22 marzo 2008

Card. Sandri: "Il dramma vissuto dalla Chiesa caldea nella Passione del Venerdì Santo". Il 24 marzo la giornata del ricordo dei missionari uccisi


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A colloquio con il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali

Il dramma vissuto dalla Chiesa caldea nella Passione del Venerdì Santo

di Nicola Gori

Il mistero della passione e morte di Cristo rivive continuamente nella storia dell'umanità. Il Venerdì Santo è un momento privilegiato per riflettere su quanti hanno versato il sangue per testimoniare il Vangelo. È il caso dell'arcivescovo di Mossul dei Caldei, monsignor Paulos Faraj Rahho, il cui corpo è stato ritrovato proprio otto giorni fa. Nelle parole del cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il ricordo del presule che, sull'esempio del Buon Pastore, ha dato la vita per il suo gregge. In questa intervista al nostro giornale il porporato - che nei giorni del rapimento di monsignor Rahho si trovava proprio in Terra Santa - rinnova l'appello a venire incontro ai bisogni di quelle popolazioni, per le quali ogni anno la Congregazione promuove la colletta del Venerdì Santo.

La prossima Pasqua sarà vissuta dai cattolici dell'Iraq nel ricordo accorato dell'arcivescovo caldeo di Mossul e dei giovani cristiani, vittime con lui di un atto tanto feroce e disumano. Vuole dirci una sua parola?

Il Venerdì Santo coincide con l'ottavo giorno dal ritrovamento del corpo di monsignor Rahho, rapito dopo la celebrazione della Via Crucis il 29 febbraio, e immolato, insieme a tre giovani, senza altro motivo che l'appartenenza a Cristo Crocifisso e Risorto. Era un fedele discepolo del Signore, un pastore mite e un uomo di pace. In questa settimana santa il suo volto sereno torna spesso alla mente e al cuore, quasi ad assicurare che la grazia di Dio saprà trarre dal suo sacrificio immensa consolazione, speranza e forza per la sua comunità. Sull'esempio di Cristo, Buon Pastore, il compianto arcivescovo ha dato la vita per "i suoi", non li ha abbandonati, nonostante le minacce. Il Santo Padre lo ha ricordato nella domenica delle Palme, prima di lanciare "quel grido" perché in Iraq si fermi ogni violenza. Le forti parole del Papa sono per tutti un imperativo alla fiduciosa preghiera e azione per la pace. Anche l'omelia tenuta nella messa in suo suffragio al Palazzo Apostolico lunedì mattina è scesa come balsamo sulle ferite aperte della Chiesa caldea, la cui grandezza non sta nella consistenza numerica, ma nel fatto che può vantare ancora oggi, in questo 2008 che stiamo vivendo, la grazia del martirio per Cristo.

Lei ha appreso la notizia del rapimento dell'arcivescovo mentre era in visita in Terra Santa. Come è stato vissuto quell'evento drammatico dalla comunità caldea?

La triste notizia del rapimento di monsignor Rahho e dell'uccisione dei tre accompagnatori mi ha raggiunto ad Amman, subito dopo l'incontro che avevo avuto proprio con il patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly. Con lui abbiamo subito emesso un comunicato per la liberazione dell'arcivescovo. Nella messa celebrata nella chiesa del vicariato latino abbiamo pregato per il presule, per i giovani che hanno perduto la vita e i familiari, come per le altre vittime, e particolarmente per i bambini colpiti in quelle stesse giornate in Palestina. Al rito erano presenti il fratello di monsignor Rahho e alcuni parenti, che sono tra i componenti della consistente comunità caldea rifugiatasi ad Amman. Si tratta di almeno quindicimila cattolici, mentre gli iracheni profughi in Giordania sarebbero circa cinquecentomila.

Ha avuto modo di incontrare la comunità caldea?

L'ho incontrata il giorno dopo il rapimento dell'arcivescovo. Ci siamo riuniti nel loro centro pastorale, molto modesto ed affollatissimo per l'occasione, ed insieme con il patriarca Delly e con il nunzio apostolico Chullikatt, in un clima di profonda commozione, abbiamo implorato la pace per l'Iraq. A tutti ho recato la confortatrice benedizione del Papa. In serata, la divina liturgia nella bella cattedrale melchita di Amman ha concluso la mia sosta in Giordania

Quale è stato lo scopo principale di questa sua visita in Terra Santa?

È stato essenzialmente quello di incontrare tutte le comunità ecclesiali di rito latino e di rito orientale, che compongono il variegato mosaico della Chiesa cattolica in Israele, Palestina e Giordania. Con la comunità del Patriarcato latino e della Custodia francescana sono, infatti, operanti in Terra Santa la Chiesa greco-melchita cattolica, sia a Gerusalemme con un esarcato patriarcale, sia in Galilea e in Giordania con le rispettive arcieparchie; la Chiesa maronita con un'arcieparchia, e le Chiese siro-cattolica, caldea, armena, ciascuna con un esarcato esteso anche al territorio giordano.

Nel corso della sua visita ha incontrato gli ordinari cattolici a Gerusalemme, durante l'assemblea annuale presieduta dal patriarca latino Michel Sabbah. Che indicazioni ha dato loro?

Ai presuli ho assicurato che il pensiero benedicente del Papa - di cui ero latore con speciale lettera a firma del sostituto della segreteria di Stato - era destinato soprattutto a loro. La Terra Santa è realmente nel cuore del Vescovo di Roma e di tutta la Chiesa. Questo è motivo di conforto soprattutto quando le vicende interne ed esterne alla comunità cattolica pesano sullo spirito oltre che sul fisico, rendendo ancora più impervia la via già stretta del ministero episcopale. Ho aperto i lavori dell'assemblea con l'indicazione di alcuni punti qualificanti: la collegialità episcopale e lo spirito di comunione, quale veicolo migliore che la grazia di Dio chiede per tenere unita la comunità cattolica. Dobbiamo continuare a perseguirla tra le varie tradizioni rituali cattoliche per aprire vie nuove anche al dialogo ecumenico e alla possibile collaborazione interreligiosa. Ho raccomandato la preghiera e l'azione per la pace e il rispetto dei diritti dei popoli, come pure la pastorale della famiglia e quella vocazionale; la formazione specialmente dei candidati agli ordini sacri e alla vita consacrata, dei formatori ecclesiastici e laici; la forte valenza ecclesiale e sociale del problema migratorio. Ho concluso assicurando massima attenzione anche al sostegno materiale, di cui hanno veramente necessità.

Quali sono stati i momenti più significativi di questo pellegrinaggio?

Il cuore del pellegrinaggio ritengo sia costituito da tre solenni ingressi: al Santo Sepolcro di Gerusalemme, alla basilica della Natività a Betlemme e alla basilica dell'Annunciazione a Nazaret. Festanti e molto partecipate, scandite dall'antico rituale sul quale vigilano anche le altre Chiese cristiane, che custodiscono insieme ai frati minori i luoghi più cari all'intera cristianità, le celebrazioni mi hanno consentito di offrire alla comunità cattolica consolazione e incoraggiamento e di indicare alcune linee per il cammino ecclesiale. Al Santo Sepolcro ho rivolto un invito alla pace, dicendo che Gerusalemme ci assicura sempre il dono della pace messianica, nonostante tutte le smentite della storia. Il Crocifisso risorto emise lo Spirito e quel soffio vitale anima la Chiesa. Per questo ho chiesto la pace per tutti i cuori, per le famiglie e le comunità. L'abbiamo implorata per la Chiesa e per l'umanità, affinché Colui che, come dice san Paolo, ha inchiodato l'inimicizia sul legno della croce, abbatta il muro della divisione e faccia la pace tra i due popoli, tra coloro che erano lontani e coloro che erano vicini. Ho poi invitato i presenti a sentirsi consolati dalla promessa di Cristo e dalla comunione con tutta la Chiesa, che condivide sempre le loro prove.

Cosa ha caratterizzato la sosta a Betlemme?

A Betlemme, dopo aver richiamato ai figli della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche la responsabilità di dare quella vivente testimonianza delle origini cristiane, di cui ha bisogno la Chiesa intera per avere un futuro sicuro secondo Cristo, ho aggiunto che nel Bambino di Betlemme l'umanità ritrova l'immacolata origine di se stessa e riceve la promessa di un compimento perfetto. Ho sottolineato come per la natività del Signore l'ultimo nostro giorno terreno potrà divenire la nostra nascita al cielo. Infatti, per quella nascita in ogni bambino possiamo scorgere l'impronta di Gesù e ricevere l'invito evangelico a diventare come bambini per entrare nel Regno di Dio. Ho proclamato, perciò, da Betlemme che la vita umana dal concepimento al suo termine naturale è sacra e inviolabile, è luminosa della bellezza e della bontà di Dio. La vita appartiene solo a Dio; va accolta, educata e difesa. E deve potersi sviluppare nella pace anche in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente perché sia assicurata al mondo intero.

Qual è il messaggio che ha lanciato da Nazaret?

Rivolgendomi in particolare ai consacrati, ho detto loro che l'annunciazione ci pone tra la memoria di quanto Dio ha compiuto e l'attesa del futuro di Dio. Ci pone tra la Parola e l'Eucaristia, perché l'annuncio del Signore deve poi farsi incontro con Lui. Una volta realizzata la comunione con Cristo, comprendiamo che la vita cristiana è servizio di carità. Ma questo dinamismo rimane vitale se si nutre del silenzio che adora, di cui ha dato prova la Vergine di Nazaret: "sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore". Il silenzio adorante di Maria è il perenne messaggio di Nazaret. È segnalato dall'evangelista Luca subito dopo la notazione del ritorno di Gesù in quella città, nella quale stava sottomesso a Maria e Giuseppe. E ho perciò indicato come programma sempre valido anche per la comunità cattolica di Terra Santa la priorità all'adorazione del Signore Gesù, sull'esempio di Maria. In tal modo la comunità ecclesiale diverrà strumento di apertura a livello ecumenico e interreligioso, e di collaborazione nella società israeliana.

Ha riscontrato grandi difficoltà nel vivere quotidiano della gente?

I gravi problemi quotidiani del Medio Oriente per la pace così incerta e le pesanti ingiustizie che essa provoca, penalizzano la vita economica, familiare e sociale, l'educazione e il lavoro, e talora la libertà personale. Questi problemi potrebbero illudere di seguire vie apparentemente più efficaci. Ho invitato i fedeli a non lasciare nulla di intentato per rendere sicuro il futuro, avvertendoli di fare attenzione a non escludere Dio, al quale nulla è impossibile, dal reale processo di pace e di riconciliazione. In questo senso, la più significativa delle cerimonie è stata senz'altro l'ingresso a Betlemme. Per l'occasione è stato aperto il varco principale del pesante muro che separa i territori. Ad attendermi erano le autorità civili palestinesi e le rappresentanze della comunità ecclesiale, che mi hanno accompagnato fino alla piazza della mangiatoia. Una folla gioiosa si è unita ai francescani della Custodia, al clero patriarcale, ai numerosi religiosi e agli scout cattolici che rallegravano l'incontro col suono delle tipiche zampogne per riservarmi la migliore accoglienza, quale rappresentante di Benedetto XVI.

Quali altri aspetti hanno caratterizzato la sua visita?

Diversi incontri hanno arricchito il pellegrinaggio: a Gerusalemme con il cardinale Carlo Maria Martini, che fu per lunghi anni membro della Congregazione per le Chiese Orientali, e al Patriarcato latino con Sua Beatitudine Sabbah, l'arcivescovo coadiutore Twal e gli ausiliari, come pure al convento del Santissimo Salvatore, col Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e i confratelli, che nel 2009 commemoreranno gli 800 anni della Custodia francescana, e all'esarcato melchita; a Nazaret con il vescovo ausiliare Marcuzzo; ad Haifa con gli arcivescovi melchita Chaccour e maronita Sayah; ad Amman con l'arcivescovo melchita Ayyash e il vescovo ausiliare latino Sayegh. Molto proficui gli incontri col seminario patriarcale di Beit Jala, con i Fratelli delle scuole cristiane dell'università di Betlemme, con l'istituto Effetà, con comunità religiose e scolastiche, come pure la visita al sito del Battesimo di Gesù in Giordania e ai francescani del monte Nebo. Infine, ho incontrato qualificate componenti del clero, dei religiosi e del laicato nelle due nunziature per completare la conoscenza della stupenda presenza cattolica nella Terra del Signore Gesù. Sono stato accompagnato durante l'intero pellegrinaggio dai nunzi apostolici monsignor Franco e monsignor Chullikatt, da monsignor Malvestiti della Congregazione per le Chiese Orientali, dai monsignori De Mori e Borgia, collaboratori delle rappresentanze pontificie.

Il pellegrinaggio ha avuto risvolti ecumenici e interreligiosi?

Ho vissuto momenti ecumenici di rilievo quali l'incontro con il patriarca armeno apostolico Torkom e con il patriarca greco ortodosso Teofilo III nelle rispettive residenze a Gerusalemme. I temi della comprensione e della collaborazione interne alla comunità cattolica per un autentico servizio all'unità dei cristiani e un rispettoso incontro con l'ebraismo e l'islam, e in vista della testimonianza evangelica da offrire ai pellegrini cristiani e ai tanti cercatori di Dio che giungono in Terra Santa, hanno guidato le mie esortazioni, che nell'ultima celebrazione ad Amman ho sintetizzato, dicendo che nel mio pellegrinaggio ho avvertito l'unico amore, che lega questi popoli al Signore Gesù, alla santa Chiesa, al Papa. Ho incoraggiato l'amore fraterno tra latini e orientali cattolici, che si apre alla collaborazione ecumenica e interreligiosa. Ho ribadito che tutto ciò consente ai cattolici di essere un fattore di coesione nel tessuto umano e sociale della patria che il Signore ha dato loro.

Il Venerdì Santo è il giorno della speciale "Colletta pro Terra Sancta". Qual è il suo invito per la comunità ecclesiale?

Visitando i Luoghi Santi ho accompagnato con la preghiera la lettera inviata ai vescovi del mondo intero perché continuino a sostenere la Terra Santa, e li ho ringraziati ricordandoli al Signore insieme alle rispettive comunità per il molto che già fanno. Nuovamente faccio appello a tutti perché mai siano dimenticati i nostri fratelli cristiani che vivono in quei territori. I Sommi Pontefici hanno scelto il Venerdì Santo per dare un segnale molto eloquente del posto che essi devono avere nella carità della Chiesa. Ed hanno affidato alla Congregazione per le Chiese Orientali il compito di coordinare in modo ordinato ed equo (sono parole pronunciate da Benedetto XVI nella visita al nostro dicastero) la raccolta e l'assegnazione degli aiuti. Ai vescovi chiediamo di privilegiare questa via, perché sia chiaro che è la Chiesa a ricambiare le immense ricchezze spirituali che nel suo insieme riceve dalla Terra del Signore. Accanto al sostegno ordinario per la pastorale e l'assistenza, sono crescenti le emergenze dovute alla situazione socio-politica: si è seriamente aggravata la condizione occupazionale, abitativa, scolastica, e ciò alimenta il flusso migratorio cristiano, che è preoccupante. La Terra Santa attende la preghiera, i pellegrinaggi, la sensibilizzazione sulla sua reale situazione, sforzi a vasto raggio a favore del processo di pace, e la solidarietà materiale a cominciare dalla generosa colletta di questo Venerdì santo.

(©L'Osservatore Romano - 22 marzo 2008)


Per iniziativa del movimento giovanile delle Pontificie opere missionarie

Il 24 marzo la giornata del ricordo dei missionari uccisi

Roma, 21. In Iraq, ma non solo. Sono ventuno i missionari uccisi nel corso del 2007. Cristiani che hanno dato la vita per il Vangelo nelle aree più difficili del mondo, in contesti spesso segnati dalla povertà, dalla violenza e dalla sistematica violazione dei diritti umani. A loro è dedicata l'annuale giornata di preghiera e di digiuno promossa dal Movimento giovanile missionario (Mgm) delle Pontificie opere missionarie. L'iniziativa, giunta alla sedicesima edizione, viene come sempre celebrata nell'anniversario - 24 marzo 1980 - dell'uccisione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvator. Quest'anno, poi, l'appuntamento - sorto in Italia nel 1993 e progressivamente estesosi in diversi Paesi - cade in un momento particolare dell'anno liturgico: è infatti il lunedì dell'Angelo e il tema scelto - "Versato per voi e per tutti" - è in sintonia con le celebrazioni pasquali.
"Il martirio dei missionari - spiega Rocco Negri, segretario nazionale del Mgm - è un dono, è un'espressione concreta del progetto d'amore che Dio ha per l'umanità. Anche se inspiegabile agli occhi del mondo, il loro martirio è certamente seme che farà rifiorire la pace". La testimonianza dei missionari martiri - aggiunge Negri - "ci stimola a ripensare alla nostra vita, al nostro essere cristiani, alla coerenza delle nostre scelte. I missionari martiri ci invitano a vivere il Vangelo seriamente e integralmente negli ambienti in cui viviamo e operiamo, come testimoni di unità e di amore".
Nel 2007 l'Iraq è stato il Paese dove si è registrato il maggior numero di vittime: don Raghiid Ganni e i suddiaconi Basman Yousef Daoud, Ghasan Bidawid e Wahid Hanna. Tutti uccisi a Mossul, dove pochi giorni fa è rimasto vittima l'arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahho. "Dalla testimonianza dei giovani cristiani iracheni, con i quali abbiamo contatti - afferma Negri - siamo convinti che, come affermava Tertulliano, "il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani". Queste parole sono una certezza nella vita di fede di tanti iracheni. La loro voce si unisce a quella dei cristiani uccisi e al loro annuncio: la morte non è l'ultima parola".
Proprio all'Iraq è dedicato, quest'anno, il progetto di solidarietà che viene promosso durante la giornata. "È il finanziamento - spiega ancora Negri - di un progetto già avviato a Baghdad dalla Chiesa caldea. Si tratta di un centro pastorale per giovani e adolescenti. Il progetto nello specifico contribuirà ad ultimare i lavori del centro e ad allestirlo con computer, arredamento, libri e tutto ciò che serve per la pastorale".
Tra le indicazioni per la celebrazione della giornata, il Movimento giovanile missionario sottolinea che "la preghiera e il digiuno, nella tradizione cristiana, sono opere di amore e di comunione con Dio e con la Chiesa; viverle significa pregare Dio affinché sostenga le missionarie, i missionari e le comunità cristiane che vivono ancora oggi discriminazione e persecuzioni". Quindi si invitano le comunità parrocchiali e quelle di vita consacrata a utilizzare - non solo il 24 marzo, ma anche nei giorni successivi - i testi appositamente preparati per la veglia, l'adorazione eucaristica e la via crucis, che quest'anno propone riflessioni tratte dagli scritti di Franz Jägerstätter - proclamato beato il 26 ottobre 2007 - padre di famiglia, giustiziato nel 1943 a 36 anni per essersi opposto al nazismo. Tra le proposte anche quella di creare in ogni chiesa l'angolo del martirio utilizzando una croce, un ramo d'olivo e un drappo rosso con i nomi dei missionari uccisi.
Secondo i dati del rapporto diffuso dall'agenzia Fides l'elenco dei missionari uccisi nel 2007 comprende quindici sacerdoti, tre diaconi, un religioso, una religiosa e un seminarista. Tra essi anche l'italiano padre Mario Bianco, morto il 15 febbraio 2007 a Manizales (Colombia). Il continente con il maggior numero di vittime è l'Asia, dove è avvenuto il sacrificio di otto operatori pastorali (quattro in Iraq, tre nelle Filippine, uno in Sri Lanka) seguita dall'America, con sette vittime (tre in Messico, due in Colombia, uno ciascuno in Brasile e in Guatemala).

(©L'Osservatore Romano - 22 marzo 2008)


La Pasqua di vicinanza dei cristiani francesi ai fratelli in Iraq

Parigi, 21. "Come può questo popolo non cadere nella disperazione quando vede i suoi punti di riferimento scossi, le sue prospettive trasformarsi in un vicolo cieco, le sue possibilità di vita tramutarsi in rischio di morte! La risposta è nella testimonianza stessa di Cristo e di tutti quei martiri che, in una sequela, hanno donato la propria vita per amore. L'amore di Dio in Gesù Cristo è creatore di vita, anche quando la morte è vicina": sono parole pronunciate dal vescovo di Troyes, Marc Stenger, presidente di Pax Christi France, nell'omelia della concelebrazione eucaristica presieduta il 16 marzo, domenica delle Palme e della Passione del Signore, nella chiesa di Saint-Eustache, a Parigi.
La messa ha aperto la terza e ultima fase dell'operazione "Pasqua con i cristiani d'Iraq" nel corso della quale i cattolici francesi sono stati invitati a vivere la passione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo in comunione con i loro fratelli e sorelle iracheni. Ogni giorno della Settimana santa, le varie comunità hanno espresso la loro solidarietà e si sono unite in raccoglimento seguendo il libretto liturgico, messo a disposizione da Pax Christi, che presentava un estratto del Vangelo, il suo commento e una preghiera. Raccoglimento che si è fatto commozione, nel ricordo dell'arcivescovo di Mossul dei Caldei, monsignor Paulos Faraj Rahho, trovato morto alcuni giorni fa in Iraq dopo essere stato rapito: "È una lettura degli eventi difficile da accettare e difficile da fare - ha detto il vescovo Stenger - i nostri fratelli, i cristiani dell'Iraq, con i quali siamo in una comunione particolare, sono sfidati e interrogati alla vigilia della Settimana santa ad accogliere la crudele attualità della morte di monsignor Rahho. Come non essere schiacciati dall'orrore di questa volontà di annichilimento che si scaglia contro un uomo la cui unica colpa era di essere un discepolo di Cristo, che non accettava violenza e mancanza di umanità, e un buon pastore pieno di amore per il suo gregge, invito alla resistenza dell'amore di fronte alle ingiunzioni degli estremisti".
"Noi non amiamo troppo la parola Passione - ha esordito nell'omelia monsignor Stenger - spesso ci fa persino paura, poiché è sinonimo di grande sofferenza. Quando si tratta per di più della Passione di Cristo, molti vedono sfilare dinanzi a loro immagini di corone di spine, di flagellazione, di crocifissione, di tortura e di morte. E quando pensiamo, per la sua attualità o per motivi di solidarietà, ai nostri fratelli dell'Iraq o di altre parti del mondo, sono altre immagini ancora a stringerci il cuore, immagini di bombe che uccidono, di distruzione, di violenza, di rapimenti, di assassinii, di orrore inflitto a vittime innocenti, immagini gravate dal peso insopportabile delle nostre immense capacità di distruggere e di dare la morte".
Non dobbiamo minimizzare le sofferenze di Cristo, "cancellare la minima piega del suo volto sfigurato". Tuttavia - ha spiegato il vescovo di Troyes - "per vivere bene la Settimana santa non dobbiamo viverla solamente come la settimana della prova e della sofferenza. Nel progetto di Dio e nell'obbedienza di Cristo, è la settimana dell'amore. Si tratti dell'ultima cena o della lavanda dei piedi, della notte nell'orto degli ulivi prima dell'arresto o del perdono di Pietro che l'ha rinnegato, o del dialogo con il buon ladrone, tutto lungo il cammino seguito da Gesù verso la sua morte è amore, servizio, dono di sé e perdono. La Croce non è più il culmine dell'orrore, ma il culmine dell'amore che consiste nel donare la propria vita per quanti si ama. La Settimana santa - ha concluso il presidente di Pax Christi France - è un grande messaggio per tutti in un tempo in cui ci si ripiega molto in se stessi per non dover affrontare la parte di sofferenza esistente nel vero amore per l'altro".
L'operazione "Prepararsi alla Pasqua con i cristiani d'Iraq" è stata organizzata da Pax Christi France in collaborazione con Giustizia e Pace, la Federazione protestante di Francia, l'Oeuvre d'Orient e la rete Cristiani del Mediterraneo. È partita il 12 gennaio a Parigi, nella chiesa di Saint-Eustache, con il concerto "Liturgie per la pace". Quella sera l'attrice Marie-Christine Barrault ha letto un appello alla solidarietà dello scrittore Jean d'Ormesson. Tutte le comunità cristiane sono state invitate a leggere questo appello il giorno dopo, 13 gennaio, durante le funzioni domenicali e a rispondere inviando essi stessi dei messaggi di amicizia e di sostegno alle comunità cristiane in Iraq. La seconda tappa, a febbraio, ha condotto Pax Christi e una delegazione di responsabili cristiani francesi in Iraq. Al ritorno, monsignor Stenger ha informato della situazione le autorità religiose e civili francesi. E domenica scorsa, nell'omelia, ha citato una frase di padre Ragheed, un giovane sacerdote iracheno assassinato, sulla cui tomba si è raccolta la delegazione. "Ci siamo sentiti simili a Gesù, quando entra a Gerusalemme sapendo che la conseguenza del suo amore per gli uomini sarà la croce": questa frase - ha sottolineato Stenger - "monsignor Rahho e molti altri l'hanno suggellata con il loro sangue, con il dono della loro vita. Essa esprime il significato della passione di Cristo, l'accettazione di tutte le conseguenze di un amore senza limiti. In un cuore abitato da Cristo - ha proseguito - tutte le barriere poste alla capacità di amare, di donare, di perdonare, vengono polverizzate, poiché il suo amore è stato più forte di tutte le morti che limitano e distruggono la vita dell'uomo, la morte della violenza, la morte dell'ingiustizia, la morte dell'esclusione, del disprezzo, dell'odio della dominazione del forte sul debole".

(©L'Osservatore Romano - 22 marzo 2008)

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