16 agosto 2007

I frutti di Ratisbona: inizia un dibattito serio e proficuo


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Tra fede e ragione un conflitto artificiale

di Luca Doninelli

È giusto e sacrosanto che l’editoria torni a misurarsi con quello che è stato, culturalmente, l’evento più importante del nuovo millennio, vale a dire il discorso tenuto da Benedetto XVI nel settembre scorso a Ratisbona, che tanta ira suscitò in alcuni ambienti islamici e che in alcuni ambienti cattolici fu bollato come uno «scivolone» diplomatico.

Un documento molto interessante del ruolo di quel discorso ci viene offerto dal recentissimo volume Dio salvi la ragione (Cantagalli, pagg. 192, euro 17,50), che raccoglie, oltre al celebre discorso del Papa, contributi di autori d’eccezione: l’ebreo André Glucksmann, il palestinese Sari Nusseibeh, il tedesco e cristiano Robert Spaemann, l’ebreo non credente Joseph Weiler e il giovanissimo intellettuale musulmano, l’egiziano Wael Farouq.

Tutti gli autori dimostrano innanzitutto quanto sia salutare per chiunque, a qualunque credo o non credo appartenga, un paragone serio con le parole di Benedetto XVI. E mette voglia di risalire la corrente della storia, per rintracciare le cause di un conflitto artificiale, quello tra fede e ragione, che all’origine non esisteva, ma la cui nascita risale a ben prima del dogmatismo illuminista. La concezione di un Dio al di sopra della ragione (da cui l’eliminazione dell’Uno o dell’altra, a seconda dei casi storici) non è nata nell’Islam, ma è propria di un mal inteso rapporto tra l’uomo e Dio. Un rapporto inteso in modo intellettualistico.

Il bisogno di verità, di bellezza, di giustizia che è in tutti noi, cerca incessantemente nel mondo qualcosa che gli corrisponda totalmente, una soddisfazione piena di sé. Questa è la verità, e secondo questa stessa strada Dio si è fatto conoscere agli uomini, affinché questi potessero amarlo. Ma Dio, che è la vita stessa, può condurre questa stessa ragione su strade inimmaginabili, obbliga l’intelligenza a rinnovarsi, a non rimanere attaccata al proprio schema, affinché la mente possa conoscere cose un tempo inconoscibili. Questo può forse creare scandalo in chi si fermi al guscio vuoto della ragione. Nascono così da un lato i razionalismi dogmatici di cui l’Europa ancora soffre, e dall’altro il fideismo irrazionalista che pone Dio al di sopra della ragione. Due facce dello stesso equivoco. Tant’è che la Chiesa gode dello stesso odio da parte di integralisti islamici e laicisti oltranzisti.

© Copyright Il Giornale, 15 agosto 2007


Dio salvi la ragione

Cinque filosofi si confrontano con la lezione di Benedetto. A Regensburg è cominciato un percorso di chiarimento sull’identità del cristianesimo come verità oltre che carità, sul rapporto tra le religioni visto non nell’indifferenza, sul ruolo pubblico delle fedi religiose contro la laicità della nautralità e sul rapporto tra fede e ragione che...

“Dio salvi la ragione”, uscito in questi giorni per le edizioni Cantagalli, è una nuova tappa di un percorso cominciato il 12 settembre 2006 a Regensburg. Nell’università di quella città il papa Benedetto XVI aveva pronunciato un Lectio magistralis che aveva fatto esplodere il mondo musulmano. Manifestazioni, minacce, assalti e devastazioni, morti. I Nunzi nei paesi islamici tempestavano la Segreteria di Stato di telefonate allarmate. La Curia romana accorreva a precisare il pensiero del papa ed egli stesso disse di essere stato frainteso. Non di aver sbagliato qualcosa: di essere stato frainteso. Intanto le parole dette a Regensburg erano là, e sarebbero rimaste come un punto di riferimento ineludibile per chiunque voglia trattare di ragione e fede e di rapporto tra le religioni.

Le edizioni Cantagalli avevano pubblicato tutti i testi dei discorsi del Papa a Regensburg con il titolo Chi crede non è mai solo ed ora escono con una nuova tappa del percorso affidata ai commenti di cinque eminenti autori: il filosofo cattolico Robert Spaemann, il filosofo e sociologo Andrè Glusksmann, gli intellettuali arabi Wael Farouq e Sari Nusseibeh, e quello ebreo Joseph Weiler.

A Regensburg è cominciato un percorso di chiarimento sull’identità del cristianesimo come verità oltre che carità, sul rapporto tra le religioni visto non nell’indifferenza, sul ruolo pubblico delle fedi religiose contro la laicità della nautralità e sul rapporto tra fede e ragione che, diceva il papa, non è uguale in tutte le confessioni. Chi propone un Dio irrazionale ed arbitrario non può essere messo sullo stesso piano di chi parla di Dio come “Ragione primordiale”; chi predica la violenza non può essere equiparato a chi predica la verità e l’amore. Non solo e tanto per motivi di fede, ma di ragione: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Questa frase presa a prestito nella Lectio di Regensburg dall’imperatore bizantino Manuele II Paleologo fa la differenza tra le religioni. Tale differenza consiste propriamente in questo: nell’accettare di essere esaminate dalla ragione, nel momento stesso in cui pretendono di essere vere e cioè di poter recare esse stesse un aiuto alla ragione.

Il tema della verità delle religioni ha quindi due versanti che rispondono a due domande complementari: la mia fede è compatibile con le esigenze della ragione? Essa stessa è in grado di aiutare la ragione ad essere più pienamente se stessa?
La filosofia moderna dice che l’uomo non può conoscere oltre se stesso. Ma come fa a dirlo senza andare oltre se stessa? Spaemann pone il problema dei problemi, da cui nasce una collaborazione nativa tra ragione e fede. Heinrich von Kleist, allievo di Kant che appunto negava la possibilità di conoscere oltre se stessi, si è ucciso. Se questa possibilità non c’è, se Dio non c’è, non ci può essere nessun “mondo vero”. La verità del mondo dipende dalla verità di Dio e la conoscenza di Dio ha bisogno di partire dalla verità del mondo. Come dire che ragione e fede stanno in piedi insieme.
Si dice che se non c’è un mondo vero si è più liberi. Ma Joseph Weiler ci ricorda che la libertà la si può veramente sperimentare fino in fondo nella possibilità di dire no a Dio. La libertà di religione è la principale tra le libertà, secondo lui, proprio perché contempla la libertà di dire no. Le religioni sono i fondamenti di questa libertà ed anche i non credenti dovrebbero salvaguardare questo patrimonio a garanzia della libertà.
Ma siamo sicuri che essere razionali significa sempre essere non violenti? Secondo Sari Nusseibeh anche chi ha compiuto la strage dell’11 settembre ha agito razionalmente. Per lui la razionalità è solo un metodo logico di procedere, mentre alla ragionevolezza spetta di misurarsi con la realtà e le decisioni da prendere. La ragionevolezza, egli dice, permette la vita delle religioni in un contesto pluralistico. Riuscirà l’Islam ad essere ragionevole oppure la violenza gli è intrinseca? Spetta alle comunità musulmane dare questa risposta nei loro comportamenti.
Come si vede, sul concetto di ragione ci sono delle diversità notevoli. Le fedi religiose hanno una diversa “capacità” razionale. Glucksmann e Spaemann, da filosofi, centrano bene il problema dell’arroganza della ragione occidentale. Essa ha avuto la pretesa di essere assoluta e di produrre tutto da sola. Così facendo ha dovuto autoridurre progressivamente il proprio spazio di indagine al fine di poterlo dominare completamente, fino al punto da ridursi a nulla. Il razionalismo si converte sempre nel nichilismo. Con questo tipo di ragione la fede religiosa non ha nessuna possibilità di dialogo. Ma non tutti i cinque Autori condividono questa visione della ragione, la quale secondo, Wael Farouq, deve sempre fare i conti anche con la tradizione. E’ però abbastanza chiaro per tutti il dato di fondo espresso dal titolo: non sarà la ragione a salvare se stessa, ma la sua apertura ad un oltre. Essa è però nello stesso tempo in grado di valutare questo oltre dal punto di vista razionale. Non tutte le religioni, quindi, sono ugualmente in grado di salvare la ragione. Il confronto è aperto. L’importante è che avvenga con argomenti razionali.

© Copyright Quaderni Cannibali, luglio 2007

2 commenti:

euge ha detto...

Sarebbe ora di comprendere una volta per tutte, che il discorso di Ratisbona interpretato in modo maldestro, frettoloso, incompleto e quant'altro dalla stampa e dai detrattori di Benedetto XVI, sia compreso nella sua importanza ed utilità; abbiamo detto tantissime volte che costruire un dialogo solo abbassando la testa dicendo sempre di sì per non scontentare nessuno, non porta da nessuna parte. Il dialogo certo ma, con il rispetto reciproco e la chiarificazione reciproca anche a costo di essere come in questo caso, bersagliati da minacce, impopolarità e cattiverie varie; molte volte si pensa che il bieco permessivismo sia la strada migliore o quella più indolore ma, è altrettanto vero, che è la strada che porta alla confusione più totale; una strada che complica il tutto e che di certo non favorisce il rispetto ed il dialogo reciproco. Quindi, mi auguro che finalmente questo discorso di Ratisbona sia veramente considerato il punto di partenza di un vero dialogo basato sualla reciprocità e soprattutto, mi auguro che anche altri prendano esempio e scelgano questo tipo di dialogo per andare avanti sulla strada del vero ecumenismo.
Eugenia

Luisa ha detto...

Al dilà del discorso di Ratisbona, mi sembra che è sempre più evidente che Benedetto XVI, ha e aveva già da cardinale, une "longueur d`avance"(una lunghezza in anticipo ? ) nell`osservazione della nostra società, del suo funzionamento, anche dei disguidi all`interno della Chiesa di cui ha sempre parlato con chiarezza e coraggio.
Si potrebbe dire di lui che è un profeta, un "chiaro veggente" , ma i termini non mi piacciono.
Lo sguardo di Papa Benedetto ,le sue analisi, partono certo dalla sua immensa intelligenza ( e anche qui ha una longueur d`avance), cultura e esperienza, ma vorrei umilmente ,dire che mi sembra , che la giustezza "profetica" delle sue riflessioni, viene innanzitutto dalla sua fede, tutto parte dalla sua fede,radicata nella Sacra Scrittura.
Poi partendo dalla Sacra Scrittura ,il Santo Padre,con la sua intelligenza, finezza e sensibilità, ci offre, per es., delle omelie come quella di ieri, un gioiello,che ci mostra come la Sacra Scrittura è sempre di un`attualità lampante, come i testi sacri sono sempre una chiave di lettura per il nostro presente.
....A condizione evidentemente di non piegare i testi alle interpretazioni singolari quando non sono fantasiste.
Anche in questa lettura della Parola ho una totale fiducia nel mio Pastore, Benedetto XVI, che so essere al servizio fedele e esclusivo della Parola !