13 agosto 2007

Il Papa ed i media: un rapporto difficile...perche'?


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Cari amici, su segnalazione di Gemma, pubblichiamo uno studio universitario sul complesso rapporto fra i media e Benedetto XVI.
Leggiamo insieme il post, piu' tardi lo commenteremo con calma
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Raffaella

IL PAPA ED I MEDIA: UNO STUDIO DELL'UNIVERSITA' ROMA TRE

di GIANPIERO GAMALERI

DOPO lo scoop della prova sull'origine italiana di Cristoforo Colombo - passato anche in un lungo servizio al TG1 - grazie a una tesi di laurea discussa all'Università di Genova, ottenuta attraverso l'esame del DNA di suoi omonimi contemporanei, ecco un'altra ricerca che fa onore ai nostri atenei e che merita di far notizia. Si tratta, in questo caso, di una tesi in teoria della comunicazione discussa a fine luglio all'Università Roma Tre e condotta presso la cattedra di Sociologia dei processi culturali e comunicativi. Si tratta del primo bilancio sistematico sul rapporto che è sinora intercorso tra Benedetto XVI e gli organi di stampa, ricerca che colma un vuoto dopo la grande stagione di Giovanni Paolo II. Tutto questo in palese contrasto con chi sentenzia che all'università non si fa ricerca. Nei casi citati, si tratta addirittura di tesi "magistrali", concluse con la lode alla fine del biennio specialistico, da ragazzi e ragazze di poco più che ventenni. Ma torniamo a Benedetto XVI e la stampa italiana. Nel lavoro svolto dal dottor Luca Gentili sono stati esaminati 917 articoli, di cui 222 di prima pagina, evidenziando 738 appellativi attribuiti al Papa. Partiamo proprio da questi ultimi. Ne sono stati individuati dieci più ricorrenti. Cinque positivi: "fine intellettuale", "uomo di grande cultura", "cordiale", "sincero", "limpido". E cinque negativi, in sé o nel contesto in cui venivano collocati: "Panzercardinal","pastore tedesco", "rigido", "guardiano della fede", fino al terribile "rottweiler di dio".
Ma quali sono stati i giornali di riferimento? I due di maggiore diffusione: Corriere della Sera e la Repubblica, il quotidiano della Conferenza Episcopale Avvenire e due organi di opinione diversamente orientati: Il Foglio e Il Manifesto. La ricerca ha riguardato sette momenti-chiave nel pontificato di Benedetto XVI: l'elezione, il referendum sulla procreazione medicalmente assistita, l'enciclica Deus caritas est, la lezione di Ratisbona, il viaggio apostolico in Turchia, la rinuncia del cardinale Wielgus alla cattedra di Varsavia, le radici cristiane dell'Europa. I due eventi che hanno raccolto maggiore spazio sono stati l'elezione (34 per cento) e il discorso di Ratisbona (33 per cento). Segue il viaggio in Turchia (16 per cento), mentre l'enciclica si ferma a un modesto 4 per cento. Lo studio ricava già da questi dati una prima conseguenza. Il "Papa della parola" (come unanimemente è stato definito rispetto al suo predecessore chiamato "il Papa dei gesti") ha difficoltà a far passare nei media e presso l'opinione pubblica il suo pensiero più riflessivo e più pacato, salvo quando - come avvenne a Ratisbona - viene equivocato e alimenta dure polemiche con il mondo islamico. Qui la tesi presenta due testimonianze di eccezione: quella di Navarro Valls e quella dell'attuale portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi. Inoltre sono stati ascoltati anche i vaticanisti dei cinque quotidiani.

Due di loro - Marco Politi de la Repubblica e Ubaldo Casotto de Il Foglio - ricordano che il Papa avrebbe detto proprio a Navarro Valls che nel tempo attuale «vale più un concetto di mille immagini»: un'idea molto rispettabile se aiuta l'uomo contemporaneo ad essere più profondo, meno effimero, ma che risulta difficile da praticare.

E qui torna utile la testimonianza di padre Lombardi. «Il discorso di Ratisbona, letto nel suo insieme mi sembrava chiaro… dopo poche ore dalla sua distribuzione vengo chiamato da un collega giornalista… quando sono arrivato erano già tutti lì a discutere la famosa citazione su Maometto… spiegai che era contro la violenza e l'uso irrazionale della religione… due giorni dopo è arrivata l'ondata del mondo musulmano, amplificata da Al Jazeera, una specie di tsunami mediatico… questo per dire che anche un discorso complesso ma logico pone delle notevoli difficoltà nel prevedere e guidare il modo in cui viene presentato sui media».
Ma accanto allo sforzo teologico e intellettuale, rimane nei nostri occhi di papa Ratzinger anche la tenera immagine televisiva della sua prima apparizione dalla loggia pontificia: sotto i sacri paramenti trasparivano le maniche del maglione dell'umile prete che chiede collaborazione ed affetto nel suo grande compito di coltivare "la vigna del Signore". Forse sono vere entrambe le espressioni: un concetto vale più di mille immagini (pensiamo agli slogan che hanno fatto la storia), ma è anche vero che un immagine qualche volta vale più di mille parole. Dipende dai concetti e dipende dalle immagini.

© Copyright Il Tempo, 12 agosto 2007


IL PARERE DI ALCUNI VATICANISTI

QUESTO il parere di osservatori privilegiati, cinque vaticanisti, sui rapporti tra pontefice e la Santa Sede con gli organi di stampoa. Luigi Accattoli, del Corriere della Sera: «Padre Federico Lombardi sta a Benedetto XVI così come Navarro Valls stata a Giovanni Paolo II». Umberto Casotto, Il Foglio: «Papa Ratzinger regge anche le piazze come l'altro. I numeri di Wojtyla sono stati addirittura superati». Filippo Gentiloni, il Manifesto: «Una caratteristica di questo pontificato mi sembra rilevante. La forte sottolineatura della ragione. Ma la cultura contemporanea difficilmente accetta una ragione universale». Salvatore Mazza, Avvenire: «C'è una notevole difficoltà a far passare temi relativi alla comunicazione religiosa e al Vaticano. L'interesse dei nostri colleghi sono i temi presi come politico-sociali». Marco Politi, la Repubblica: «Sostanzialmente dobbiamo fare una differenza fra media italiani e media stranieri. Nella stampa internazionale la presenza del papa si è ridotta moltissimo, drasticamente».

© Copyright Il Tempo, 12 agosto 2007


CON RATZINGER VIA LE PRIMEDONNE

di PAOLO FRANCIA

CON GIOVANNI Paolo II Joaquin Navarro Valls era di fatto la «comunicazione» della Santa Sede. Signorile nel tratto e abile nei rapporti ancorché sfuggente con i collaboratori e piuttosto elitario nell'individuazione dei vaticanisti «giusti», il medico-giornalista già corrispondente di «Abc» da Roma ha incarnato con maestria la voce del pontificato wojtyliano, tenendosi in seconda o terza linea nei suoi primi tre lustri di fulgore quando il Papa, in piena salute, poteva esprimere il massimo delle proprie straordinarie capacità comunicative; e poi salendo sempre più alla ribalta con misura ma anche senza reticenze a mano a mano che la condizione di Giovanni Paolo II andava peggiorando. Alla guida dell'altro «polo», L'Osservatore Romano, Mario Agnes pilotava il giornale sulla linea wojtyliana e, per quindici anni, ruiniana, con pochi rapporti con Navarro. Né amici, né nemici. In cammino su due parallele, né convergenti, né divergenti. Due parallele che all'infinito non si incontrano mai. Navarro ha lasciato un anno fa, sostituito da padre Federico Lombardi, direttore anche della Radio vaticana e del Centro televisivo vaticano. Agnes si appresta a lasciare fra qualche settimana, sostituito dal filologo Giovanni Maria Vian. E nel frattempo, un mese fa, l'arcivescovo Claudio Celli è stato chiamato dal Papa alla guida del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni sociali. Ed è intorno a questo organismo che maturerà il nuovo indirizzo che papa Ratzinger intende dare alla comunicazione della Santa Sede nel suo complesso. Il germe di questo Pontificio Consiglio risale al 1948 allorché Pio XII volle creare una Commissione per la cinematografia didattica e religiosa destinata a subire varie trasformazioni e ad avere arricchimenti di competenze per la crescente importanza di radio, televisione e dei «media» in genere. Vi misero mano anche Giovanni XXIII e Paolo VI, fino alla Costituzione apostolica di Giovanni Paolo II «Pastor bonus» del 1988, che oltre a dare al Pontificio Consiglio l'attuale denominazione gli attribuiva vastissimi compiti, trasformandolo in una sorta di «ministero» della comunicazione. E tuttavia senza riuscire a far sì che si realizzasse quel coordinamento e quell'indirizzo complessivo desiderato dal Papa polacco, proprio a causa del ruolo specifico dell'Osservatore romano e del forte carattere, su un altro versante, di Navarro. Per vent'anni ne è stato a capo un grande amico di Wojtyla, l'arcivescovo americano John Patrick Foley, di Filadelfia, oggi alla soglia dei 72 anni e dunque ancora lontano dalla data canonica di «pensionamento». Ma mettendo a quel posto Celli Benedetto XVI ha inteso dargli una svolta, portando il Pontificio Consiglio al ruolo auspicato anche da Giovanni Paolo II e finora non concretizzato. L'avvento di Vian è il passo finale. Agnes se va a 76 anni, dopo una storica e apprezzata direzione durata 23 anni, un'eternità. Vian, docente di filologia patristica, dunque non giornalista professionista, in piena sintonia con Ratzinger, ha grandi qualità personali. Ha 55 anni, l'età e la preparazione per un salto di qualità del quotidiano che vada oltre all'attuale pontificato. E, si spera, un ammodernamento dell'impostazione complessiva dei contenuti e della grafica che renda l'Osservatore più fruibile. Ma sempre a passi felpati, come felpati sono stati finora quelli di padre Lombardi. Nell'individuazione dei nuovi responsabili della Curia e più in generale dei suoi stretti collaboratori il Papa opta per uomini che non siano o non vogliano essere prime donne, anche se non sempre c'è riuscito e ci riesce. L'arcivescovo Celli, padre Lombardi e Vian rispondono in teoria a questo identikit. Il tempo ci dirà se è realmente così e soprattutto se Celli riuscirà a dare, primus inter pares, l'impronta di un indirizzo unitario, sulla linea di Benedetto XVI, a tutta la comunicazione del Vaticano.

© Copyright Il Tempo, 12 agosto 2007

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