21 ottobre 2008

Massimo Franco: "Pio XII e la Sinistra cristiana" (Osservatore Romano)


Il ruolo del giovane Andreotti tra il 1940 e il 1943

Pio XII e la Sinistra cristiana

Venerdì 24 ottobre viene presentato a Roma, nella Biblioteca del Senato "Giovanni Spadolini", il volume Andreotti. La vita di un uomo politico, la storia di un'epoca (Milano, Mondadori, 2008, pagine 384, euro 20) scritto dal notista politico del "Corriere della Sera". Ne pubblichiamo uno stralcio tratto dal secondo capitolo.

di Massimo Franco

"Andreottino" aveva una freccia d'oro nel proprio arco: era stimatissimo da Pio XII. E per il pontefice lui nutriva un'autentica venerazione.
Era affascinato da quella figura alta e sottile, ieratica, severa.
Eugenio Pacelli ricambiava la disponibilità e la devozione del presidente della Fuci accordandogli grande fiducia e trattandolo con una confidenza invidiatissima (...) Era il leader dei giovani cattolici affiliati all'associazione che veniva definita "la pupilla del papa". Ed era anche un ragazzo attento a quanto si muoveva ai margini dei gruppi religiosi ufficiali. Costituiva un'antenna preziosa, intelligente e discreta, per captare i fermenti che affioravano nel mondo cattolico romano.
Ce n'erano. C'era soprattutto la saldatura, avvenuta nel 1940, tra gli iscritti al circolo "Dante e Leonardo", come Adriano Ossicini e Paolo Pecoraro, futuro sacerdote, e gli ex studenti del liceo Visconti che gravitavano intorno alla "Scaletta". Erano schegge dell'Azione cattolica, che però tendevano a rifiutare l'atteggiamento della Chiesa verso il fascismo. Non volevano condannare moralmente il regime, ma sparargli addosso. Non erano marxisti, ma li attirava l'idea di un abbraccio tra cattolici e comunisti per buttar giù Mussolini. Si definivano movimento della Sinistra cristiana, avevano dato vita a un "Partito cooperativista sinarchico". E rappresentavano un assillo costante per il papa, terrorizzato all'idea che la malattia del comunismo contagiasse la gioventù cattolica.
Franco Rodano, Fedele D'Amico, Marisa Cinciari, Luciano Barca, Tonino Tatò, Silvia Pintor (sorella di Luigi, futuro fondatore del quotidiano "il manifesto") non nascondevano di avere contatti con il movimento comunista clandestino. E Andreotti cercò di cucire una tela di dialogo per non farli precipitare nell'inferno ideologico. Diventò non solo il loro interlocutore, ma di fatto il tramite fra la Santa Sede e quei ragazzi "in errore grave", ma che il papa considerava "in buona fede". In Vaticano, quel suo ruolo di mediazione gli procurò l'accusa tipica della curia, di "comunisteggiare". Giulio il papalino si sta corrompendo - si malignava sottovoce -, scivola a sinistra.
Forse avevano letto un paio di suoi articoli di fondo usciti su "Azione Fucina" il 25 luglio e il 25 ottobre 1942. Erano editoriali sul magistero sociale della Chiesa. Si delineava una terza posizione cattolica fra marxismo e capitalismo: ma con una forte critica verso l'egoismo dei ricchi e un larvato nostra culpa per i ritardi culturali del mondo cattolico. Andreotti ricordava "la propaganda bolscevica (...) quella figura - riprodotta in giornali e riviste - del Cristo posto tra un gruppo di minimizzati "proletari" e un manipolo di "capitalisti"" scriveva il 25 luglio in un articolo intitolato Verso i poveri. "Gesù", faceva notare Andreotti "era rappresentato in atto di coprire gli occhi dei poveri per dar modo ai ricchi di togliere dalle loro tasche anche l'ultimo soldo; sotto, la scritta "Il Paravento"". La cosa singolare è che Andreotti sembrava in qualche modo giustificare quella propaganda. "Non ci siamo resi conto che molto tardi di questo aspetto più strettamente sociale del problema della evangelizzazione nel mondo (...) osserviamo solo" aggiungeva "che accanto al socialismo ateo c'è, senza dubbio, anche un ateismo - non meno accentuato - del capitalismo egoista, di fronte al quale la condanna è parimenti netta e severa". Era una vera filippica contro le deviazioni filocapitaliste di una parte del mondo cattolico, e una difesa appassionata delle ragioni dei poveri. "La dottrina della proprietà assoluta è un'offesa all'ordine della natura ed è storicamente non secondaria causa del sorgere del comunismo" scriveva. Tra i rimedi indicava la predicazione del pensiero sociale della Chiesa, "l'obbedienza alla Chiesa e al papa" e "un grande amore per i poveri". Citando L'appello ai ricchi apparso su "L'Osservatore romano" e firmato da Giorgio La Pira, propugnava un "programma rivoluzionario ma non riservato a pochi eletti".
Andreotti fu costretto a scegliere molto presto, però. Nel 1943 il Movimento dei cattolici comunisti stringeva i propri rapporti con il Pci, al punto che molti dei suoi membri venivano considerati una sorta di corrente esterna di quel partito. Rodano e i suoi manifestavano l'intenzione di far proseliti proprio in ambienti come quello della Fuci: e questo per il Vaticano era ancora più pericoloso. Sul giornale del gruppo, "Pugno chiuso", una testata emblematica, Rodano rivolse un appello ai cattolici. La polizia arrestò tutti i redattori. Ma Rodano si salvò grazie all'ospitalità di Sergio Paronetto, un dirigente dell'Iri che Andreotti aveva conosciuto tramite De Gasperi: erano stati insieme a casa sua, in via Reno, al quartiere Trieste. La rete delle amicizie e delle solidarietà teneva ancora, a dispetto delle crescenti divergenze.
Fu chiaro quando, nella primavera di quell'anno, i giovani della Sinistra cristiana tentarono una manifestazione in piazza San Pietro e furono di nuovo arrestati. Ossicini non venne rilasciato come gli altri: rimase a Regina Coeli, in segregazione. E Andreotti, il "giovane vecchio" malato di prudenza, fece per lui una cosa imprevedibile: corse al Viminale per chiedere che fosse scarcerato, senza riuscire neanche a farsi ricevere. Non era ancora nessuno. E per tutto il periodo in cui Ossicini rimase in prigione, gli portò le torte di frutta che gli preparava la madre Rosa. "Sono stato l'unico a godere in contemporanea del Soccorso rosso e del Soccorso vaticano" raccontava Ossicini mezzo secolo dopo.
Ma il "Soccorso vaticano" lo doveva sorprendere di nuovo per il tempismo con il quale gli fece arrivare 6.000 lire il 24 luglio 1943, appena uscito da Regina Coeli. Giulio aveva fatto funzionare i suoi buoni rapporti col papa. E non soltanto in quell'occasione: era riuscito anche a evitare una condanna papale in pubblico contro i cattolici comunisti. Sapeva che Pio XII avrebbe parlato a un gruppo di operai, e lo cercò senza riuscirci. Gli lasciò un bigliettino chiedendogli di non toccare l'argomento. Papa Pacelli lo accontentò. Vedendolo alcune settimane dopo a un'udienza, fissò negli occhi Andreotti e gli chiese: "Andava bene?".
Andava bene, ma era l'ultima volta. La frattura con il movimento della Sinistra cristiana stava per subire un'accelerazione. Il progetto politico democristiano prendeva forma man mano che si intuiva il tramonto fascista. Pio XII era meno incline a fare lo spettatore di fronte a un dialogo semieretico fra il presidente della Fuci e quella razza ibrida e inquietante di marxisti-cristiani. E poi, Andreotti aveva tirato un colpo gobbo che aveva fatto irritare il papa: una lettera apparsa su "Azione Fucina" nell'estate del 1943. Era firmata Rino Cameracanna: un nome fittizio, pare, dietro il quale si nascondeva "Giulietto" in persona.
E il contenuto puzzava di eresia. Cameracanna chiedeva quale atteggiamento dovessero tenere i cattolici davanti a una rivoluzione.
Notava che l'elevazione sociale ed economica delle classi povere equivaleva a un'ascesa del "quarto stato, il popolo, al potere". Si spingeva a dire che l'enciclica Rerum Novarum forse era "condizionata e motivata dal manifesto dei comunisti". Contrapponeva al gradualismo della dottrina sociale della Chiesa e dei messaggi pontifici la forza della rivoluzione. Era solo una lettera, ma la sua pubblicazione rappresentava una scelta precisa. E nella risposta Andreotti si limitò a invitare il misterioso Cameracanna a leggere il quindicinale. Per il resto, "nessuno dei due darà del lavoro ai padri del Santo Uffizio". In realtà, i Cameracanna che con altri nomi militavano nel gruppo dei cattolici comunisti erano già all'indice. L'ombra del Pci ormai si allungava sull'esperienza della Sinistra cristiana. Il 16 ottobre 1943 Andreotti scrisse a Rodano, ed era un congedo dal dialogo di quegli anni. Un congedo amichevole, nel quale Giulio faceva notare con tono di rimprovero che gli era stato fatto credere che si trattasse di un movimento culturale; che aveva difeso Rodano, Ossicini e gli altri al punto che "a qualcuno è sorto finanche il sospetto che io appoggiassi una causa nella quale ero coinvolto". Gli avevano procurato non poche grane, inutile nasconderlo. E adesso era il momento di guardarsi in faccia, di ricapitolare e di salutarsi da buoni amici, ma anche da avversari politici. Lo ordinava il papa, e lo chiedeva la futura Dc degasperiana.

(©L'Osservatore Romano - 20-21 ottobre 2008)

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