31 ottobre 2008

Documento sull’uso delle competenze psicologiche per l'ammissione ai seminari (Muolo)


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AL SERVIZIO DEL VANGELO

Dalla Congregazione per l’educazione cattolica le indicazioni sulla sfera affettiva e relazionale: «L’omosessualità preclude l’ammissione al sacerdozio»

È stato presentato ieri da Grocholewski il documento sull’uso delle competenze psicologiche all’interno degli itinerari per i candidati all’ordine

In Seminario: cammino verso la maturità

DA ROMA MIMMO MUOLO

La psicologia in Seminario può servire.
Ma solo in determinati casi e mai obbligatoriamente. Lo ribadisce un documento della Congregazione per l’educazione cattolica, presentato ieri ai giornalisti dal cardinale prefetto, Zenon Grocholewski. Il testo, che si intitola Orientamenti per l’utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio e che lo scorso 13 giugno è stato approvato dal Papa, affronta anche il problema dell’omosessualità e riafferma il principio secondo cui chi ha tendenze di questo tipo non può diventare sacerdote.
Nel corso della conferenza stampa il cardinale ha innanzitutto messo in evidenza il principio generale circa l’uso della psicologia nel cammino di formazione del Seminario. «Il ricorso agli esperti nelle scienze psicologiche non può che essere solo ausiliare – ha sottolineato Grocholewski – ossia utile solo 'in alcuni casi' per dare il parere circa la diagnosi, o circa l’eventuale terapia, o il sostegno psicologico allo sviluppo delle qualità umane richieste all’esercizio del ministero. In altre parole, si deve ricorrere a loro solo si casus ferat (se lo richiede la necessità, ndr), ossia nei casi eccezionali che presentano particolari difficoltà. In ogni modo – ha aggiunto il porporato – risulta chiaro che l’utilizzo delle competenze psicologiche non deve essere una pratica obbligatoria né ordinaria nell’ammissione o nella formazione dei candidati al sacerdozio. In questo senso, il suo ruolo è di integrazione, non di sostituzione, sia nel discernimento iniziale, sia nella formazione successiva ». Il documento , tuttavia, non specifica quali competenze debbano essere coinvolte e cioè se di debba far ricor- so allo psicologo, allo psichiatra, allo psicoterapeuta o allo psicoanalista. «La loro adozione – ha detto don Carlo Bresciani, psicologo e consultore della Congregazione per l’educazione cattolica – dipende dal tipo di problema da affrontare». E poiché le questioni da affrontare «possono essere diverse, a volte potrebbe bastare una consulenza occasionale», in altri casi «potrebbero essere necessarie consulenze più complesse, sempre con il consenso dell’interessato».
Naturalmente non tutti gli specialisti della scienza psicologica possono lavorare in un campo tanto delicato. Don Bresciani ha precisato, infatti, che «gli esperti consultabili debbono essere aperti al trascendente, comprendere e condividere i valori propri dell’antropologia cristiana (ad esempio il senso e l’importanza della castità)». Solo in questo modo, ha spiegato, «possono contribuire ad aiutare un cammino vocazionale».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il segretario della Congregazione, monsignor Jean-Louis Brugués, il quale ha ricordato che «spesso i problemi non appaiono nell’adolescenza o nella prima giovinezza, ma si manifestano più avanti negli anni. Per questo il tipo di aiuto deve essere adatto al problema». Particolarmente rilevanti sono, da questo punto di vista, le questioni relative alla maturità affettiva e all’orientamento sessuale dei seminaristi.
«Se un candidato al sacerdozio manifesta tendenze omosessuali profonde – ha sottolineato il cardinale Grocholewski durante la conferenza stampa – pur vivendo una castità perfetta e quindi non facendo peccati sessuali, non può ugualmente essere ammesso al sacerdozio.
Questo – ha spiegato il prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica – in quanto la natura profonda della vocazione presbiterale contiene un senso della paternità umana e spirituale che un omosessuale non possiede».
Sull’argomento don Bresciani ha poi aggiunto che «non è solo questione di assenza di rapporti genitali.
Il problema è come l’omosessualità è vissuta interiormente». Il documento , infatti, fa riferimento al problema dell’omosessualità al numero 10 insieme ad altre «gravi immaturità» (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di libertà nelle relazioni, eccessiva rigidezza di carattere, mancanza di lealtà, identità sessuale incerta). «Il cammino formativo – si legge in questo passaggio – dovrà essere interrotto nel caso in cui il candidato, nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacità ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualità di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturità ». Un discorso che vale anche «nel caso in cui risultasse evidente la difficoltà a vivere la castità nel celibato, vissuto come un obbligo così pesante da compromettere l’equilibrio affettivo e relazionale».

© Copyright Avvenire, 31 ottobre 2008

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