30 ottobre 2008

Mons. Fisichella sul ruolo dell'università: "In pieno relativismo educhiamo alla verità" (Osservatore Romano)


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Il ruolo dell'università

In pieno relativismo educhiamo alla verità

Mercoledì 29 è stato inaugurato nell'Aula Magna "Benedetto XVI" l'anno accademico della Pontificia Università Lateranense. Ha aperto la cerimonia il cardinale Agostino Vallini, gran cancelliere dell'ateneo e vicario per la Diocesi di Roma. Dopo la prolusione dell'arcivescovo rettore magnifico - della quale pubblichiamo ampi stralci - era previsto l'intervento del ministro dell'Istruzione della Repubblica italiana, Mariastella Gelmini, che non ha però potuto partecipare per motivi di sicurezza.

di Rino Fisichella

"Lo scorrere del tempo manifesta quali traguardi la ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell'autoconsapevolezza dell'uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quanto è sostenuta dall'amore per la verità. Ha scritto Agostino nel De diversis quaestionibus: "Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente"". (Discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al Congresso internazionale promosso dalla Pontificia Università Lateranense per il x anniversario dell'enciclica Fides et ratio, 16 ottobre 2008).
La passione per la verità è quanto dovrebbe caratterizzare la nostra presenza in università. Essa si esprime in diversi modi, a seconda dei ruoli che ricopriamo: per i docenti si realizza nella ricerca e nelle pubblicazioni che manifestano il contributo peculiare che si offre alla scienza; per gli studenti nella fatica dello studio e nel coerente coinvolgimento nella vita accademica; per tutti noi nella ricerca di senso che deve caratterizzare la vita di ogni persona per giungere a piena maturità. L'università deve essere il luogo dove la passione per la verità viene non solo conservata, ma mantenuta viva con la costante attenzione a quanto avviene nel mondo per essere capaci di fornire una risposta che raggiunga la mente e il cuore delle persone.

Ancora una volta, quindi, ritorniamo sul valore e lo scopo dell'università.

Benedetto XVI a più riprese in questi anni è ritornato su questo tema. Il fatto coinvolge direttamente anche noi che per statuto siamo l'università del Papa. Rileggere alcune pagine di questo magistero porta sempre di più al cuore della questione: come sia possibile coniugare fede e ragione, come riconoscere l'apporto fondamentale che il cristianesimo ha portato alle culture, come l'università può rispondere alle grandi sfide che sono oggi sul tappeto della storia. L'interrogativo era presente in maniera chiara nel discorso che il Papa avrebbe dovuto tenere all'università La Sapienza quando si domandava: "Qual è la natura e la missione dell'università? (...) Cosa è l'università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico (...) Penso si possa dire che la vera, intima origine dell'università stia nella brama di conoscenza che è propria dell'uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità".
Il primo obiettivo che viene identificato dal Santo Padre come peculiare nella natura stessa dell'università, come si nota, è la ricerca della verità mediante le vie che sono proprie alla ricerca accademica. Di particolare importanza per noi riveste la continuazione di quel discorso perché, per alcuni versi, ci tocca da vicino. Il Papa ponendo l'interrogativo su cosa sia ragionevole e come si possa giungere a una ragione carica di verità riporta l'esempio dell'università: "Torniamo così alla struttura dell'università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c'erano le facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull'essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l'uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente".
L'interrogativo permane con la sua carica provocatoria oggi come negli anni a venire. La nostra Università, nelle facoltà che la compongono, sembra essere l'immagine di quella medievale. La filosofia, la teologia e le tre facoltà giuridiche che possediamo, per loro stessa natura dovrebbero fare della verità lo scopo della loro esistenza accademica. La filosofia come domanda perenne; la teologia come auditus fidei che si sviluppa in un intellectus fidei. Le stesse scienze giuridiche, comunque, non sono affatto escluse da questo percorso. Soprattutto nel contesto attuale, carico di un positivismo interpretativo, devono essere capaci di recuperare il grande tema della lex naturalis da porre come fondamento per una verità che possa essere universale nei sistemi giuridici. In altri termini, dobbiamo evidenziare come sia realmente fattibile, prendendo a fondamento la Parola di Dio, creare cultura e comportamenti consequenziali. Dobbiamo essere capaci di evidenziare come lo studio e la ricerca quando sono orientati dalla passione per la verità giungono inevitabilmente a Dio. Benedetto XVI lo ha ricordato anche nel suo importante discorso a Parigi al Collége des Bernardins quando ha detto: "Si deve dire, con molto realismo, che non era intenzione (dei monaci) creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile (...) Potremmo dire che questo è l'atteggiamento veramente filosofico: guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere (...) Il cercare dei monaci, sotto certi aspetti, porta in se stesso già un trovare. Occorre dunque, affinché questo cercare sia reso possibile, che in precedenza esista già un primo movimento che non solo susciti la volontà di cercare, ma renda anche credibile che in questa Parola sia nascosta la via - o meglio: che in questa Parola Dio stesso si faccia incontro agli uomini e perciò gli uomini attraverso di essa possano raggiungere Dio. Con altre parole: deve esserci l'annuncio che si rivolge all'uomo creando così in lui una convinzione che può trasformarsi in vita (...) Quaerere Deum - cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell'umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell'Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura".
In questo contesto, non possiamo che affrontare una problematica che riguarda direttamente la nostra università - come tutte le università in questo peculiare momento storico - e che il Santo Padre ha raccolto nell'espressione "emergenza formativa". Ritengo necessario, per corrispondere a questa esigenza, che l'università si faccia carico, anzitutto, di recuperare il senso della tradizione come un fondamento indelebile per sostenere la crescita dell'identità culturale e personale. Un progetto educativo ha bisogno di evidenziare che la formazione necessita di uno sviluppo armonico, senza rotture traumatiche con il passato solo per l'incapacità a sapersi collocare in un contesto storico ed evolversi in esso. Per questo, come è stato accennato in precedenza, è importante recuperare il fondamento che è dato dalla Parola di Dio come un contenuto che ha creato cultura e sviluppato germi positivi di personalità individuale e identità sociale. In questa Parola si trovano principi di verità, di intelligenza e di vita che sono autentici ideali a cui ispirare non solo la vita personale di quanti credono, ma anche quella sociale e collettiva. Vi è un'autorevolezza tale in quella Parola che provoca a uscire da noi stessi per guardare oltre e incontrare quanti sono posti sullo stesso cammino come artefici di progresso personale. Qui si trovano contenuti che non valgono solo per un momento; la profonda verità che possiedono li spinge oltre il frammento e li fa diventare preziosi compagni di vita. Sant'Agostino diceva: "Cerchiamo con il desiderio di trovare e troviamo con il desiderio di cercare ancora". La verità di cui parliamo non è ricercata nella solitudine né è pensata in maniera statica. Al contrario essa è frutto di una perenne collaborazione che si crea tra le persone e ogni stadio raggiunto costituisce sempre e solo una tappa che spinge verso la pienezza che solo il futuro potrà dare come dono definitivo. Questa verità si coniuga con il senso della vita a cui ognuno deve poter dare una risposta pena l'impossibilità di raggiungere una personalità adulta e matura.
La formazione, insomma, vive di contenuti, di accompagnamento e di testimonianza. In un periodo come il nostro che soffre la piaga del relativismo - soprattutto nell'ambito etico - è importante educare al senso della verità, della sua ricerca e del valore critico che essa comporta. L'uomo raggiunge pienamente se stesso solo nella misura in cui si incontra con la verità. La sua continua ricerca non è altro che un anelito e un desiderio di conoscere sempre di più non solo quanto lo circonda, ma se stesso e il mistero della sua esistenza. Enigma a se stesso, ognuno è tuttavia aperto verso la trascendenza a cui si deve poter dare un nome proprio. Le domande fondamentali che ruotano intorno all'interrogativo circa il senso della vita, del dolore, della sofferenza, della morte e di cosa può esserci dopo non sono scontati nella formazione di una persona. Una personalità matura, d'altronde, si raggiunge quando si trova una risposta a questi interrogativi e non si lascia la propria vita in balia del fato, del destino e della casualità. Purtroppo, sempre più spesso siamo costretti a dire la nostra parola in circostanze strazianti davanti ai tanti lutti che coinvolgono in prima persona molti giovani. Incidenti stradali, una dose tagliata male, un conflitto banale che porta conseguenze drammatiche, omicidi passionali e suicidi che costituiscono la seconda causa di morte tra i nostri adolescenti. Come si nota il problema del senso della vita non è estraneo ai nostri giovani né può essere considerato dai formatori come un tema secondario. Educare alla verità, pertanto, implica l'umiltà di ammettere che siamo in cammino, sempre, per l'intera esistenza e che solo la fatica dell'impegno conduce a una risposta carica di senso. La verità, tuttavia, obbliga a entrare nella sua logica, richiede di abbandonare le nostre parziali visioni per immettersi in un orizzonte globale che consente di abbracciare ogni cosa.
È a partire dalla verità, inoltre, che si scopre la vera dimensione dell'amore, termine ormai inflazionato presso molti dei nostri studenti. Questi confondono la passione, il desiderio e il sentimento fugace con l'amore e non comprendono più la sua stessa essenza che consiste nel donarsi totalmente per sempre senza nulla chiedere in cambio. La gratuità sembra ormai scomparsa dal nostro vocabolario e con essa il perdono. Eppure, senza questo binomio l'amore cessa di vivere, diventa pretesa che l'altro entri nel mio mondo e acquisisca il mio modo di intendere e volere. Così, sotto il termine più sacro che l'umanità possiede viene a nascondersi l'individualismo peggiore che si nutre di possesso fino a quando corrisponde ai propri bisogni. Non viviamo un contesto facile per educare all'amore. Si assiste a due modi contrapposti di concepirlo: l'uno romanzato e fittizio, frutto della fiction che proprio per questo illude; l'altro violento e tiranno perché ha ridotto tutto a sesso e ha creato sfiducia nella fedeltà di cui l'amore si nutre. Se l'amore scade a sesso allora la persona diventa merce; se non si crede alla fedeltà del partner, allora il rapporto si tinge di sospetto e viene meno ogni forma di autentica relazionalità.
Educare alla verità per scoprire l'amore porta, di conseguenza, a vivere nella libertà. Questa non è una forma di autonomia per vivere secondo i propri diritti, ma un impegno a sapersi confrontare con la verità per diventare responsabili dell'altro. Verità e libertà si coniugano insieme perché sono mosse dallo stesso intento di ritrovare se stessi oltre l'enigmaticità dell'esistenza. La formazione dovrebbe tendere a far scoprire la vera libertà come liberazione dal limite e dalla schiavitù. Ci sono moderne forme di schiavitù che ben si conoscono e che affascinano per il loro carattere illusorio; eppure, molti sono attratti come il canto delle sirene. La libertà autentica si confronta con la verità e per essa sa compiere la rinuncia a disporre di se stesso pur di entrare in un circolo di libertà più grande. Purtroppo la libertà oggi viene vissuta come un capriccio; una pretesa a disporre di sé indipendentemente dall'altro senza rendersi conto che in questo modo non solo non si realizza alcuna libertà, ma quella forma diventa opprimente perché segna un tradimento nei confronti di se stessi.
Quando si cade in questa trappola si diventa nello stesso tempo, autore, vittima e giudice dei propri atti. Autore, perché in prima persona si è chiamati a scegliere; vittima, perché con questa scelta si impedisce il progresso e lo sviluppo della propria esistenza; giudice, perché si deve attestare davanti alla propria coscienza di avere tradito la verità. Situazione non facile eppure quotidiana sulla scena di questo mondo. Il rapporto tra verità, libertà e amore pone ognuno nella condizione di verificare la propria possibilità di realizzazione o il proprio fallimento. Una sana provocazione su questi temi aiuta l'opera pedagogica e favorisce la formazione tenendo fisso lo sguardo sull'essenziale della vita e non su contenuti effimeri.
Questa esigenza di verità, di libertà e di amore deve essere supportata da una costante capacità di interrogare, quasi fossimo dinanzi a una curiosità permanente con la quale l'intelligenza vuole scoprire il mistero che si nasconde nei meandri della vita. Se dobbiamo assumere la responsabilità della formazione allora dobbiamo anche essere capaci di sollecitare in tutti i modi i nostri studenti per provocare la forza della ragione. Questa non può rinchiudersi in se stessa, ma aprirsi al mistero, desiderando di indagarlo senza sosta. È proprio della natura umana ricercare, qui si deve comprendere la capacità di ogni vero educatore a saper indirizzare nel giusto orizzonte questo desiderio. Spesso confusi da una molteplicità di informazioni che vengono fornite i nostri giovani intuiscono, comunque, che c'è qualcosa di straordinariamente grande che sta alla base di tutto e senza del quale non ci sarebbe vera vita. Questo è il momento di presentare in tutta la sua verità la persona di Gesù Cristo, l'uomo nuovo che nel mistero della sua vita chiede di essere accolto e creduto perché porta con sé la chiave per interpretare l'enigma della propria vita.
Come ricordava con un pizzico di ironia Tertulliano, "Gesù ha affermato di essere la verità non la consuetudine". L'espressione dice in sé tutto e si pone come una vera critica a tante espressioni della nostra fede che sanno di ovvietà e che mancano del vigore necessario per provocare oggi alla sequela. Gesù non è un mito, né la sua vita un romanzo. Non è un reperto archeologico di altri tempi né uno dei tanti capi religiosi che si sono susseguiti nel corso della storia. È il Figlio di Dio fatto uomo per amore e si offre come l'ultima possibilità per rispondere alla domanda di senso sulla nostra vita. Una formazione autentica non può relegare la domanda religiosa né impedire di presentare la persona di Gesù Cristo. Sarebbe una proposta sempre parziale, alla fine contraddittoria e incapace di gettare luce definitiva su noi stessi. La formazione deve accogliere in sé l'istanza religiosa; non può lasciarla nel vago, ma deve presentarla nella sua forza provocatoria come un'istanza iscritta nell'intimo di ognuno che deve trovare adeguato spazio per consentire il formarsi di una personalità matura. Questa dimensione apre all'orizzonte comunitario e immette in un nuovo modello di responsabilità che vede nella dedizione all'altro lo scopo della propria esistenza personale.
Compiere questo percorso non è facile. Appare semplice, ma è in effetti un cammino in salita. Un elemento fondamentale per corrispondere a questa emergenza, comunque, mi sembra costituito da ciò che chiamo la circolarità formativa. L'espressione non è una formula, ma un progetto che dovrebbe essere in grado di coinvolgere direttamente quanti hanno a cuore la formazione in questa particolare contingenza storica. Vi sono diverse istituzioni che hanno la responsabilità della formazione. L'università è certamente una di queste ed è chiamata a svolgere un ruolo primario. Assieme a essa, comunque, non si può dimenticare la famiglia che possiede la responsabilità prima nell'educazione dei propri figli e che è naturalmente coinvolta in questa dimensione. Un ruolo importante, in questo settore, è svolto anche dalla comunità credente che nelle sue diverse forme educative rappresenta un agente di primo piano per la collaborazione che offre alla famiglia e alle istituzioni. Il momento che viviamo sembra essere circoscritto da un impegno che ogni istituzione svolge in maniera settoriale, senza alcun riferimento agli altri che sono coinvolti a titolo diverso, ma con uguale finalità. È importante che queste istituzioni siano tra loro come dei vasi comunicanti che permettano la circolazione dei contenuti e delle idee in modo tale che i giovani abbiano una visione unitaria non solo dei valori fondamentali che vengono offerti, ma anche della corresponsabilità con cui vengono concretizzati. In una parola, è necessario che si costituisca un'alleanza formativa tra la famiglia, l'università e la scuola in genere con le istituzioni civili e la comunità cristiana per evidenziare quanta unità vi sia nel trasmettere dei contenuti di cui si devono riempire le menti e i cuori delle giovani generazioni. Se una sola di queste realtà dovesse presumere di fare a meno delle altre e pretendesse di svolgere da sola la funzione pedagogica cadrebbe facilmente in errore e non avrebbe mai la forza per incidere in maniera significativa e durevole.

(©L'Osservatore Romano - 30 ottobre 2008)

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