14 agosto 2007

False accuse a preti e suore irlandesi: qualche testimonianza


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Grazie alla segnalazione di Rosmy pubblichiamo:

SISTERS OF MERCY

Nora Wall, l'ex suora condannata all'ergastolo e poi assolta

Nora Wall, un'anziana ex suora della congregazione delle Sisters of Mercy, detiene un poco invidiabile record. È stata la prima persona nella storia della Repubblica d'Irlanda a essere condannata per lo stupro di una minorenne, la prima a essere condannata all'ergastolo per uno stupro e la prima a essere condannata in un caso di «recovered memories», di ricordi emersi nel corso di una psicoterapia della presunta vittima. Il tutto avvenne nel giugno del 1999, poche settimane dopo la proiezione di un documentario tv in più puntate, di cui fu poi dimostrata la tendenziosità e falsità in innumerevoli passaggi, sulle violenze perpetrate da religiosi - tra cui le Sisters of Mercy - nelle industrial schools e che aveva suscitato un'enorme scalpore. Il verdetto si basava sulla testimonianza di Regina Walsh, una ventunenne che aveva accusato Nora Wall di averla tenuta ferma mentre un suo complice, Pablo McCabe, un pregiudicato con problemi psichici, abusava di lei. Nonostante la testimonianza facesse acqua da molte parti, la Walsh, assieme a una sua testimone, Patrica Phelan, fu creduta. Se non che la stessa Walsh rilasciò un'intervista al quotidiano «The Star» in cui raccontò di altri abusi subiti. Un lettore, che casualmente vide citato il nome della testimone, Patricia Phelan, che in passato lo aveva accusato di surreali abusi sessuali, decise di contattare gli avvocati della Wall e di McCabe. Fu l'inizio della demolizione dell'accusa, che portò poi la stessa Regina Walsh a una piena ritrattazione.
Nora Wall, che era diventata per i media «la suora malvagia», riebbe la libertà. Quasi nessuno le chiese perdono per quello che aveva scritto o detto di lei.

© Copyright Avvenire, 12 agosto 2007


IL FILM «MAGDALENE»

La storia di Kathy O'Beirne è rimasta senza prove

Si intitola Kathy's Story, sottotitolo Un'infanzia infernale nelle Magdalen Laundries, ed è il racconto, tra le altre cose, di 14 anni agghiaccianti trascorsi in uno degli istituti di rieducazione diffamati e allo stesso tempo resi noti dal regista Peter Mullan, con il suo film Magdalene, leone d'oro alla mostra del cinema di Venezia nel 2002. L'autrice è Kathy O'Beirne, una cinquantenne di Dublino e il libro, pubblicato nel 2005, è diventato presto un bestseller sia in Irlanda che in Gran Bretagna, vendendo in pochi mesi 350mila copie.
Una descrizione sconvolgente di violenze subite dalla voce narrante sia ad opera del padre che, successivamente, delle Suore di Nostra Signora della Carità. Un quadro che ha incontrato il favore dei media e un interesse morboso da parte di un pubblico nutrito per anni con simili racconti. Solo che anche in Irlanda sembra valer il detto per cui il diavolo fa le pentole e non i coperchi. Già nell'estate del 2005 le Suore di Nostra Signora della Carità fecero presente che in nessun loro registro figurava il nome della signora O'Beirne. Nel settembre del 2006, la famiglia della O'Beirne ha tenuto una conferenza stampa a Dublino per smentire il contenuto del libro. Contemporaneamente, tre donne che negli anni '70 risiedevano presso la Sherrard House di Dublino, una casa rifugio per ragazze in difficoltà, hanno testimoniato che la O'Beirne era stata con loro per tre anni, parte del periodo che l'autrice aveva detto di aver trascorso nelle Magdalene Laundries, ricordando poi come costei avesse l'abitudine di registrare in un diario i racconti di varie "ragazze di vita" che andava conoscendo. Il prossimo settembre uscirà infine un libro dal titolo Kathy's real story, che l'autore, Herman Kelly, editorialista del Mail on Sunday, promette essere la pietra tombale su «una colossale mistificazione».

© Copyright Avvenire, 12 agosto 2007

E in Italia?

TORINO

Estorsioni a Torino, «choc culturale»

La Procura subalpina secreta gli atti sui ricatti contro alcuni sacerdoti

Da Torino Marco Bonatti

L'inchiesta sulle estorsioni organizzate da Salvatore Costa, 24 anni, ora detenuto, ai danni di vari preti torinesi, ha esaurito la sua prima fase, portando alla luce un quadro inquietante e doloroso: nel corso degli anni Costa (e forse non solo lui) aveva costruito una vera e propria "rete" di preti che venivano ricattati, a Torino e in altre zone d'Italia, con la minaccia di rivelare presunti rapporti sessuali avuti dai sacerdoti con lo stesso Costa. Quando le notizie di questi fatti sono state diffuse è stato facile, per gli avvocati, trasformare l'immagine delle vittime dei ricatti in quelle di "orchi" corruttori…
Tuttavia, ipotizzando che alcuni dei presunti rapporti tra Costa e alcuni sacerdoti possano essersi verificati quando il giovane Costa era ancora minorenne, la Procura di Torino ha aperto un procedimento in cui sono attualmente indagati don Luciano Alloisio, salesiano, già economo del liceo Valsalice; monsignore Mario Vaudagnotto, responsabile dell'ufficio celebrazioni liturgiche della diocesi di Torino, e don Nino Fiori, collaboratore presso la parrocchia del Duomo. I primi due sacerdoti sono già stati interrogati, mentre si attende il ritorno di don Fiori dall'estero. Nel frattempo la magistratura, proprio per tutelare maggiormente tutti gli indagati, ha deciso di secretare gli atti dell'inchiesta.
La Chiesa torinese aveva preso posizione sulla vicenda fin da martedì scorso, con un breve comunicato (Avvenire dell'8 agosto scorso) in cui, affermando la piena fiducia nel lavoro dei magistrati, esprime «vicinanza di preghiera nei confronti dei sacerdoti chiamati in causa nella speranza che la loro posizione possa essere chiarita al più presto». La diocesi, cioè, non ha niente da nascondere e non intende coprire le responsabilità di nessuno; e anzi prende atto dello "choc culturale" che la notizia di queste indagini ha provocato. In un suo intervento monsignor Giuseppe Pollano, già responsabile della formazione permanente del clero e della pastorale della Cultura della diocesi, afferma fra l'altro: «Quando tali incoerenze (nella vita dei sacerdoti, ndr) si verifichino, uno choc culturale è inevitabile, perché persone e gruppi subiscono disorientamento, delusione, crisi di appartenenza; lo choc si tramuta in dolore per i credenti, in questo caso, mentre provoca acre soddisfazione in tutti coloro che testimoni di Gesù Cristo non ne vorrebbero, e si compiacciono di poterne dunque constatare la debolezza. E spesso lo choc è amplificato, anche al di là dei confini del ragionevole, da un'informazione che grida sì alla ferita, ma poi indugia fin troppo a fotografare il rosso del sangue per il titolo di un giorno o per un minuto di video; e non si ferma, non vuole pensare, corre via in cerca della ferita successiva».

© Copyright Avvenire, 12 agosto 2007

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