11 marzo 2008
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Dopo il voto in Spagna
Il ruolo dei cattolici tra collaborazione leale e presenza incisiva
di Antonio Pelayo
Il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe) ha vinto con ampio margine le elezioni legislative tenutesi in Spagna domenica 9 marzo contro il suo unico possibile rivale, il Partito popolare (Pp). Il primo ha ottenuto 169 dei 350 seggi delle Cortes generales (Camera dei deputati) contro i 154 del secondo. Seguono con percentuali molto meno importanti altre formazioni politiche che rappresentano i movimenti nazionalisti della Catalogna e del Paese basco e le formazioni di sinistra.
Non è stata una sorpresa visto che da diverse settimane tutti gli istituti demoscopici - con margini differenti - avevano anticipato la vittoria socialista e la sconfitta popolare, soprattutto a seguito dei due dibattiti televisivi a cui hanno partecipato i loro leader, José Luis Rodríguez Zapatero e Mariano Rajoy. L'ultimo assassinio perpetrato dal gruppo terroristico Eta - nel quale ha perso la vita il dirigente socialista di Mondragón, in provincia di Guipúzcoa, Isaías Carrasco - non sembra avere avuto un'influenza decisiva su un elettorato che si è recato alle urne con un'alta percentuale, il 75,32 per cento, di poco inferiore a quella delle elezioni del 2004 tenutesi pochi giorni dopo i mostruosi attentati di Madrid che provocarono quasi duecento morti e mille feriti.
Il segretario generale del Psoe, José Luis Rodríguez Zapatero, che sicuramente sarà rieletto per un secondo mandato di quattro anni come presidente del Governo, ha espresso la propria soddisfazione per "l'ampia vittoria", ma non ha ottenuto quella maggioranza assoluta dei seggi alla Camera che aveva ripetutamente chiesto ai suoi elettori e che hanno ottenuto i suoi predecessori nell'incarico, il socialista Felipe González e il popolare José María Aznar, quando si sono presentati per un secondo mandato che entrambi hanno agevolmente conseguito. Per governare con una certa stabilità potrebbe optare per un'alleanza o con i nazionalisti moderati catalani del CiU (11 seggi) o del Partito nazionalista basco (6 seggi), il che appare piuttosto problematico, o stabilire patti temporanei con altre formazioni politiche. Questa ipotesi appare più conforme al pragmatismo politico di cui ha sempre dato prova il giovane dirigente socialista.
Il leader del Pp Mariano Rajoy ha subito una "dolce sconfitta" ottenendo i migliori risultati per il suo partito - 154 seggi contro i 148 del 2004 e un incremento sostanziale nel numero dei votanti - ma non sufficienti per assumere il Governo del Paese. I popolari hanno assistito a un aumento dei voti in regioni che sono per tradizione loro feudi elettorali come Valencia, Castilla-León, Murcia e Cantabria, e anche a Madrid dove l'assenza nelle liste del sindaco Alberto Ruiz Gallardón non è stato un ostacolo per superare il suo rivale di oltre trecentomila schede. Hanno altresì migliorato in Andalusia, dove i socialisti hanno il loro "granaio" elettorale e governano da decenni, ma i risultati sono rimasti bassi in Catalogna e nel Paese basco. Nonostante questi trionfi che nessuno può contestargli, la leadership di Mariano Rajoy all'interno del partito non potrà non essere messa in discussione dopo il suo secondo tentativo fallito di ottenere il Governo della nazione. La sua delusione è stata evidente la notte delle elezioni quando è apparso di fronte ai suoi entusiastici sostenitori in calle Génova a Madrid - sede del Pp - ma il suo mandato, in linea di principio, è garantito fino al prossimo congresso del partito che si terrà in autunno. Salvo sorprese.
Il voto del 9 marzo ha portato a un consolidamento del bipartitismo e del bipolarismo politico conferendo ai due partiti maggiori un'impressionante maggioranza alla Camera ed è stato severo con i movimenti nazionalisti catalani e baschi più radicali che perdono peso rappresentativo e deputati. In modo particolare retrocedono le formazioni più estremiste come la Sinistra repubblicana catalana (Erc) che da 8 seggi passa a 3; lo stesso vale per Sinistra unita che ha perso 3 dei 5 seggi di cui disponeva e il cui coordinatore Gaspar Llamazares ha presentato le dimissioni. Il tracollo di questi partiti - come la sensibile perdita del Pnv nell'elettorato basco - ha travasato una buona parte dei loro voti nel Partito socialista trasformandolo nel partito più votato sia in Catalogna sia nel Paese basco. Questa è, senza dubbio, una delle chiavi per non dire "la" chiave della vittoria di Rodríguez Zapatero, con le conseguenze che si possono immaginare per la sua futura politica in una materia tanto delicata come la territorialità della nazione spagnola.
L'unica novità rispetto alle precedenti elezioni è stato l'ingresso nel Parlamento di un nuovo partito di recente creazione da parte di un gruppo di politici e intellettuali (come Fernando Savater) preoccupati per la deriva nazionalista del socialismo governante. L'Unione di progresso e democrazia, la cui leader è la ex-deputata socialista Rosa Diez, ha ottenuto un unico seggio a Madrid con una percentuale di voti quasi del 4 per cento, e costituirà una presenza scomoda per il presidente Rodríguez Zapatero nella prossima legislatura.
A tutti questi elementi che non renderanno facile il compito del prossimo presidente del Governo spagnolo, bisogna aggiungere i dati economici che hanno già fatto lanciare negli ultimi mesi i primi e seri segnali di allarme: aumento sensibile della disoccupazione, alto livello di inflazione, riduzione della "bolla" immobiliare, altissimo squilibrio nella bilancia commerciale del Paese, riduzione dei consumi, congiuntura internazionale di segno negativo, ecc. È possibile che nelle prossime settimane alcuni di questi problemi - e altri - che sono stati tamponati perché non si manifestassero durante la campagna elettorale, si mostreranno in tutta la loro gravità dinanzi a un'opinione pubblica che ha vissuto in una fase, forse, di eccessiva euforia. Il vicepresidente Solbes, che sarà confermato a capo della gestione del governo socialista, avrà dinanzi a sé un panorama molto meno roseo del previsto e dovrà ridimensionare alcune delle promesse fatte da Rodríguez Zapatero durante la campagna elettorale.
Ma la domanda che si pone la maggior parte degli analisti internazionali è come interpreta il Psoe e, più concretamente il suo segretario generale, questa vittoria elettorale che presuppone alcune critiche o revisioni della sua precedente gestione. Il presidente Rodríguez Zapatero nelle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria ha assicurato che governerà "per la maggioranza" senza specificare le sue reali intenzioni. I risultati elettorali dovrebbero portarlo a stabilire con il Partito popolare - il cui ruolo esce rafforzato dalle urne - un patto di stato per risolvere di comune accordo alcuni dei grandi problemi nazionali. Il primo di tutti è quello dell'articolazione definitiva del concetto e della realtà territoriale spagnola sulla quale, certamente, sono in sospeso alcune decisioni del Tribunale costituzionale; un Paese che figura fra le prime forze economiche del mondo non può ancora dibattersi in sterili liti tribali mascherate da nazionalismo. Dall'intesa e dalla collaborazione fra i due partiti su questioni importanti come la lotta contro il terrorismo deriverebbero solo vantaggi per il Paese, come è già stato dimostrato in passato, ma oggi i margini per un accordo di questo tipo appaiono molto stretti.
Molti si sono chiesti anche come saranno le relazioni del prossimo Governo con la Chiesa cattolica dopo gli ultimi burrascosi scontri a proposito della manifestazione a favore della famiglia che ha avuto luogo a Madrid il 30 dicembre e la nota della Conferenza episcopale spagnola alla vigilia delle elezioni, che hanno tanto irritato i socialisti e che hanno suscitato reazioni spropositate. Anche questa sarà una prova che permetterà di misurare la prudenza del presidente dinanzi alle pressioni dell'ala più laicizzante del suo partito che esige la denuncia dei vigenti accordi con la Santa Sede, e di una serie di lobbies che hanno fatto dell'anticlericalismo la loro bandiera per far presa sulla popolazione.
Il cardinale Rouco Varela, recentemente eletto presidente della Conferenza episcopale spagnola, ha offerto al Governo "collaborazione leale" e questo sarà senza dubbio l'atteggiamento della gerarchia che, naturalmente, né con questo né con nessun altro Governo è disposta a rifugiarsi, come si dice, nelle sacrestie, ma che aspira a far sì che i cattolici spagnoli, come tutti i cittadini, possano far udire la propria voce nella difesa della dignità e dei diritti della persona nell'agora della politica e della società.
(©L'Osservatore Romano - 12 marzo 2008)
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