17 maggio 2008

Un arcobaleno di nome Benedetto illumina il cielo grigio della Liguria (Galeazzi)


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Riceviamo e con grande piacere pubblichiamo:

Un arcobaleno di nome Benedetto illumina il cielo grigio della Liguria

Da Savona

Giacomo Galeazzi*

Un cielo grigio incornicia il viaggio ligure di Benedetto XVI, ma tutto intorno è un arcobaleno di colori, affetto, partecipazione. In tanti si sono chiesti come sarebbe stata la Chiesa dopo il ciclone Giovanni Paolo II. La risposta è nel mite e consapevole popolo di Dio che qui accoglie il Papa tedesco come un padre saggio, come limpido e coraggioso messaggero evangelico. Ecco l'epoca post-Wojtyla: Vangelo, solo Vangelo. All'ombra del pontificato di Ratzinger, si scoprono, tappa dopo tappa, piccoli miracoli di fede e devozione. Ogni visita, ogni incontro, ogni bagno di folla racchiude un misterioso e silenzioso tesoro di storie personali, vicende privatissime eppure emblematiche. Tracce individuali che complessivamente tracciano lo spazio emotivo della mobilitazione suscitata spontaneamente da tutti i viaggi papali. Alla stazione Principe, tra migliaia di pellegrini, scende anche Ottavio, ex tossicodipendente quarantenne.
Giaccone antipioggia, passo veloce, in mano un libro: Gesù di Nazaret. Autore: Joseph Ratzinger. Accetta di parlare solo quando capisce che l'argomento è Benedetto XVI. Arriva da un paesino dell'Umbria e sul viso ha i segni precoci di una vita spesa male. Misura le parole, racconta in termini semplici e schietti come il Magistero di Benedetto XVI abbia ispirato la sua conversione, l'uscita dal tunnel della droga, la fine di un incubo autolesionista. E ora sente il dovere di seguire il Pontefice ovunque.
"Se riesco a mettere da parte duemila euro, voglio arrivare fino in Australia", butta lì accennando alla Giornata mondiale della Gioventù di Sydney. Ratzinger ha raggiunto con la parola e l'esempio il cuore di Ottavio e di milioni di fedeli nel mondo intero.
"Con personaggi come Benedetto XVI succede che si vorrebbe giudicare e invece si finisce giudicati - spiega il biografo ratzingeriano Enzo Bianco, teologo salesiano -. La sua statura e la sua profondità d'analisi provocano coinvolgimento e non sempre si esce al meglio da questo confronto".

Come se tutto fosse già scritto nel percorso di una vita ordinariamente straordinaria: l'infanzia del futuro Pontefice in una solida famiglia bavarese, con un padre severo (e antinazista) e una madre generosa d’affetto, la tragica esperienza del nazismo e della seconda guerra mondiale, con Joseph sedicenne costretto a indossare la divisa, la sua ordinazione sacerdotale, l’insegnamento universitario, poi il Concilio, il Sessantotto, l’incontro e poi lo scontro con Hans Kung, l’esperienza come arcivescovo di Monaco; quindi, per 24 anni, il servizio a fianco di Giovanni Paolo II, che lo pone a capo di quella Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant'Uffizio) che Ratzinger, da perito conciliare, aveva criticato. Fino a quel fatidico 19 aprile 2005, quando Joseph Alois Ratzinger è eletto al soglio di Pietro e inaugura un pontificato dallo stile nuovo e personale.
Senza smarrire quella semplicità di tratto e, per quanto possibile, gli interessi più intimi e privati. Senza cedimenti al pensiero di moda. E' merito di Joseph Ratzinger, infatti, se la Chiesa ha preso le distanze dal falso principio della tolleranza, "manipolato e indebitamente oltrepassato, quando esso si estende all'apprezzamento dei contenuti, quasi che tutti i contenuti delle diverse religioni e pure delle concezioni areligiose della vita fossero da porre sullo stesso piano, e non esistesse più una verità oggettiva e universale". Quasi che Dio o l'Assoluto si rivelerebbe sotto innumerevoli nomi, ma tutti i nomi sarebbero veri. "Questa falsa idea di tolleranza è connessa con la perdita e la rinuncia alla questione della verità, che infatti oggi è sentita da molti come una questione irrilevante o di second'ordine", ha messo in guardia Joseph Ratzinger. Viene così alla luce la debolezza intellettuale della cultura attuale: venendo a mancare la domanda di verità, l'essenza della religione non si differenzia più dalla sua "non essenza", la fede non si distingue dalla superstizione, l'esperienza dall'illusione. Benedetto XVI insegna che senza una seria pretesa di verità, anche l'apprezzamento delle altre religioni diventa assurdo e contraddittorio, poiché non si possiede il criterio per constatare ciò che è positivo in una religione, distinguendolo da ciò che è negativo o frutto di superstizione e inganno. Nello sviluppo del pensiero teologico di Joseph Ratzinger hanno influito molto le amicizie (alcune delle quali divenute, se non inimicizie, aspri contrasti dottrinali) con le maggiori figure del mondo teologico tedesco del XX secolo. Si va da Michael Schmaus a Karl Rahner e Hans Küng.
Proprio la controversia con Schmaus smentisce l'immagine giornalistica, piuttosto semplificante, dell’ex-progressista Ratzinger che diventa “pentito” solo dopo avere constatato i guasti del post-Concilio. In realtà, tutto si gioca fin dall’inizio sul concetto di rivelazione. Quarant'anni fa, il giovane professore Joseph Ratzinger scriveva il libro "Introduzione al Cristianesimo", frutto delle sue lezioni in un corso estivo di teologia. Era il 1968: da allora, "Introduzione al Cristianesimo" è diventato un best seller internazionale, con traduzioni in oltre trenta lingue (fra queste anche giapponese, russo, coreano, arabo e cinese). Proprio a quello che è considerato il “capolavoro” di Papa Benedetto XVI (una sorta di “porta d’accesso” al suo pensiero teologico, in cui si trovano già tutte le linee guida, le domande decisive e i temi fondamentali del futuro Pontefice) le Facoltà di Teologia e di Filosofia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum hanno appena dedicato un convegno interdisciplinare. In Liguria, il Papa si è ricollegato idealmente a quella radice del suo pensiero. Personalmente mi ha commosso la Rosa d'oro, benedetta dal Pontefice ogni anno alla quarta domenica di Quaresima e che rimanda a una tradizione medievale risalente al 1049, sotto il pontificato di Leone IX. Da allora, nel corso dei secoli, l'insegna pontificia della rosa è stata conferita a sovrani e principi meritevoli nei confronti della cristianità, poi esclusivamente a regine e principesse, come un atto di amore cortese verso l'universo femminile. L'ultima testa coronata che lo ha ricevuto è stata Charlotte, granduchessa di Lussemburgo, nel 1956. Nel frattempo, i Pontefici hanno cambiato il destinatario di questo gesto di onore e ossequio, omaggiando i santuari cattolici in diverse parti del mondo. Benedetto XVI ne ha fatto un simbolico dono di devozione.

*Vaticanista del Quotidiano ‘La Stampa’

3 commenti:

gemma ha detto...

molto bello:-) grazie

euge ha detto...

Molto bello e rende bene l'idea di quale effetto dirompente anche se silenzioso abbia ogni incontro con Benedetto XVI - GRAZIE

MANTELLATE ha detto...

Molto bello: con Papa Benedetto nulla è banale e più si ascolta e più ci si sente in un'atmosfera di luce; più si osserva nel suo atteggiamento e sembra che voglia intessere un rapporto personale con ognuno della folla e tutta la sua persona infonde veramente pace.