16 agosto 2007
Rosa Matteucci: Ratzinger mi piace molto. La dittatura del relativismo e' la lebbra del nostro tempo
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ROSA MATTEUCCI «La vera trasgressione oggi è dirsi cristiani»
di Redazione
Scendendo alla stazione di Orvieto si può prendere un taxi e farsi portare da una delle due principali scrittrici cattoliche italiane. A scelta: Susanna Tamaro o Rosa Matteucci. Il prezzo della corsa non cambia, visto che abitano a cinquecento metri l’una dall’altra. Volendo intervistare la più brava ho dato al tassista l’indirizzo di Rosa Matteucci. Non è una preferenza soltanto mia e non mi sbilancerei così tanto se a confermarlo fosse solo la giuria del premio Grinzane, che l’ha designata vincitrice dell’ultima edizione. Sappiamo bene come funzionano i premi.
Vanno invece considerate decisive le testimonianze di Roberto Calasso e Carlo Fruttero. Il primo, l’editore che ha fatto dello snobismo un catalogo, ha infilato la perla Matteucci nelle più prestigiose collane tra Croce e Flaiano, Kafka e Kavafis. Facendola diventare l’unica italiana vivente di casa Adelphi. Il secondo, il grande vecchio della narrativa brillante, ha definito la Matteucci, tenetevi forte, «il più grande talento che abbiamo oggi in Italia». Va ricordato che Calasso è un pagano e Fruttero un non credente e quindi almeno sulla carta hanno entrambi poco in comune con la mistica umbra, tutta nervi e sospiri, che in questo momento ho davanti. A definirsi in questo modo è lei stessa: «Rientro nella tradizione regionale di santa Chiara d’Assisi, Angela da Foligno, Vanna da Orvieto...».
Come molti santi, o aspiranti tali, Rosa Matteucci ha una biografia che è una via crucis. È stata di volta in volta una bambina ricca, una ragazza poverissima, una dirigente del Quirinale con Cossiga, una disoccupata disperata con Scalfaro, una scrittrice raffinatissima, una guida turistica abusiva... Inferno e paradiso andata e ritorno, più volte. Ma a suo dire l’esperienza più sconvolgente della sua vita sono stati i pellegrinaggi a Lourdes, a cui ha partecipato come dama dell’Unitalsi, cioè come volontaria per l’assistenza dei malati.
Hai visto qualche miracolo?
«Ho partecipato al rito della piscina. Alle otto e mezzo del mattino, davanti alle undici vasche per l’immersione, a un cenno della capodama le sessanta dame si tolgono il velo e la cuffia e si mettono il grembiulone col monogramma NDL, Notre-Dame de Lourdes. Si recita il rosario in francese, poi ci si inginocchia tutte insieme per recitare il Salve Regina in latino e infine si bacia il pavimento. Solo a quel punto si fanno entrare i malati».
Come mai una scena così forte non l’hai messa nel tuo romanzo di esordio, che da Lourdes prende il titolo?
«Perché l’ho scritto dopo il primo pellegrinaggio, durante il quale facevo la pulitrice di gabinetti. La carriera, se così si può chiamare, l’ho fatta negli anni successivi, quando sono andata a lavorare alla piscina. Lì ho vissuto momenti emozionantissimi, come quando una signora francese con una lunga cicatrice al posto del seno, sicuramente venuta al santuario per una grazia ricevuta, è uscita dall’acqua e mi ha abbracciato».
Il tuo misticismo non ha nulla di etereo, le tue descrizioni della malattia in Lourdes e della vecchiaia in Cuore di mamma sono di una fisicità impressionante.
«Io ho poche qualità, ma certamente ho il dono della pietas. Racconto le miserie umane però senza distacco, partecipandovi. In ciascuno di noi vedo una scintilla divina».
Questo cattolicesimo viscerale mi ricorda Testori.
«Testori non l’ho letto. Fruttero ha citato Beckett e non avevo mai letto nemmeno lui, poi ho preso Molloy e certi pezzi sembravano scritti da me».
Come mai la stampa cattolica ufficiale non si è accorta di te? Sbaglio o Avvenire e Famiglia Cristiana non ti hanno mai sostenuto?
«Non lo so, però lo ha fatto l’Osservatore Romano».
Almeno in Vaticano hanno riconosciuto la papalina che è in te: nostalgica di Giovanni Paolo II o fan di Benedetto XVI?
«Papa Ratzinger mi piace molto perché è un intellettuale e sta riaffermando l’ortodossia. Mi è piaciuto fin dalla Missa Pro Eligendo Romano Pontifice, quando ha parlato della dittatura del relativismo che è la lebbra del nostro tempo. Con l’idea che tutto è possibile, che tutto è tollerabile, sono arrivati a giustificare l’infibulazione: per i relativisti è una tradizione e invece è una pratica barbara, punto e basta».
E la liberalizzazione della messa in latino?
«È un messaggio molto importante e molto forte. Negli ultimi anni sono andata spesso a Parigi e ho scoperto Saint-Nicolas-du-Chardonnet, vicino a Saint-Germain, dove la Fraternità San Pio X celebra una bellissima messa col rito preconciliare».
Queste cose però non devi dirle in giro altrimenti passi per lefebvriana e addio recensione di Famiglia Cristiana. Non mi hai ancora parlato di Giovanni Paolo II.
«Wojtyla era un carismatico ma...».
Ma?
«Ma ha chiesto scusa a tutti, agli ebrei, alle streghe, agli indios... Scusa, scusa... Scusate, scusate...»
E con questa ti sei giocata Famiglia Cristiana definitivamente. Ma com’è che ti sei giocata il Quirinale?
«Mi sono laureata in scienze politiche con Giuliano Amato alla Sapienza, poi ho fatto la scuola di specializzazione per la carriera diplomatica e infine sono entrata al Quirinale durante la presidenza Cossiga, come funzionario a contratto. Pensavo di essere una brava dirigente, ma quando è arrivato Scalfaro mi hanno cacciata perché non c’entravo nulla, era un recinto di vacche sacre, ragazzi che venivano a lavorare in Porsche, erano tutti figli di».
E a Roberto Calasso come ci sei arrivata? È un uomo inavvicinabile e oltretutto è un pagano che in un libro ha esaltato i sacrifici umani precristiani.
«È stata una cosa strana, imprevedibile, gli ho mandato Lourdes e me lo ha pubblicato. Si vede che gli sono piaciuta ma è molto severo e non mi ha mai detto brava».
Hai letto l’Antico e il Nuovo Testamento? Altri testi religiosi?
«Della Bibbia ho letto soprattutto l’Ecclesiaste e l’Apocalisse. Poi ho letto Paul Claudel e Bernanos, i Dialoghi delle Carmelitane. Mi piacciono molto le Orazioni funebri di Bossuet, penso di essere l’unica che le ha lette tutte. La più bella è quella per Henriette d’Angleterre, morta a 26 anni. Se l’avessi letta prima della morte di mio padre mi sarebbe stata di conforto, non sarei rimasta così sconvolta. Tutte le orazioni sono una grande riflessione sulla morte che è il tema fondamentale di ogni vera riflessione. Tutta la vita di noi umani è impostata per sconfiggere la paura della morte. La gente vive una vita finta per sfuggire a questa paura, anche il lavoro serve a questo: a sconfiggere la paura della morte. Poi però arriva la pensione».
Anche alle presentazioni parli di questi argomenti divertenti?
«Alle presentazioni finisco sempre col parlare di Dio. Qualcuno storce la bocca perché ora come ora dirsi cristiani è il massimo della trasgressione».
La domanda che faccio a tutti: da che cosa si dovrebbe riconoscere un cattolico rispetto a un non cattolico?
«Deve amare il prossimo suo come il suo amante».
Amante?
«Sì, almeno nella fase iniziale del rapporto l’amante ama l’amato come se stesso. Altrimenti che amante sarebbe?».
Spiegazione ineccepibile. Ma tu come donna sei amante, moglie o che cosa?
«A me non piace essere mantenuta da un uomo eppure penso che le donne dovrebbero starsene a casa a fare le mogli e le madri. Non è un’idea mia, viene dalle femministe americane più all’avanguardia: l’emancipazione di alcune donne non può basarsi sulla schiavizzazione di altre donne, domestiche, bambinaie o badanti che siano».
© Copyright Il Giornale, 15 agosto 2007
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3 commenti:
Non ho ancora finito di leggere tutta l'intevista. Ma mi vien da dire di getto: che bel personaggio!! e che intervistatore simpatico (chi è?)!!
Grazie, Raffaella!
Ciao Francesco, non e' dato sapere chi abbia intervistato Rosa Matteucci. La sola indicazione e' "Redazione".
Ciao :-)
Secondo me l'intervistatore è Camillo Langone
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