2 maggio 2008

La "Spe salvi" e il carattere pubblico della fede: "La speranza cristiana cambia il presente" (Osservatore Romano)


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La "Spe salvi" e il carattere pubblico della fede

La speranza cristiana cambia il presente

di Giampaolo Crepaldi
Segretario del Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace

L'enciclica di Benedetto XVI Spe salvi ha un valore fondativo per la dottrina sociale della Chiesa, in quanto mostra come la questione sociale sia la questione di "Dio nel mondo" (numero 5) e consista soprattutto in una mancanza di speranza. Se nella Deus caritas est Benedetto XVI affermava che la dottrina sociale della Chiesa è all'incrocio tra fede e ragione (numero 28), è fattore di purificazione della ragione, nella Spe salvi egli lascia intendere che la dottrina sociale è strumento con cui la speranza cristiana purifica le speranze umane.

Sulla speranza cristiana si fondano la presenza pubblica del cristianesimo, l'allargamento della ragione e la conferma della libertà dell'uomo. In questo senso essa esprime una dimensione fondativa della dottrina sociale della Chiesa.

La dottrina sociale contiene anche una grande rivendicazione del carattere pubblico della fede cristiana, del suo statuto di cittadinanza, e addirittura della indispensabilità del cristianesimo per la costruzione della società secondo giustizia e pace. La Spe salvi indica il motivo ultimo sul quale si fonda il ruolo pubblico del cristianesimo e la impossibilità di ridurre la fede in Gesù Cristo a questione privata. La speranza cristiana cambia il presente: "Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente" (numero 2). Se la fede viene intesa come sentimento soggettivo e irrazionale, anche la speranza, di conseguenza, risulta essere priva di fondamento reale. Ma né la fede né la speranza cristiane sono qualcosa del genere. La Spe salvi ci ricorda che prima del cristianesimo simili forme di fede e di speranza c'erano già e che gli uomini affidavano alla discrezionalità di dèi bizzarri e litigiosi le loro altrettanto arbitrarie esigenze e aspettative. Solo nell'incontro con un Dio personale che è verità e amore la speranza diventa affidabile e sicura; essa quindi si sostanzia nella fede, che la rende presente, concreta e capace di cambiare la vita.
La speranza cristiana non cambia il presente solo al singolo credente, in senso individualistico. Essa è infatti una realtà comunitaria.

A Regensburg Benedetto XVI aveva detto: "Chi crede non è mai solo".

Nella Spe salvi egli insegna che chi spera non è mai solo. A questo proposito il Papa, tra l'altro, addita insistentemente l'esperienza del cardinale Van Thuân (numeri 32, 34): nella preghiera di fede la speranza diventa presente e reale, diventa comunitaria e diventa anche e sempre una "speranza attiva" (numero 34).
Nella modernità, però, si sono sviluppate ideologie che hanno preteso di assorbire in se stesse tutto il significato storico e politico della speranza cristiana e hanno tentato di confinarla nel privato, decretandone così il carattere "irrilevante" (numero 17). Per questo la speranza cristiana è legata al problema di "Dio nel mondo". Il mondo che elimina la speranza cristiana dallo spazio pubblico elimina Dio dal mondo e rimane privo di speranza perché "un mondo senza Dio è un mondo senza speranza" (numero 44). La successione di questi drammatici passaggi è scandita da Benedetto XVI sulla scorta di un breve ma intenso testo di Emmanuel Kant. Egli separava nettamente la ragione dalla fede, restringendo la ragione al solo campo dei fenomeni, ossia alla sola scienza. Kant impediva alla ragione di alimentare la fede e alla fede di purificare la ragione. In Kant la fede assume una dimensione assolutamente soggettiva, non può essere argomentata e può avere carattere pubblico se si riduce a religione naturale, a etica razionale: Kant confina la fede nella soggettività in quanto la semplice etica razionale propria della religione naturale è bastevole a organizzare il mondo. Se così fosse, il cristianesimo sarebbe forse utile ma non indispensabile, come invece esso pretende di essere affermando che "un mondo senza Dio è un mondo senza speranza" (numero 44).
Se l'etica razionale bastasse a se stessa, come voleva Kant, tutti gli ambiti sociali svelerebbero da soli il proprio senso pieno e da soli potrebbero garantire la loro realizzazione. Ma nel passo citato nella Spe salvi da Benedetto XVI (numero 19) il filosofo tedesco ipotizza anche un'altra, e ben diversa, possibilità: e se la semplice religione naturale invece non bastasse a se stessa? se le cose potessero essere deviate dalla loro natura e terminare in una situazione perversa e contro natura? La natura basta a garantire l'esito naturale delle cose? Romano Guardini si pose lo stesso problema e rispose di no: "Non esiste un mondo puramente profano, e quando una volontà ostinata riesce a creare un qualche cosa che gli assomigli, esso non funziona. È un artificio senza forza interiore. (...) Senza elemento religioso la vita diventa come un motore che non ha più olio". Una natura e una ragione pure non esistono se non come assunto acritico - quindi né naturale né razionale - delle ideologie moderne. Gli stessi valori suscitati dal cristianesimo, ma poi resisi autonomi da esso, non possono sussistere senza di esso: "La conoscenza della persona è legata alla fede cristiana. La persona può essere affermata e coltivata per qualche tempo anche quando tale fede si è spenta, ma poi gradatamente queste cose vanno perdute".
Questo è il problema di "Dio nel mondo": senza una continua purificazione la natura umana perde di vista se stessa, anzi, a rigore di termini, nemmeno si può conoscere. Il tema della purificazione collega strettamente le due prime encicliche di Benedetto XVI. Nella Deus caritas est egli aveva detto che la fede purifica la ragione e la carità purifica la giustizia. Nella Spe salvi egli mostra come la speranza cristiana purifichi le speranze umane.
La purificazione non è qualcosa che si aggiunga in un secondo momento. Non c'è l'eros e poi l'agape, non c'è la ragione e poi la fede, non c'è la giustizia e poi la carità, non ci sono le speranze umane e poi quella cristiana. Non esiste l'uomo fuori del piano salvifico di Dio, anche se lui - l'uomo - non lo sa. È questa consapevolezza a dare cittadinanza pubblica alla Chiesa. La dimensione dell'oltre, ossia la dimensione purificante, è presente fin dall'inizio ed è essenziale per lo stesso costituirsi delle altre dimensioni. Se così non fosse il cristianesimo sarebbe "irrilevante". Ecco perché la vera laicità consiste nell'accettare come necessaria la presenza pubblica dell'oltre. Non indifferentemente ogni oltre, ma quello "dal volto umano".
Quanto alla dottrina sociale della Chiesa, la Deus caritas est afferma che essa si colloca precisamente nel punto di incontro tra fede e ragione, ossia laddove la fede purifica la ragione. Mi chiedo: possiamo anche dire che la dottrina sociale si colloca laddove la speranza purifica le speranze? Credo, con la Spe salvi, di poter rispondere di sì. Le speranze di giustizia e di pace, di un lavoro non sfigurato dallo sfruttamento e compatibile con la vita familiare; le speranze di relazioni uomo-donna, corpo-anima, individuo e società improntate a verità trovano nella dottrina sociale una purificazione, una luce che ci fa capire meglio in che cosa queste realtà consistano e così esse si rivelano essere la misericordiosa provvidenza di Dio che ci viene incontro.
In che cosa consiste, però, il rapporto specifico tra l'allargamento della speranza e l'allargamento della ragione? La Spe salvi ce lo dice quando afferma che la ragione umana può indicare la strada alla volontà solo se guarda oltre se stessa (numero 23).
La speranza apre alla ragione lo spazio dell'oltre, parafrasando la Fides et ratio possiamo dire che la invita a non fermarsi mai. La chiusura della speranza provoca la chiusura della ragione, con la conseguente pretesa di dare corpo alle speranze umane senza la speranza cristiana: "Se non possiamo sperare più di quanto è effettivamente raggiungibile di volta in volta e di quanto di sperabile le autorità politiche ed economiche ci offrono, la nostra vita si riduce ben presto ad essere priva di speranza" (numero 35). È solo allargando la speranza che possiamo anche allargare la ragione, perché ciò ci mette a contatto con il dono e libera la ragione dai limiti dell'esperimento quantitativo e la volontà dai limiti del desiderio. È solo allargando la speranza che ci metteremo in grado di perseguire la giustizia perché "un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza" (numero 42).

(©L'Osservatore Romano - 2-3 maggio 2008)

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