12 agosto 2007

"Preti d'assalto": opinioni a confronto


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Cari amici, come al solito, non entriamo nel merito del lavoro della magistratura, ma trovo interessanti questi due articoli.
R.

PRETI CONTRO

UNA GUERRA POCO SANTA

Lorenzo Mondo

Don Gelmini e gli altri. La vicenda che ha portato alla ribalta il fondatore della comunità Incontro resta aperta e per vederci chiaro occorre attendere il responso della magistratura. Per adesso, egli è colpevole soltanto di un’autodifesa bislacca che lo ha portato a ipotizzare complotti ai suoi danni da parte di una «lobby ebraico-radical-chic». Non hanno complottato, ma non gli hanno risparmiato stilettate, alcuni sacerdoti impegnati come lui nel recupero dei tossicodipendenti. Ci si sarebbe aspettati da questi altri preti d’assalto - in un momento così difficile per don Pierino, accusato da cinque ragazzi di abusi sessuali - che manifestassero nei suoi riguardi una maggiore cautela e, se la parola non suona desueta per uomini di Chiesa, più carità. Confesso che ho letto con un sobbalzo le dichiarazioni di don Ciotti secondo cui bisognava esprimere solidarietà al confratello «senza trascurare quella per le vittime». Sicché, elevando preventivamente a vittime gli accusatori, la presunzione d’innocenza dovuta all’indagato si capovolgeva in presunzione di colpevolezza. Prendiamo ancora don Mazzi, il vispo prete che abbiamo visto ospite fisso a Domenica In. Ha raccontato che anni fa uno dei cinque gli aveva confidato di avere subito violenza ad Amelia, nella comunità di Gelmini. Non contento di informare i magistrati, don Mazzi ne ha parlato con un giornalista, manifestando, anche qui, una speciale sollecitudine per i problemi psicologici della «vittima». Le mezze rettifiche, le resipiscenze di poi, non mutano la sostanza di un atteggiamento che si risolve in freddezza nei confronti di don Gelmini.
Sembra affiorare nell’universo delle comunità una non edificante guerra di preti, dovuta a un sentimento di rivalità, quasi di concorrenzialità, come se mancassero, Dio mio, «clienti» per tutti. Inducono alla contrapposizione le diverse «filosofie» sul recupero dei drogati (anche se nessuno può cedere onestamente al trionfalismo), la tutela dell’uno o dell’altro schieramento politico, perfino l’uso degli strumenti mediatici. Mentre, a lume di buonsenso, dovrebbero coltivare il proprio orto, compiacendosi con pudore dei risultati propri e altrui. Certo, l’improbo lavoro al quale attendono si avvantaggerebbe se, ciascuno per la sua parte, rinunciasse a esibirsi con politici e ballerine.

© Copyright La Stampa, 12 agosto 2007


Quei preti di strada vittime del loro coraggio

di Massimo Introvigne

Non passa ormai giorno senza che qualche quotidiano sbatta un prete accusato di abusi sessuali in prima pagina. Don Gelmini è il nome più illustre. Torino sembra la città più colpita, ma non è certo l’unica.

Qualche anno fa i sociologi della religione prevedevano nelle società industriali avanzate una progressiva scomparsa della religione, cui sarebbe rimasto il compito - rifiutato da tutte le altre agenzie sociali - di occuparsi dei soggetti marginali «lasciati indietro» dall’economia globalizzata. Che la religione stesse per sparire, come oggi sappiamo, non era vero. Ma i teorici della secolarizzazione avevano in gran parte ragione - non totalmente, perché ci sono anche benemeriti volontari non religiosi - quando sostenevano che sarebbe arrivato il giorno in cui di questo nuovo sottoproletariato si sarebbero occupate «quasi» solo le istituzioni religiose. In Italia a raccogliere drogati, piccoli delinquenti e ragazzini che fanno commercio del loro corpo in strade come via Cavalli a Torino si trovano in effetti quasi solo preti, suore e volontari cattolici. Chi conosce veramente questo mondo non si fa nessuna illusione. I giovani che delinquono e si prostituiscono non sono tutti ansiosi di convertirsi. Il presidente di una delle più importanti associazioni di volontariato italiano mi raccontava che i minorenni drogati che raccoglie e porta a casa tutte le sere in maggioranza lo ringraziano scappando al mattino e portando via tutto quello che sono riusciti a rubare.

Eppure centinaia di volontari cattolici continuano a raccogliere baby delinquenti, certo dopo avere preso qualche ragionevole precauzione: perché questo insegna il Vangelo, e perché ogni tanto qualcuno per davvero si salva. Ma tutto è tremendamente difficile, specie quando entra in gioco la droga, le cui vittime non solo diventano bugiardi patologici ma sono disposte a qualunque cosa per i soldi necessari a procurarsi una dose. I drogati e altri marginali chiedono, continuamente e senza ritegno.

Quando non ottengono minacciano, pronti a mordere la mano che li ha nutriti, o ricattano. Oggi hanno capito che ricattare con la minaccia di accusare i loro benefattori di avances sessuali funziona. Certo, il ricatto riesce perché fra tanti sacerdoti e volontari eroici c’è davvero qualche pecora nera.

Ma riesce oggi più di ieri perché - suggestionati dall’esempio americano - molti avvocati, giornalisti e giudici, spesso già maldisposti verso la religione, si lanciano su ogni caso di questo genere come squali.

Il rischio è che, come sta avvenendo in qualche diocesi americana, sacerdoti e suore finiscano per rinunciare alla dura missione di andare a cercare e accogliere drogati e marginali minorenni, perché troppo forte è il rischio che a qualcuno di questi piccoli delinquenti venga in mente di tentare un ricatto basato su fantasie di abusi sessuali. Si dirà che alcuni accusati sono forse colpevoli. È vero: ma la dinamica sociale da cui nascono questi ricatti dovrebbe indurre giornalisti e giudici a usare particolare cautela e riservatezza. Quando invece per ragioni ideologiche si aprono stagioni di caccia al prete si rischia che un enorme patrimonio di carità e di solidarietà vada perduto.

© Copyright Il Giornale, 12 agosto 2007

1 commento:

gemma ha detto...

Certo che non è molto edificante vedere ministri di Dio relazionarsi tra loro come massaie litigiose al mercato. Siamo ormai talmente abituati al mostro in prima pagina e ai reality show da aver perso di vista quel minimo di cautela che se non il buon senso almeno lo spirito misericordioso della chiesa dovrebbero imporre. Tutto mi aspetterei onestamente che non una confidenza ad un sacerdote svelata ai giornali. Giusto parlarne col magistrato, doveroso farlo ancora prima col vescovo competente. Ma l'impressione è che questi ultimi siano troppo impegnati a dirimere le questioni dello spirito conciliare e della messa in latino per occuparsi dei rapporti pratici tra il gregge e i pastori. Che strano concetto di collegialità….tanto sbandierata per condannare la dittatura pontificia, ridimensionata quando si tratta di condividere responsabilità nella gestione delle diocesi locali. In quel caso è sempre colpa di Roma. Possibile che i vescovi caschino sempre dalle nuvole? Io della ripartizione ecclesiastica delle competenze non so molto ma chi dovrebbe aiutare il Papa sul territorio se non i vescovi?