24 gennaio 2008

Francesco Spano: «La laicità? È fatta di rispetto per la fede e responsabilità civile»


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l’intervento

«La laicità? È fatta di rispetto per la fede e responsabilità civile»

DI FRANCESCO SPANO*

Questa mattina la Consulta gio­vanile per il pluralismo religio­so e culturale, costituita una an­no fa dal Ministro dell’Interno Amato e dal Ministro per le politiche giovanili Melandri sarà ricevuta al Qui­rinale, per celebrare la 'Giornata della Memoria' assieme al Capo dello Stato. È significativo che l’incontro tra il pre­sidente della Repubblica e noi 16, ra­gazze e ragazzi di differenti culti a cui le Istituzioni hanno affidato il compi­to di portare un contributo ai proces­si di integrazione e di cittadinanza, av­venga in una circostanza così specifi­ca. Significativo, ma non strano. La Giornata della memoria, infatti, fu i­stituita per ricordare coloro che a cau­sa della loro appartenenza etnica e re­ligiosa furono vittime di uno sterminio che non ha eguali nella storia.
Oggi, ad oltre mezzo secolo di distan­za, in molte aree geografiche la libertà di religione non è garantita e migliaia di persone continuano a subire il mar­tirio per la loro fede. Altrove si com­battono guerre etniche ed anche il 'nostro' occidente è scosso ed im­paurito dal terrorismo e dalla minac­cia dello scontro tra civiltà. Spesso, in modo vile, la religione è chiamata in causa a copertura di simili violenze e le differenti confessioni si scoprono deboli a confronto di processi plane­tari che triturano la dignità della per­sona umana.
Ma non equivochiamo. La Consulta per il pluralismo religioso, però, non nasce solo da questo presupposto. Non nasce, cioè, solo dalla paura di ciò che ci circonda, né può essere ridotta ad una Consulta per l’immigrazione. Tantomeno, però, non può vedere il proprio orizzonte circoscritto nel miraggio inaccet­tabile di un’unica di­mensione filantropica che cucia in modo sin­cretico esperienze spi­rituali differenti per preconfezionare l’idea di una facile serenità 'a buon mercato'. L’a­nalisi della complessità sociale che ci circonda, infatti, ci fa notare come la fede religiosa e l’appartenenza con­fessionale non possano essere ridotte a minimi accidenti culturali, bensì at­tengano all’identità profonda dell’es­sere umano; tanto come singolo che come membro di una comunità di cre­denti. L’identità religiosa, cioè, non è né un semplice accessorio tornato di moda, né il rimasuglio di una superstizione dura a morire, porta­trice di violenza e di in­tolleranza. Piuttosto è un fattore profondo dell’animo, capace, ancora oggi, di arric­chire il singolo e la so­cietà in cui questi vive. Questo basti per sgom­berare il campo da un secondo equivoco secondo cui l’im­portante sarebbe credere perché «in fondo le religioni si equivalgono tutte». Per un credente, infatti, le religioni non sono tutte uguali e nessuno, che si ponga con onestà alla ricerca della Ve­rità, potrà mai 'barattare' la propria con quelle altrui.
C’è, però, una conseguenza a queste affermazioni. Se è vero - come è vero! - che le singole fedi sono tanto più au­tentiche quanto più totalizzanti per la vita di colui che le pratica, il vivere in una società plurale e complessa non può prescindere dal rispetto che ogni credente deve alla diversa fede degli altri. Il rispetto della fede e del­la libertà religiosa di tutti, infatti, è pie­namente radicato nel rispetto del va­lore della dignità della persona uma­na, creata ad immagine di Dio ed in­timamente chiamata a cercarLo con cuore sincero.
Questo implica anche una respon­sabilità civile che si traduce nel ga­rantire nelle realtà piccole e gran­di della vita quotidiana quella e­guale libertà delle esperienze reli­giose sancita dalla Costituzione re­pubblicana come diritto fonda­mentale.

È proprio da una onesta dialettica tra identità forti e coscienti di sé, in­fatti, che può nascere il sincero im­pegno per costruire una società pa­cificata, fondata sul rispetto di quei valori trascendenti di cui ogni reli­gione si fa portatrice, e che tanto so­no necessari all’uomo di ieri, di og­gi e di sempre.

Per questo e su questo nasce l’idea della Consulta. Nasce, cioè, dall’i­dea di aprire una stanza libera per accogliervi persone credenti, per­ché possano, ciascuno attingendo alla propria ricchezza, incontrarsi sul terreno comune della vita e del­la responsabilità civile. Con la Con­sulta lo Stato non fa teologia (non potrebbe e non saprebbe farlo!), ma ripensa la propria idea del princi­pio fondamentale della sua laicità.

*Coordinatore della Consulta giovanile per il pluralismo religioso e culturale

© Copyright Avvenire, 24 gennaio 2008

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