24 ottobre 2007

Martino risponde a Maltese: lo Stato smetta di strangolare la scuola privata


Vedi anche:

La quarta ossessione di Curzio Maltese: invocare il precariato per gli insegnanti di religione (solo per questi!)

Consiglio di lettura: "Itinerario teologico di Benedetto XVI"

Lettera dei 138 leader islamici: il Papa e i Patriarchi preparano la risposta

Il cardinale Kasper ottimista su un possibile incontro fra Papa Benedetto e Alessio II

La visita del Papa a Napoli: il commento de "Il Mattino" e l'attenzione del Presidente Napolitano

Padre Samir: con la lectio di Ratisbona il dialogo è passato da una specie di cortesia della parole ad un progetto!

Il Papa e i media: una tavola rotonda per analizzarne il complesso rapporto

Rosso Malpelo e le amenità dei giornali sulla visita del Papa a Napoli

Magdi Allam sulla lite sfiorata al tavolo del Papa...

Il giovane Ratzinger, «progressista» conciliante (il commento di Messori all'intervista del Papa sul Concilio)

VISITA PASTORALE DEL PAPA A NAPOLI: LO SPECIALE DEL BLOG

Screzi al tavolo del Papa fra musulmani ed ebrei: Benedetto fa da paciere

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

CONSIGLIO DI LETTURA: IL SITO DI FRANCESCO

Lo Stato smetta di strangolare la scuola privata

di ANTONIO MARTINO

L'ingloriosa fine del comunismo, il mito più pernicioso e nefasto della storia dell'umani tà, ha fatto comprendere a molti l'insensatezza di pretendere di organizzare l'intera economia nazionale in base ad un "piano" studiato a tavolino da esperti onniscienti ed imposto a tutta la società. Si è compreso, anche se purtroppo non da tutti, che nazionalizzare un'impresa per affidarla alle amorevoli cure di un qualche boiardo di Stato era la ricetta più sicura per dare vita ad inefficienza, sprechi e montagne di debiti. Forse questo spiega come persino a sinistra si vada predicando contro i pericoli dei monopoli, a favore dei vantaggi della concorrenza ed in lode delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Queste prediche, che rendono ragione a chi quelle tesi ha sempre sostenuto, sarebbero molto più apprezzate se alle parole si facessero seguire i fatti. Ma finora i sinistri predicatori di liberalizzazioni sono riusciti soltanto a partorire la proposta di accrescere la competitività dell'economia italiana ... consentendo alla gente di tagliarsi i capelli il lunedì e di comprare l'aspirina al supermercato!
C'è un settore dell'attività economica dove di liberalizzare, porre fine al monopolio ed introdurre una sana concorrenza non si parla nemmeno, ed è un peccato perché si tratta di un settore di importanza cruciale per tutti noi e per quelli che verranno dopo: la scuola e l'università. Mi sono occupato in altra occasione dell'importanza vitale della concorrenza in questo settore, ma vale forse la pena tornarci sopra. Che il nostro sistema scolastico versi in condizioni disastrose dopo decenni di degrado e molti tentativi di riformarlo è noto a chiunque abbia familiarità con la scuola. Che questa sia in grave crisi è unanimemente riconosciuto. Che fare? C'è ancora qualcuno disposto a sostenere che esista "la" riforma: un soluzione di efficacia certa che, calata dall'alto su tutte le scuole italiane, ne risolva immediatamente i problemi? A me non sembra sensato credere ad una simile sciocchezza. Eppure, è sulla base di questa luciferina presunzione che si sono mossi schiere di ministri, ispirati da nobili intenzioni e convinti di possedere la risposta infallibile a tutti i problemi della scuola. Riforma dopo riforma, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: i problemi sono vieppiù peggiorati. Discorso analogo vale per le università, che sfornano persone in possesso di diploma dotato di valore legale (sic) e di un bagaglio di nozioni assolutamente prive di utilità pratica. Siamo cioè in presenza di una gigantesca fabbrica di disadattati: rifiutano lavori non reputati consoni al loro livello di istruzione e sono in possesso di una pre- parazione di cui nessuno sa che fare. Anche per le università si è seguito il metodo usato per la scuola: frotte di illuminati riformatori ispirati da nobili intenzioni hanno scaricato sulle nostre università riforme a ritmo incessante. Anche qui i risultati parlano da soli. Non credo che qualcuno possa sostenere in buona fede di conoscere "la" soluzione per lo sfascio delle nostre università. E allora? Per l'università, come per la scuola, le soluzioni devono essere trovate di volta in volta grazie allo stimolo della concorrenza e tenendo conto dei desideri e delle esigenze dei destinatari del servizio, gli studenti e le loro famiglie.

Il ruolo dello Stato dovrebbe limitarsi da un lato ad imporre a tutte le scuole i requisiti minimi da rispettare nell'insegnamento, lasciando alla discrezionalità dei gestori delle scuole di decidere in piena libertà cosa insegnare al di là dei minimi imposti. Ci sarebbero così scuole diverse in cui l'insegnamento verrebbe organizzato in modo da tenere conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie. Lo Stato dovrebbe anche assicurare l'accesso all'istruzione obbligatoria anche a coloro che non hanno i mezzi per pagarsela. Non dovrebbe fare altro.

Le soluzioni ai problemi della scuola verrebbero individuate da chi è a costante contatto con tali problemi ed ha un interesse diretto ed urgente alla loro soluzione: studenti, famiglie, insegnanti e gestori scolastici. Quanto alle università dovrebbero essere costrette a finanziarsi da sole: non si vede perché chi non può o non vuole andare all'univer sità debba pagare tasse per consentire a chi ci va di non sopportare per intero il costo dell'istruzione che riceve. Nessuno credo reputerebbe giusto tassare il meccanico per fare risparmiare al futuro notaio parte del costo della sua istruzione universitaria. Le università dovrebbero finanziarsi con le rette pagate dagli studenti, con le donazioni ricevute da privati e con servizi resi alla società. Ancora una volta, lo Stato dovrebbe limitarsi a favorire l'accesso all'istruzione universitaria a quanti non possono pagarsela. Borse di studio, prestito d'onore ed altri meccanismi potrebbero facilmente garantire a tutti l'accesso all'università. Tutto il resto: quali insegnamenti attivare, come strutturare gli studi, come assumere gli insegnanti, eccetera dovrebbe essere lasciato alle scelte di università libere e responsabili in concorrenza fra loro. Una tesi del genere incontrerà, ne sono certo, lo scetticismo dei benpensanti, ma la posta in gioco è troppo alta per liquidarla senza nemmeno discuterla.

© Copyright Libero, 24 ottobre 2007

Nessun commento: