19 agosto 2007

Mons. Bruno Forte: il Magistero di Benedetto XVI ci fa riconoscere la vera identità della Chiesa


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Il Magistero di Benedetto XVI ci esorta a riconoscere la vera identità della Chiesa: così, l’arcivescovo Bruno Forte sui tentativi di riduzionismo dell’istituzione ecclesiale a mera ONG

E’ notizia di questi giorni che il governo ugandese intende ridurre lo status della Chiesa a semplice Organizzazione non governativa. Una tendenza, sottolinea oggi il quotidiano della CEI, Avvenire, in atto anche in altri Paesi del sud del mondo. D’altro canto, a metà luglio, il settimanale britannico The Economist aveva chiesto alla Santa Sede di rinunciare al suo “status diplomatico” e di definirsi "la più grande ONG del mondo”. Per una riflessione su queste visioni riduttive della Chiesa, Alessandro Gisotti ha intervistato il teologo mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:

R. – Esse nascono da una chiarissima interpretazione ideologica del ruolo della Chiesa, che è assolutamente incapace di coglierne il mistero profondo, quel senso ultimo che ogni credente che viva l’esperienza della grazia riesce a percepire. Agli occhi delle potenze in gioco in questo mondo, di qualunque genere e in modo speciale di carattere economico, la Chiesa non può che apparire come una agenzia tra le altre nel gioco delle forze della storia. Voler ridurre a questo la Chiesa significa, però, tradirne l’anima più profonda. Io non esito a vedere in questi tentativi precisamente dei condizionamenti ideologici; ma chi vive la Chiesa dal di dentro non può che resistere a questi tentativi perché la Chiesa non è semplicemente un’agenzia sociale – lo è anche: è innumerevole la quantità di bene che essa fa nel mondo, ma tutto questo lo fa per una ragione profonda, una forza, una speranza, un amore che non sono riducibili alle pure coordinate dell’economia o del potere politico.

D. – Queste visioni riduttive della natura, dell’identità della Chiesa, possono assimilarsi in un certo senso a quei tentativi su cui più volte ci ha richiamato Benedetto XVI, di espulsione della fede e dell’elemento religioso dalla dimensione pubblica?

R. – Una costante del magistero di Papa Benedetto XVI sia il richiamo alla dimensione soprannaturale e mistica della Chiesa. Anche la Deus caritas est è particolarmente forte su questo punto, nel mettere in evidenza come l’amore, quello puro, vero, alto, gratuito viene da Dio e torna a Dio, coinvolgendo il cuore dell’uomo. Papa Benedetto osserva anche come la Chiesa, che è la Chiesa dell’amore, è il popolo di quanti si riconoscono amati nell’amato, non possa essere ridotta ad una mera agenzia sociale dove il servizio agli altri è fatto solo per motivazioni di impegno professionale o di guadagno economico o anche di principi umanitari generici. La Chiesa è la comunità di quelli che riconoscono la sorgente della carità che li spinge ad agire non in se stessi ma in Dio.

D. – Questi riduzionismi fanno venire in mente anche le parole di Papa Benedetto alla Messa dell’Assunta, quando il Pontefice ha avvertito come oggi il potere anti-cristiano – il drago rosso dell’Apocalisse di Giovanni – esista nella forma delle ideologia materialiste con tutta la loro forza mediatica e propagandistica ...

R. – L’Apocalisse è una teologia della speranza sotto forma della teologia della storia. Come tale, essa ci dà degli scenari che Papa Benedetto ha richiamato nella sua omelia che sono di straordinaria potenza.

Sono tutti e due gli elementi che ritornano nel Magistero di questo Papa e che mi sembrano di grande importanza per il nostro presente: l’aspetto drammatico del conflitto, cioè siamo in una lettura della storia dove dunque ci sono forze in gioco che spesso sono forze negative – possiamo chiamarle ‘relativismo’, ‘nichilismo’, ma nello stesso tempo va richiamato il senso profondo della fede cristiana che l’Apocalisse veicola, e cioè che Dio è e resta il vincitore, che la Storia è una storia che si apre ad un orizzonte di senso e di speranza e di cui noi siamo i testimoni. Per cui, anche di fronte a sfide come queste che si stanno profilando, il cristiano non perde mai la fiducia e la speranza; sa che la riserva escatologica di cui è portatore, cioè questa carica di speranza più grande, e la carità che da essa nasce, non hanno bisogno di riconoscimenti umani per essere vissute.

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