6 luglio 2008

La fede stupenda della Betancourt (Lucio Brunelli)


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La fede stupenda della Betancourt

Lucio Brunelli

A «Dios, primero». A Dio, innanzi tutto, e alla Vergine, è andato il primo ringraziamento di Ingrid Betancourt, finalmente libera dopo sei anni di prigionia nella giungla colombiana. Chi ha avuto l'opportunità di seguire sulle tv satellitari, spesso a notte fonda, le lunghe dirette dedicate all'evento, è rimasto impressionato prima di tutto da questo. La fede di Ingrid, la fede semplice del suo popolo, in una donna diventata l'icona mondiale di una certa cultura laica, verde e pacifista.
Non è stato solo l'incipit intenso e commosso del primo discorso a rivelarci la sua fede, appena scesa dall'elicottero insieme agli altri ostaggi. È stato un susseguirsi continuo di parole, gesti, immagini. Lei e la madre Jolanda, in ginocchio, le mani giunte, sulla pista dell'aeroporto. Ingrid che mostra alla mamma il rosario rudimentale che tiene al polso, un braccialetto metallico usato come corona per contare le decine di Avemaria, con un piccolo crocifisso ciondolante. Ingrid che nella prima improvvisata conferenza stampa racconta di non provare odio, ma solo pietà per i suoi carcerieri. E il giorno dopo ribadisce, dicendo di affidare anch'essi nelle sue preghiere alla «misericordia di Dio». Poi, anche a Parigi, la città dei lumi, lascia di sasso i giornalisti che le chiedono informazioni sulla sua agenda. «Ho un appuntamento con la Vergine di Rue du Bac», risponde, riferendosi alla «Chapelle de la medaille» di Parigi dove la Madonna sarebbe apparsa all'inizio del 19° secolo. E poi, aggiunge, «adorerei» andare anche a Lourdes e a Roma, dal Papa. Bastava guardarla, mentre diceva queste cose, per capire che la sua fede nulla aveva umanamente a che vedere con la religiosità distorta e squilibrata a cui talvolta si aggrappa chi ha vissuto gravi traumi fisici o psicologici. I sorrisi e le lacrime, i gesti teneri con la mamma e i figli, il realismo delle valutazioni politiche, ci comunicavano l'immagine di una donna vera. I piedi per terra, sguardo limpido e trasparente. Le parole e i gesti cristiani, parte naturale, spontanea, della sua bella umanità.

Pochissimo si è visto della fede di Ingrid sui nostri media. Gli spazi ridotti dei tg e i tempi ristretti della stampa quotidiana hanno lasciato fuori molti dei dettagli prima accennati. Ma forse non si è trattato solo di questo. Abbiamo avuto l'impressione di un disagio, un imbarazzo crescenti proprio negli ambienti che l'avevano giustamente elevata a eroina, simbolo della lotta alla violenza e alla corruzione, in questi lunghi sei anni.

La «Aung San Suu Kyi dell'America Latina», come lei prigioniera e non violenta, come lei meritevole del premio Nobel per la pace.
Imbarazzano ora i ringraziamenti al presidente colombiano Uribe (suo ex avversario alle presidenziali del 2002) o al presidente conservatore Sarkozy? Questione di buonsenso, e soprattutto di buona educazione. Leggere sempre e tutto in «politichese» è una delle deformazioni peggiori della cultura prevalente nei nostri media. Avrà tempo, Ingrid, per chiarire il suo pensiero e riprendere l'antica battaglia contro la corruzione e per la pacificazione del Paese.

Forse procura più disagio, in certi ambienti, proprio la fede espressa in pubblico dalla Betancourt. Ma se così fosse, sarebbe ancora più deprimente. Perché nulla c'era di ostentato, di ideologico, di politico, insomma di «cristianista» nelle sue parole e nei suoi gesti religiosi. C'era solo la semplicità della tradizione cristiana riscoperta come la più familiare fonte di speranza e dignità per la persona umana. Un dono che aggiunge, non toglie, umanità alla Ingrid che conoscevamo già.

© Copyright Eco di Bergamo, 6 luglio 2008

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