17 gennaio 2008

Souad Sbai: "Quell’intolleranza la conosco bene. Parola di un’islamica riformista"


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STANDING OVATION CONCLUDE LETTURA DISCORSO PAPA

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Eccoci qui! I giornaloni iniziano a fare i distinguo ed a sminuire la portata della vergogna italiana ma le chiacchiere stanno a zero...

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Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede! (il discorso che il Papa non pronuncera' alla Sapienza)

Il discorso mai pronunciato dal Papa, l'integralismo laico e la solidarietà del Foglio: servizio di Sky

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IL PAPA E L'OSCURANTISMO INTOLLERANTE DEI LAICISTI UNIVERSITARI: LO SPECIALE DEL BLOG

UN AFFRONTO IRRAZIONALE A CHI INVITA AD « ALLARGARE LA RAGIONE »

Quell’intolleranza la conosco bene. Parola di un’islamica riformista

SOUAD SBAI

Quando la notizia è arrivata, a metà pomeriggio, per un momento si è fermato tutto. La sede del centro culturale Averroè, a Roma, era affollata come sempre di amiche e collaboratrici: incredule e in silenzio ci siamo passate di mano in mano quei primi flash di agenzia. Non ci sembrava possibile quello che stava succedendo, che il Papa, questo Papa, fosse stato costretto a rinunciare al suo intervento nella più grande università italiana. Un uomo che per noi donne di cultura musulmana è prima di tutto l’uomo della pace e del dialogo, una figura mite e generosa che si adopera per far incontrare le diversità, soccorrere gli indifesi e gli oppressi, difendere in ogni parte del mondo i diritti della persona.
E non ci sembrava possibile che a metterlo alla porta fosse stata propria una di quelle università dell’Occidente a cui noi donne arabe – che ci ispiriamo a un pensatore come Averroè, paladino della ragione – guardiamo come una terra promessa del libero confronto di conoscenze e di saperi. Un luogo di speranza e non di intolleranza, per noi che sappiamo bene a cosa conduce l’intolleranza, tanto più quando si proclama intoccabile e si propone come depositaria di una ragione assoluta che si fa un merito di rifiutare le ragioni degli altri.
Anche per noi è stato un giorno di tristezza e di vergogna perché si è celebrata l’affermazione di un’ideologia faziosa e arrogante, di un laicismo illiberale e opportunista che vuole avere mani libere nella costruzione di una società italiana a sua immagine e somiglianza. Priva di valori, di contenuti, di spiritualità e di impulsi ideali.

L’ideologia che impedisce a Benedetto XVI di prendere la parola in un ateneo della sua città è la stessa che invita a parlare negli atenei alcuni estremisti islamici ed esponenti della sinistra più estrema. Accomunati, non a caso, dalla stessa ripulsa delle grandi verità della storia e dallo stesso rifiuto del pensiero umanistico così come dell’appassionante confronto sul rapporto tra fede e ragione che proprio Benedetto XVI ha messo al centro del confronto tra islam e Occidente.

Anziché raccogliere il suo ripetuto invito ad «allargare la ragione», si restringe irrazionalmente l’orizzonte della conoscenza e del dibattito, a detrimento degli studenti che stanno formando il loro bagaglio umano e intellettuale e del patrimonio culturale dell’intero ateneo.
Le prove generali della deriva dispotica e illiberale di un Paese, ce lo insegna proprio la storia, si fanno spesso nelle aule delle università. In alcuni Paesi arabi incamminati sulla strada delle riforme liberali e dove pure l’estremismo islamico è un pericolo ben presente, se un ospite viene invitato in un’università nessuno può permettersi di metterlo alla porta. E se questo dovesse capitare, i primi a ribellarsi sarebbero proprio i suoi studenti e i suoi insegnanti. Tutti, nessuno escluso, qualunque sia il loro credo politico, religioso o culturale. Se in Italia non è così vuol dire che quello a cui abbiamo assistito non è solo il giorno della tristezza e della vergogna. È l’alba della sconfitta della civiltà di un intero Paese.
Ma noi, come tanti insieme a noi, non ci stiamo.

© Copyright Avvenire, 17 gennaio 2008

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