22 gennaio 2008

Il Papa davanti alla folla che gremiva San Pietro: "Ho rinunciato mio malgrado alla visita" (Avvenire)


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L’Italia contro l’intolleranza In 200mila a San Pietro ridanno voce a Ratzinger (Scafi per "Il Giornale")

"Andiamo avanti in questo spirito di fraternità, di amore per la verità e per la libertà, nell'impegno comune per una società fraterna e tollerante"

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«Ricercate sempre verità e bene»

Il Papa davanti alla folla che gremiva San Pietro: ho rinunciato mio malgrado alla visita

DA ROMA SALVATORE MAZZA

Un tappeto di gente da piazza San Pie­tro a via della Conciliazione. Ban­diere e striscioni. Canti e grida di sa­luto, di sostegno e di solidarietà. La compo­sta, e gioiosa, risposta dei fedeli alle roventi polemiche che la settimana scorsa hanno indotto il Papa a «soprassedere, mio mal­grado », a visitare l’Università romana La Sa­pienza.
Una risposta di vicinanza al Ponte­fice, affettuosa e spontanea, che in risposta all’invito del cardinale vicario Camillo Rui­ni ha portato in piazza non solo gruppi, mo­vimenti, associazioni, ma intere famiglie. Tutti lontani da ogni tentazione di rivincita: e lì, solo, per raccogliere l’invito alla «frater­nità » e alla «ricerca della verità e della libertà, nell’impegno comune per una società fra­terna e tollerante».
La domenica straordinaria di piazza San Pie­tro è stata questa. Riassunta nei 200mila ri­trovatisi per l’appuntamento dell’Angelus a stigmatizzare, con la loro sola presenza, la vergogna di una censura vigliacca che, a tut­ti, è apparsa al di fuori del tempo e della realtà. Per questo 'Non sei venuto da noi; noi veniamo da te!”, recitava uno degli striscio­ni alzati dagli universitari, ai quali Benedet­to XVI, al termine, ha rivolto una saluto spe­ciale rispondendo ai loro applausi e ai loro slogan di “ Viva il papa” e “Libertà”, con l’e­sortazione a continuare «a vivere in questo clima di fraternità, nella ricerca della verità e della libertà, nell’impegno comune per u­na società fraterna e tollerante».
L’afflusso in piazza era iniziato già verso le 9.30 del mattino, e un’ora e mezzo più tar­di lo spazio all’interno dei due bracci del colonnato già non bastava più a contenere la gente, mentre il flusso degli arrivi si face­va di minuto in minuto più intenso. Tempo passato tra canzoni e vocii, finiti col fon­dersi in un’unica ovazione quando Papa Ratzinger, sorridente, è apparso finalmen­te alla finestra del suo studio per guidare, co­me ogni domenica, la preghiera mariana di mezzogiorno.
Quando finalmente riesce a prendere la pa­rola, Benedetto XVI non accenna alla vi­cenda dell’università, e dedica la sua rifles­sione alla Settimana di preghiera per l’U­nità dei Cristiani, che quest’anno celebra il suo 100mo anniversario e il tema – 'Prega­te continuamente... – scelto nell’occasione. È solo dopo la preghiera che il Papa, davanti alla folla in piazza san Pietro, venuta ricor­da quanto è accaduto. E tutti ringrazia «di cuore», come ringrazia il cardinale Ruini «che si è fatto promotore di questo mo­mento di incontro». «Come sapete – spiega quindi senza toni po­lemici – avevo accolto molto volentieri il cor­tese invito che mi era stato rivolto ad inter­venire giovedì scorso all’inaugurazione del­l’anno accademico de La Sapienza. Conosco bene questo Ateneo, lo stimo e sono affe­zionato agli studenti che lo frequentano: o­gni anno in più occasioni molti di essi ven­gono ad incontrarmi in Vaticano, insieme ai colleghi delle altre Università. Purtroppo, com’è noto, il clima che si era creato ha re­so inopportuna la mia presenza alla ceri­monia. Ho soprasseduto mio malgrado, ma ho voluto comunque inviare il testo da me preparato per l’occasione».
Richiamando proprio questo testo, il Papa ha poi osservato come «all’ambiente universi­tario, che per lunghi anni è stato il mio mon­do, mi legano l’amore per la ricerca della ve­rità, per il confronto, per il dialogo franco e rispettoso delle reciproche posizioni». Un ambiente da vivere come «ricerca della ve­rità » e come «rispetto per le opinioni altrui» Per questo «come professore, per così dire, emerito che ha incontrato tanti studenti nel­la sua vita, vi incoraggio tutti, cari universi­tari, ad essere sempre rispettosi delle opi­nioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene».

© Copyright Avvenire, 22 gennaio 2008


VICINI A BENEDETTO

Ci sono ragazzi che hanno affrontato 1200 chilometri in macchina. Un insegnante: sarei qui anche se non fossi credente

«Siamo con te» E tutta la piazza abbraccia il Papa

DA ROMA MARINA CORRADI

Alle otto e mezza della mattina Ro­ma attorno a San Pietro è silenzio­sa. Quasi nessuno in giro. Ma nel­la quiete di Borgo Pio avverti da lontano no­te di chitarra che si avvicinano. Eccoli, i pri­mi: saranno in trenta, molti sono ragazzi. Un manipolo di fedeli dalla parrocchia della Cattedrale di Avezzano. Sono partiti alle sei. Cantando entrano nello spazio immenso della piazza. Mettono giù gli zaini, soddi­sfatti. Eccoci, sembrano dire, e si stanziano su una fetta di sampietrini con pacata de­terminazione – come chi torna a casa pro­pria. Da Pavia sono già arrivati dei neoca­tecumenali. Si vedono, i neocatecumenali, e soprattutto si sentono. Forse i loro canti li sente anche Benedetto XVI, lassù nei suoi appartamenti. Un tam tam di strumenti a percussione accompagna i loro girotondi. La gente che comincia a riversarsi in piazza ne pare come attratta, e guidata. C’è chi però non si ferma, e procede diritto verso la basilica, col passo svelto di chi sa dove deve andare. Nelle Grotte vaticane, davan­ti alla tomba di Giovan­ni Paolo II, c’è già una piccola folla, assorta, zit­ta, di gente con lo zaino in spalla. Anche qui, molti hanno meno di vent’anni. Uscendo ve­di, non lo avevi mai no­tato, su un muro un se­gno ampio, che riuscire­sti a stento a misurare con le braccia aperte: «Spessore delle mu­ra della basilica», c’è scritto. Sarà un metro e mezzo. E il sapere che quelle mura anti­che sono così larghe ti rallegra. La cattedra di Pietro sta poderosamente fondata sulla verticale della tomba del primo apostolo, duemila anni dopo. Nave ammiraglia di lunghissimo corso. Intanto fuori arrivano i ragazzi del Nord che stipati in cinque in u­na macchina calano a Roma. Lucilla, vent’anni, di Cl, studentessa della Univer­sità Cattolica, è partita coi suoi amici alle 4 e 20 del mattino. «C’era una nebbia fittissi­ma, da aver paura, nonostante l’ora erava­mo tutti sveglissimi per la tensione. Abbia­mo acceso gli abbaglianti: peggio, un mu­ro davanti. Solo a Bologna ha schiarito». Milleduecento chilometri di andata e ritor­no nella nebbia, per stare vicini al Papa. E quando finalmente entrano in piazza li ve­di che addentano voraci i panini, nella fa­me dei vent’anni. Poi srotolano gli striscio­ni: «Non sei potuto venire da noi, veniamo noi da te», leggi su quello portato da 50 ra­gazzi abruzzesi. A un ingresso la Cisl distri­buisce bandiere «La vuole piccola o gran­de? », chiede l’addetto agli iscritti. «Picco­la », dicono due pensionate, Gabriella e Car­la. La prima, ex tipografa, è iscritta alla Ci­sl dal ’55, quando aveva 15 anni. Lei e l’a­mica vengono all’Angelus tutte le domeni­che. Non sono abituate a portarsi bandie­re. Però quello che è successo alla Sapien­za, dicono, le ha offese. Sono qui, oggi, an­che per essere vicine al Papa. Qualcuno è più animoso. Il signor Dino Di Ranno, pen­sionato, si infiamma se gli chiedi perché è venuto: «Perché? Perché siamo in un Paese in cui una minoranza numericamente irri­levante come i professori della Sapienza ha più voce sui media di una marea di cittadi- ni pacifici, e cristiani, di cui non si parla mai», sbotta. Il popolo di San Pietro oggi è un popolo come sempre pacifico, coi bam­bini per mano, unica arma i passeggini u­sati come gentili ma decisi mezzi di sfon­damento per farsi strada nella calca. Ma, nei toni composti, si avverte anche una fer­ma, pacata voglia di dire: noi cattolici esi­stiamo, e rappresentiamo milioni di italia­ni. Qualcuno entra con la bandiera italiana sottobraccio. Perché? Domandi. «Perché in un’Italia che non lascia parlare il Papa io non mi riconosco. Porto qui un’altra Italia». Sono venuti quelli della Comunità Sant’E­gidio e la Comunità pakistana cristiana di Tivoli. C’è il gonfalone verde della Regione Lombardia. Ci sono semplici fedeli di Ro­ma: «Sei el core de sta città», hanno scritto. Passano tra la folla facce note di deputati e senatori. La gente non ci fa gran caso. Si a­spetta il mezzogiorno sotto un sole splen­dente. I neocatecume­nali cantano, gruppi di suore pregano, i ciellini discutono i fondi dei quotidiani. Moltissimi sono insegnanti e stu­denti. Mauro Grimoldi è un professore di italia­no e filosofia del liceo don Gnocchi di Carate Brianza. «Per me – dice – certa ostilità al Papa è ostilità a un modo di sta­re di fronte alla realtà, di chiedersi la ragione e lo scopo profondo di ciò che si fa. Credo che sa­rei qui anche se non fos­si credente. Per testimo­niare l’esigenza di uno sguardo sulla vita, che non sia quello della superficialità obbligatoria dei media». È quasi mezzogiorno e la piazza è colma. Ma quando arriva questo Papa? Brontolano dal basso i bambini. Li issano sulle spalle in tempo per vedere la finestra spalancarsi, il velluto rosso steso sul davanzale. Benedet­to XVI si affaccia e scoppia l’applauso che la folla covava da ore. Erano venuti anche per questo: San Pietro ora è una selva di ma­ni che lo salutano. L’Angelus nell’austera bellezza del latino sembra unire la folla, far­ne un’anima sola. Capiscono i polacchi e le suore nere dell’Africa, come nell’eco di u­na antica lingua materna e comune. E poi, quella mite voce d’acciaio che dice «Cari ciovani», e la parola «cordialmente» pare pronunciarla con la kappa. La gente alla pronuncia del Papa sorride, come si sorri­de dell’accento di un vecchio amico stra­niero. Un’inflessione teutonica sopra a pa­role serene. Sventolano gli striscioni e le bandiere. È un’Italia in pace quella di San Pietro, è la folla che esce la domenica sui sagrati dei nostri paesi. Con una civile vo­glia però, oggi, di mostrarsi: c’è anche la no­stra Italia, noi ci siamo.
Senza alcuna arroganza. Con, alle spalle, mura di fondamenta larghe un metro e mezzo. Sono i ragazzi da San Pietro che van­no a piazza Navona e in cinquanta, con le chitarre, si siedono per terra e si mettono a cantare l’Angelus in una lingua africana. So­no giovanissimi, e i loro sedici anni sotto questo sole già primaverile sono molto bel­li. La gente si ferma e fa crocchio attorno ad ascoltare. Li guarda, meravigliata. Alla fine applaudono. Che belle facce, come canta­no bene, dicono stupiti e quasi commossi. Poi, quei ragazzi tornano a casa, dentro la nebbia, contenti della loro bella fatica.

© Copyright Avvenire, 22 gennaio 2008

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