8 luglio 2008
La libertà religiosa tra diritti e doveri di tutti (Cardia)
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OLTRE IL CASO DELLA MOSCHEA DI VIALE JENNER
LA LIBERTÀ RELIGIOSA TRA I DIRITTI E I DOVERI DI TUTTI
CARLO CARDIA
La questione della moschea di viale Jenner a Milano ripropone un grande tema legato alla multiculturalità, quello della libertà religiosa e del rispetto dei diritti dei cittadini. La libertà religiosa è un valore di primaria grandezza nel nostro ordinamento, non soltanto dal punto di vista individuale, ma perché la religione e la sua ispirazione etica costituisce un bene prezioso per la collettività, da tutelare e promuovere attraverso il dialogo tra le confessioni. Ogni intervento dei privati e delle istituzioni deve avere come obiettivo primario quello di garantire le condizioni per il rispetto della professione di fede e l’esercizio del culto da parte di tutti, cristiani o ebrei, buddisti o musulmani, e di rimuovere gli ostacoli (quando ve ne sono) per l’eguaglianza dei cittadini e dei gruppi sociali. Qualunque turbamento, sia pure indiretto, di questa esigenza spirituale e sociale urta sensibilità profonde e può provocare danni. Proprio perché la libertà religiosa è al vertice dei valori costituzionali, il suo esercizio deve contribuire a far crescere la coesione sociale, anziché intaccarla, nel rispetto di quelle norme, alcune scritte, altre di buon senso, che la regolano. È necessaria, ad esempio, una proporzione tra gli edifici di culto e i fedeli che vogliono frequentarli; e gli enti locali possono intervenire anche con sostegni finanziari (come previsto da leggi nazionali e regionali) perché si costruiscano le chiese, le moschee, o altri edifici, in luoghi adatti, e in modo che non ne abbia a soffrire la vita comunitaria delle città e dei quartieri. Da questo punto di vista, è errato tanto costruire le cosiddette cattedrali nel deserto, con faraoniche previsioni rispetto alla popolazione reale dei fedeli di un culto, quanto allocare i luoghi di preghiera in ambiti angusti, inadatti, privi dei requisiti necessari. Decoro e rispetto della fede devono essere alla base dell’edificio di culto. Neanche è immaginabile che i fedeli si riversino nelle strade per recitare la preghiera o esercitare il culto; non è dignitoso per il culto, è contrario alle esigenze di ordine sociale. È utile ricordare che anche per una semplice processione la legge prevede il previo avviso, e il consenso, delle autorità competenti. Se ci ispira a questi valori, e a questi principi consolidati nel nostro ordinamento, si possono risolvere problemi come quello delle moschee (a Milano o in altre città), di comune accordo con gli interessati. Soprattutto si possono evitare sia provvedimenti chirurgici inappropriati sia polemiche che non favoriscono il dialogo e l’incontro, ma inaspriscono i toni e il clima, anche al di là delle intenzioni di chi le promuove.
C’è poi un problema di fondo che riguarda il culto musulmano, ed è relativo alla rappresentatività di chi gestisce le moschee, e alla trasparenza con cui queste sono amministrate. Nella Dichiarazione di intenti dei musulmani moderati, resa pubblica al Ministero dell’Interno il 23 aprile 2008, furono importanti personalità musulmane a dichiarare che occorre, tra l’altro, risolvere il problema della «regolazione delle moschee, spesso allocate in luoghi precari e non adeguati, e gestite con modalità non trasparenti»; e occorre «rifiutare ogni collegamento con organizzazioni integraliste e marcare un confine netto nei confronti di ogni tipo di fondamentalismo ». È un fatto prezioso che siano dei musulmani a indicare per primi i problemi da affrontare, e a dichiararsi disponibili a risolverli. Occorre quindi che nella individuazione e costruzione di una moschea non si riconosca rappresentanza sociale a chi non ce l’ha, o ad organizzazioni che non accettano i principi del nostro ordinamento; mentre è opportuno che l’accordo tra gli enti locali e le organizzazioni musulmane prevedano parametri di rappresentatività reale e regole di trasparenza nella gestione del luogo di culto. Nella sostanza così si fa per gli altri culti, ed è opportuno che si faccia altrettanto per il culto musulmano.
Se si procede in questo modo, avendo a cuore i valori fondamentali da tutelare e promuovere, primo tra tutti quello della libertà religiosa, si possono esaminare i problemi relativi a singole moschee. Se, però, si vuole affrontare nel suo insieme la questione della presenza musulmana in Italia si deve essere consapevoli che non bastano singoli interventi, dettati dall’emergenza, e che occorre una strategia di lungo periodo per la quale già nell’ultimo anno si è lavorato con i musulmani moderati, con risultati non effimeri. L’emergenza può risolvere qualche problema di oggi, ma è senza respiro e può essere priva di lungimiranza.
© Copyright Avvenire, 8 luglio 2008
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