6 aprile 2008

Cinquant'anni fa veniva eletto Giovanni XXIII: l'omaggio dell'Osservatore Romano


Vedi anche:

La mappa di Papa Ratzinger (Conti per il "Corriere")

Il Papa parla di aborto (e non è un’ingerenza). Benedetto vola più in alto di certi politici ed intellettuali ottocenteschi...(Brambilla)

Divorzio e aborto colpe gravi. Ma le persone vanno aiutate (Bobbio)

"Imbarazzo" dei giornaloni per le parole del Papa su divorzio e aborto...eppure quando Tettamanzi parlò di accoglienza ottenne plausi e prime pagine

Il cardinale Bertone e il ruolo del giornale del Papa: "Benedetto XVI e un'informazione all'altezza dei tempi" (Osservatore)

Il Papa: "I nonni ritornino ad essere presenza viva nella famiglia, nella Chiesa e nella società" (Discorso del Santo Padre)

IL PAPA: AIUTARE CHI SOFFRE PER L'ABORTO ED IL DIVORZIO

Divorzio e aborto sono colpe gravi, ma la Chiesa ha il dovere primario di accostarsi con amore e delicatezza alle persone che ne portano le ferite interiori (Discorso del Santo Padre)

Completato il "Nuovo dizionario Patristico e di Antichità Cristiane". Tutto sui primi secoli del Cristianesimo (Osservatore)

Benedetto XVI visiterà la sinagoga di New York (Osservatore Romano)

Benedetto XVI visiterà la sinagoga di New York. Il Time gli dedica la copertina: «Questo Papa ama gli americani» (Galeazzi per "La Stampa")

Dossier: Quella Messa si può fare. Il sociologo Pietro De Marco risponde alle principali perplessità provocate dal Motu proprio Summorum Pontificum

A cinquanta anni dall'elezione di Giovanni XXIII

Precursore di una nuova stagione per la Chiesa e per il mondo

di Roberto Amadei
Vescovo di Bergamo

Il 28 ottobre di quest'anno ricorre il cinquantesimo anniversario della elezione di Angelo Giuseppe Roncalli al soglio di Pietro, con il nome di Giovanni XXIII. Mentre gli anni scorrono e ci separano dal ricordo del Papa rimasto nella memoria di noi che lo abbiamo conosciuto, ed è passato alla storia con il nome singolare di "Papa della bontà", alcuni tratti fondamentali del suo pontificato non smettono di essere fecondi, attraversando la storia della Chiesa. I cinquant'anni dalla elezione sono certamente occasione di ringraziare il Signore per quanto lo Spirito, attraverso il ministero di Papa Giovanni, ha operato nella Sua Chiesa, e per quanto nella successione apostolica ha suscitato, nella continuità e nella novità dei pontificati seguenti.
È l'immagine del pastore che maggiormente troviamo come sintetica e feconda nel ricordare la poliedrica personalità di Papa Giovanni e del suo breve ed intenso pontificato. Certo, gli studiosi di storia contemporanea ci avvertono che i cinquant'anni dalla elezione di Papa Giovanni sono stati carichi di tali eventi epocali da rendere quella data lontana, posta cioè in un contesto completamente diverso dal nostro.

Si pensi al fenomeno della secolarizzazione, accentuatosi proprio in questi decenni; la contestazione, che ha caratterizzato il mondo occidentale negli anni Settanta; la caduta del muro di Berlino nel 1989, con quanto è seguito, con profondi mutamenti dell'equilibrio mondiale; il fenomeno della caduta delle ideologie forti; tutto ciò, ed altro ancora, rende lontana quella elezione.

E pur tuttavia, consapevoli di tale distanza, sentiamo vivace ed autentico, ancora reale e fecondo il ministero di Papa Giovanni. Anch'esso segnato certamente da aspetti che il tempo ha reso meno attuali, inevitabilmente. E pur tuttavia è proprio quell'aver guidato con la consapevolezza del pastore completamente e incrollabilmente affidato alla Provvidenza - e, al contempo, attento alla lettura intelligente e profonda dei "segni dei tempi" - che rende possibile l'accoglienza di un messaggio e, addirittura, lo rende presente nella Chiesa, nell'opera del suo Pastore attuale.

Rinnovamento nella continuità

"Rinnovamento nella continuità": è questa l'espressione che sintetizza bene il progetto pastorale di Papa Giovanni; un programma scaturito dalla conoscenza diretta di alcune situazioni della Chiesa sperimentate personalmente nel lungo iter di vescovo, a servizio della Santa Sede e diocesano; un programma svolto con fedeltà e coraggio, nell'accoglienza delle "buone ispirazioni del Signore "simpliciter et confidenter"" (ivi n. 1043 pag. 615).
Questo uomo anziano trasfonde nel solerte lavoro pastorale del suo pontificato la passione per il mistero della Chiesa nella sua essenziale missione di comunicare agli uomini la vita di Cristo, la passione per gli uomini che incontra, il desiderio di aiutarli ad entrare nella vita di Cristo. Ecco come egli annuncia il Concilio: "Davanti a questo duplice spettacolo: un mondo che rivela un grande stato di indigenza spirituale e la Chiesa di Cristo, ancora così vibrante di vitalità, Noi, fin da quando salimmo al supremo pontificato, nonostante la nostra indegnità e per un tratto della Divina Provvidenza, sentimmo subito urgente il dovere di chiamare a raccolta i nostri figli, per dare alla Chiesa la possibilità di contribuire più efficacemente alla soluzione dei problemi dell'età moderna. Per questo motivo, accogliendo come venuta dall'alto una voce intima del nostro spirito, abbiamo ritenuto essere ormai maturi i tempi per offrire alla Chiesa cattolica e al mondo il dono di un nuovo Concilio Ecumenico". (Bolla di indizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 25 dicembre 1961).
Lo stesso desiderio di rinnovamento nella continuità si può leggere nel celeberrimo passaggio del discorso di apertura del Concilio Vaticano II, l'11 ottobre 1962: "Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l'intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risaltano soprattutto negli atti dei Concili di Trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come auspicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale".

Sapienza e coraggio

È noto che Papa Giovanni assistette solo alla prima delle quattro sessioni del Vaticano II. Nessuna costituzione o decreto furono prodotti in tale fase. La sapienza e il coraggio pastorale di Papa Giovanni permisero che in quella prima sessione fosse larga ed agevole la discussione fra i padri conciliari proprio nell'intento di coniugare un vero rinnovamento ed una autentica fedeltà. La complessa vicenda della prosecuzione e della conclusione del Vaticano II guidata da Paolo VI con sapiente e delicata fortezza; l'attuazione coraggiosa di riforme, di nuove istituzioni, di sperimentazioni condotta dallo stesso Pontefice con sapienza durante i difficili anni Settanta, segnati in ogni settore della vita sociale in occidente dal fenomeno della contestazione; i continui riferimenti e richiami di Giovanni Paolo II al Concilio - a cui aveva partecipato come giovane vescovo - durante il suo lungo pontificato e alla sapiente attuazione e riattualizzazione di esso mentre i tempi e le situazioni evolvevano; la ripresa fedele e costante, il coraggio quotidiano della interpretazione del Vaticano II ad opera di Benedetto XVI che intervenne come giovane teologo alla grande assise: tutto ciò ruota intorno alla intuizione ed al progetto di una sincera e profonda fedeltà e di un coraggioso e costante aggiornamento inaugurati da Giovanni XXIII.
Dentro l'evento centrale del pontificato, quello del Concilio per l'appunto, che ha offerto alla Chiesa la possibilità di una nuova autocomprensione nella forza dello Spirito Santo, è bello ricordare almeno due aspetti della molteplice attività di Giovanni XXIII nella linea della fedeltà-continuità e del rinnovamento. Il Concilio è stato infatti uno snodo determinante nel quale hanno fatto convergenza, e da cui sono partite, nuove realtà di comprensione e di rapporto.
Il dialogo ecumenico, che aveva percorso un lungo cammino durante la prima metà del Novecento, trovò certamente in Papa Giovanni un interlocutore attento. Il Concilio vide la presenza di osservatori delle diverse confessioni cristiane, che Giovanni XXIII incontrò. La permanenza prolungata di venti anni in Oriente (Bulgaria e Turchia) aveva arricchito Papa Giovanni di una conoscenza proveniente dalla consuetudine quotidiana con il mondo dell'ortodossia, la sua liturgia, il suo vissuto ecclesiale, il suo stile; lo studio dei Padri della Chiesa, sempre amato e coltivato, gli permettevano di risalire alle comuni radici della riflessione teologica e dell'esperienza mistica; per tutto questo un passo innanzi s'è compiuto soprattutto con l'Oriente. Sarà Paolo VI a cogliere un primo frutto incontrando il patriarca ecumenico di Costantinopoli nel viaggio in Terra Santa, nel gennaio 1964. Anche se tale incontro fu sostanzialmente personale, esso segnò un inizio.
Ad esso seguì la visita di Paolo VI ad Istanbul nel 1967 e nel 1969 la visita di Atenagora a Roma. Giovanni Paolo II visitava il patriarca ecumenico nel 1979 e lo riceveva a Roma. Benedetto XVI nel 2006, il 30 novembre, festa dell'apostolo Andrea, visitava il patriarca Bartolomeo ad Istanbul. Nella consapevolezza dei molti problemi ancora aperti, un rinnovato stile di incontro e di rapporto esiste fra Roma e Costantinopoli. Il delegato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli annotava nella propria agenda, quand'era in Turchia, ad Istanbul, una visita al patriarca ecumenico Beniamino il 27 maggio 1939, chiamandola "fatto oltremodo notevole " (cfr La mia vita in Oriente. Bologna, 2006, pagina 681). Quella "visita di cortesia", - come la definisce con chiarezza Roncalli - per ringraziare il patriarca delle espressioni di cordoglio per la morte di Pio XI e di gioia per la elezione di Pio XII rivolte alla Santa Sede, è diventata lungo il corso di quasi settant'anni, un incontro di preghiera, di confronto, di sofferta, ma condivisa constatazione delle difficoltà
Nel complesso rapporto fra la Chiesa cattolica, rappresentata dalla Santa Sede, e la grande e composita famiglia delle Nazioni l'età moderna ha segnato pagine di storia nobilissime per la sollecitudine soprattutto dei Papi del Novecento per la pace, per la promozione di tutto l'uomo, per i diritti dei più deboli. Ha registrato anche momenti di sofferenza, per la posizione della Santa Sede autorevole e forte nell'appellarsi alla coscienza dei popoli, dei governanti, dei singoli. Una autorevolezza disarmata, per fortuna: e quindi passibile di essere inascoltata e addirittura calpestata. Giovanni XXIII durante il suo pontificato conobbe due momenti acuti della cosiddetta "guerra fredda": l'innalzamento del muro di Berlino nell'agosto del 1961 e la crisi di Cuba nell'ottobre del 1962, a pochi giorni di distanza dalla apertura del Concilio. Sono noti gli interventi di Papa Giovanni in queste circostanze, soprattutto l'accorato appello, per fortuna ascoltato, durante la gravissima crisi di Cuba.

La "Pacem in terris"

L'ultimo documento importante di Papa Giovanni è l'enciclica Pacem in terris, che porta la data dell'11 aprile 1963, poche settimane prima della sua morte. È noto che essa fu rivolta non solo ai cattolici, ma anche, per la prima volta, "a tutti gli uomini di buona volontà". A venti giorni dalla morte - il 10 maggio 1963 - ebbe la consolazione di ricevere il premio Balzan per la pace. Il pontificato di Papa Giovanni coincide con un nuovo assetto internazionale, nato dalla fine del colonialismo. Il suo rivolgersi a tutti i popoli invitandoli ad essere maggiormente responsabili delle loro sorti, sarà una nota caratterizzante per la continuità e il rinnovamento di uno stile della Chiesa interlocutrice della grande famiglia umana.
Il viaggio di Paolo VI all'Assemblea delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965 avrebbe segnato un ulteriore passo avanti in tale dialogo con l'umanità. Paolo VI si presentò "Noi, quali "esperti in umanità", rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l'Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale".
E Giovanni Paolo II visitando la stessa assemblea, il 7 giugno 1982 e il 5 ottobre 1995, continuava la riflessione sul grande tema della pace e sulla libertà, dono sempre prezioso e disponibile all'uomo di oggi.
Nella primavera di quest'anno Benedetto XVI visiterà di nuovo la grande istituzione, continuando un dialogo coraggioso, idealmente a tutto campo, con l'umanità intera.
A cinquant'anni dalla elezione di Angelo Giuseppe Roncalli al pontificato il significato della sua azione pastorale, del suo programma che desiderava continuità e rinnovamento, non smette di essere fecondo nella ripresa e nella novità dei suoi successori. La beatificazione del 3 settembre 2000, la memoria viva che il popolo di Dio custodisce di lui, rendono l'anniversario non mera data storica, ma occasione per sentire la vibrante presenza di Papa Giovanni nel nostro tempo.

Le celebrazioni a Bergamo

Per il cinquantenario dell'elezione di Papa Giovanni XXIII la diocesi di Bergamo ha predisposto un calendario di incontri e celebrazioni.
Tra gli appuntamenti ricordiamo, a maggio, un incontro sul tema "Angelo Roncalli, pastore in terra turca". Nel corso della primavera, poi, varie iniziative sottolineeranno altri due aspetti dell'azione pastorale di Roncalli: l'accoglienza verso tutti e la centralità della Parola di Dio. Le celebrazioni culmineranno il 28 ottobre col pellegrinaggio diocesano a Roma per incontrare Benedetto XVI e pregare sulla tomba di Papa Giovanni.

(©L'Osservatore Romano - 6 aprile 2008)

Il ricordo dell'antico segretario

Amore e speranza: ancora attuale l'annuncio del Concilio

di Loris Francesco Capovilla
Arcivescovo titolare di Mesembria

Giovanni XXIII è uno degli aurei anelli della catena apostolica avviata da Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade, tenuta oggi saldamente tra le mani di Benedetto XVI. Questo padre e maestro ci fa ricordare l'atto di fede del cardinale Domenico Tardini, che, invitato a commemorare Pio XII, a cinque mesi dalla morte, reso omaggio al genio pontificale e alla santità di lui, ringraziato il successore che, rivestito dello stesso pallio, aveva deterso le lacrime della Chiesa e le additava ulteriori frontiere di servizio, rivolto a Giovanni XXIII scandì con forza e con letizia: "Beatissimo Padre, i papi muoiono, il Papa non muore".
Giovanni XXIII trascorse tutta la sua vita con l'immagine negli occhi del vegliardo Leone XIII; sentì sul suo capo le mani di Pio X che, ricevendolo l'11 agosto 1904, dopo la prima messa celebrata nelle Grotte Vaticane, lo incoraggiò piamente: "Auguro che il tuo sacerdozio sia motivo di consolazione per tutta la Chiesa"; parlava con tenerezza di Benedetto XV e gli era grato di averlo voluto a "Propaganda Fide"; il Papa che il 31 marzo 1921 lo indirizzò a Don Orione perché accendesse con lui, negli italiani, il fuoco di più attiva cooperazione missionaria; ammirava oltre ogni dire Pio XI, conosciuto all'Ambrosiana di Milano, inviato da lui in Bulgaria, Turchia e Grecia; amava filialmente Pio XII che lo destinò a Parigi e poi a Venezia, aggregandolo infine al Collegio cardinalizio.
L'anno cinquantesimo dell'elezione di Giovanni XXIII al papato è occasione propizia per chiederci nuovamente chi era e com'era questo servo di Dio e dell'umanità, questo prete mai uscito dall'infanzia spirituale, che egli ingrandì giorno dopo giorno a misura della sua vocazione e missione, legatosi sin da giovane al suo vescovo col triplice voto dei religiosi. È stato il prete di oboedientia et pax, sale e lievito della sua spiritualità, dal principio alla fine, riconoscendosi, va da sé anche da Papa, figlio della Chiesa, sottomesso alla Chiesa, alle sue norme, ai suoi statuti, ai deliberati dei suoi concili, alle sue sante suggestioni, obbediente in magnis et in minimis.
Si è detto di lui, lo ammise lui stesso: "Due occhi e un sorriso", innocenza e bontà. "Riparatore di brecce, restauratore di rovine per abitarvi" (Isaia, 58, 12). "Un volto sorridente e due braccia spalancate ad accogliere il mondo intero" (Giovanni Paolo II). La più bella presentazione di lui è stata coniata da Madeleine Delbrêl: Le maître qu'on n'attendait pas, "Maestro inatteso". Il discepolo che volle incarnare il metodo di Gesù: "Operare e insegnare" (Atti 1, 1). Mi seduce la definizione di un poeta romagnolo: "Il vendemmiatore delle vigne della speranza. Il colono dell'aratro più profondo. Il Signore di genti senza frontiere". A pensarci bene, l'Angelino dei Roncalli è stato tutto questo, lui, figlio di coltivatori dei campi. Volendolo, possiamo entrare anche noi negli stessi solchi. La gente ha sete di speranza. Sa che occorrono operai sapienti e disinteressati. Brama che cresca il numero di "cittadini del mondo", quali devono essere i cattolici sia per il nome che portano, sia per vocazione, dotati di spirito di servizio, poveri e disarmati, semplici e miti; tuttavia non sprovveduti, non arrendevoli, mai mercenari al soldo del "nemico dell'uomo".
Colui che il popolo romano decorò col titolo di "Papa buono" era il pastore vigilante dal cuore dilatato, dagli occhi soavi, consapevole ad ogni buon conto di errori, insidie e pericoli incombenti sui nostri passi. Tre mesi dopo l'elezione, ad evitare equivoci ed illusioni, egli ammonì apertamente:
"Per debito di grande riserbo e di sincero e meditato rispetto, e nella confidente speranza che la tempesta via via si dilegui, mi astengo da precisazioni di ideologie, di località e di persone. Ma non sono insensibile alla aggiornata documentazione che passa continuamente sotto i miei occhi ed è rivelazione di paure, di violenze, di annullamento della persona umana. Vi dirò in tutta confidenza che l'abituale serenità dello spirito che traspare dal mio volto, e di cui si allietano i miei figli, nasconde l'interno strazio e l'affanno dell'animo, che, mentre gode con loro e li conforta al bene e al meglio, si volge a quegli altri, sono milioni e milioni, di cui ignoro la sorte, e ai quali non so se poté giungere almeno l'eco delle parole con cui volli salutare agli esordi del mio pontificato tutte le genti, e della assicurazione che le loro lacrime si riversano nel mio cuore".
Alla stessa data egli annunciava ai cardinali tre eventi della sua agenda papale: Concilio, Sinodo per Roma, aggiornamento del Codice di diritto canonico. Sonava l'ora dell'Angelus di mezzogiorno 25 gennaio 1959, memoria della conversione di san Paolo. I rintocchi di campana diffusero nel mondo non solo la notizia, ma anche la speranza incastonata come perla nel binomio caro al Papa: "Amore e santità". Questa è la cifra che deve connotare il nostro tempo. Questo i nostri occhi vogliono vedere e i nostri cuori riscaldare. La conoscenza, la penetrazione e l'attuazione del "più grande evento religioso e culturale del secolo ventesimo" avviato da Papa Giovanni, "che aprì una nuova pagina nella storia della Chiesa", non sono esaurite. Il "grazie" di Giovanni Paolo II allo Spirito Santo "per il grande dono del Concilio" non ne ha concluso il cammino. Adesso tramite il magistero di Benedetto XVI incoraggia più attenta e generosa applicazione, quale frutto di "amore e santità". Dovrebbe esserci ben noto cosa è stato il Concilio, cosa ha proposto e dove vuol condurre donne e uomini del terzo millennio: "Questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente e amichevole invito all'umanità di oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio "dal quale allontanarsi è cadere, al quale rivolgersi è risorgere, nel quale rimanere è stare saldi, al quale ritornare è rinascere, nel quale abitare è vivere". (Sant'Agostino, Soliloqui, I, 1, 3)". (Paolo VI, 7 dicembre 1965). In questo sprazzo del genio agostiniano risentiamo la voce della Chiesa e dell'umanità, e poiché tutti siamo chiamati alla verità e alla missione, ci chiediamo cosa significhi l'affermazione del quarto evangelista: "Venne un uomo mandato da Dio il suo nome era Giovanni" (Giovanni, 1, 6); il cui nome, alla lettera, significa "dono e consolazione". E ne ricaviamo la certezza, dacché ogni Papa è dono e consolazione, e ogni battezzato deve esserlo o diventarlo, che non verranno mai meno pastori e cooperatori, cristiane e cristiani capaci di segnalare il segreto del successo apostolico, come confidò Giovanni XXIII all'alba del suo pontificato. Contemplò allora il cammino percorso dai viottoli polverosi di Sotto il Monte al Vaticano; rivide suo padre coltivatore della terra, la sua parrocchia nativa animata dal suono delle campane, la sua diocesi timbrata dal fervore evangelico, e ne conchiuse: "Bisogna lasciarsi portare dal Padre che sta nei cieli e portare il Padre ai nostri simili", nel nostro tempo, nel tumulto delle passioni e delle tempeste che minacciano di rovinarci; memori che tutto è possibile a chi crede; niente è più meritorio che cooperare all'avvento della "civiltà dell'amore", resi convinti, ciascuno di noi, come lui, che "Il primo tesoro della mia anima è la fede, la fede schietta ed ingenua dei miei genitori e dei miei vecchi" (Giornale dell'Anima, 1910).

(©L'Osservatore Romano - 6 aprile 2008)

1 commento:

raffaele ha detto...

Due articoli molto belli, da meditare e rileggere con attenzione!