo chi non sa – o ha dimenticato – può immaginare e descrivere per amor di polemica come un’«adunata». E probabilmente resta largamente da sciogliere – per manifesta e radicale indisponibilità ad accettare storia e realtà italiana – anche l’equivoco che nutre da sempre certa propaganda e certa militanza anticlericale. Quello per cui i cattolici dovrebbero, appunto, obbligatoriamente 'convertirsi' a una sorta di religione civile di stampo relativista. Razionalità, ricerca del dialogo e rispetto delle opinioni altrui dovrebbero cioè, per costoro, essere intesi come sinonimi di rinuncia e resa. Rinuncia non immediatamente e formalmente a Dio (che andrebbe 'solo' rinchiuso in una sfera individuale e comunitaria rigorosamente privata), ma a un’armonica visione dell’uomo e della sua dignità. E dunque resa – secondo l’allarmata immagine usata da Papa Ratzinger nel discorso per la 'Sapienza' – «davanti alla questione della verità» e, per questa via, rassegnazione alla logica degli «interessi» contingenti e delle mere «utilità».
Eppure le parole e i gesti di Benedetto XVI, insieme alle parole e ai gesti di tutti coloro – cattolici e no – che anche domenica si sono raccolti intorno a lui senza calcoli e retropensieri, sono assolutamente nitidi.
Eppure l’invito a un dialogo libero e responsabile, realmente pensoso del destino dell’uomo e del mondo, è di una forza coinvolgente. Che motiva e che disarma.
Che non alza steccati. Che chiede quello che già dà: profondità e rispetto.
© Copyright Avvenire, 22 gennaio 2008
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