16 gennaio 2008
Arresi alla cultura dei barbari (Feyles per "Il Tempo")
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L'EDITORIALE
Arresi alla cultura dei barbari
Giuseppe Feyles
Il sonno della ragione genera mostri, scriveva Goya in pieno illuminismo. Oggi questi mostri ci comandano.
Pensavamo che i nuovi barbari generati dalla follia del '68 fossero estinti come creature della preistoria violenta e oscura. Invece no. Il loro era il letargo appagato di chi sa di avere vinto, ma un occhio lo tenevano sempre socchiuso, a vigilare sul loro bottino. Ed appena all'orizzonte si è affacciato un uomo, mite, sì, ma certo come roccia delle sue idee, che poteva disturbare la loro egemonia fondata sul pregiudizio e sui luoghi comuni, si sono all'improvviso risvegliati. Il Papa è la loro ossessione, il loro capro espiatorio perché dice la verità e questo, per chi fonda sulla mistificazione il proprio potere, è inaccettabile. Lo hanno accusato a priori, senza aver letto una riga di quanto ha scritto e detto, per calcolo politico. È un film dell'orrore? È opera di qualche autore catastrofista di fine Novecento? È cronaca dell'Africa tribale profonda, o degli slums delle megalopoli? No è Roma, è la nostra cara Italia, in balìa di un manipolo di intellettuali che si sono autonominati depositari del sapere e della verità storica e teorica.
Adesso tutti si dichiarano favorevoli al dialogo, ma nei giorni scorsi quanti sono stati i politici a cercare di fermare l'inaccettabile censura che stava montando alla Sapienza? Quanti docenti hanno osato contrastare l'intolleranza dei loro potenti colleghi? La radice prossima di quanto è avvenuto ieri è anche nei loro distinguo, che oggi suonano come vigliacche pugnalate. Ma la radice remota è nella triste disabitudine ad usare con ragionevolezza la ragione, a non privilegiare le ideologie sulla osservazione della realtà, ad essere più attaccati alla verità che ai propri pregiudizi.
Le ideologie di sinistra sono state maestre in questa diabolica arte distruttiva della autentica razionalità. La vergogna di un Papa, di un Capo di Stato estero, di un teologo e uomo di cultura di livello internazionale a cui viene impedito di parlare in una Università pubblica resterà come macchia nelle nostre coscienze e nell'immagine che diamo di noi all'estero. Né a Cuba, né in Turchia, né in Nicaragua era accaduto.
L'Università italiana si dimostra ancora una volta arretrata, chiusa, meschina. Il governo è il responsabile della impossibilità di garantire le minime condizioni di democrazia e civiltà a Napoli come a Roma. Ma ciò che è avvenuto nella capitale è infinitamente peggio del disastro partenopeo, perché riguarda il bene più prezioso, la libertà.
Noi tutti siamo corresponsabili, se ignavi o timidi nel difendere ciò che è vero e nel chiamare le cose con il loro nome, senza menzogna, come nel caso dell'aborto.
I nuovi barbari non se ne sono mai andati, sono solo un po' imbolsiti e grassi, tanto hanno mangiato, nel palazzo, alle nostre spalle. Per fortuna, alla Chiesa in realtà non fanno granchè paura. I Papi nella storia si sono abituati ad affrontarli, a combatterli, a persuaderli e, se necessario, anche a perdonarli.
© Copyright Il Tempo, 16 gennaio 2008 consultabile online anche qui
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