27 settembre 2007
Pellicani: più pagane che cristiane le radici dell'Europa liberale (evidentemente non ha letto la catechesi di ieri!)
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POLEMICHE Lo studioso sostiene che la nostra civiltà si fonda sul primato della ragione affermato dal pensiero greco
Pellicani: più pagane che cristiane le radici dell'Europa liberale
Antonio Carioti
Radici cristiane dell'Europa? Macché: secondo Luciano Pellicani, alle origini della civiltà moderna c'è soprattutto il lascito della cultura classica greco-romana. Una tesi polemica, che lo studioso socialista sostiene nel libro di prossima uscita Le radici pagane dell'Europa (Rubbettino), di cui anticipa le conclusioni sulla rivista da lui diretta, Mondoperaio.
Pellicani scrive che lo sviluppo dei sistemi pluralisti non è stato altro che «la storia della progressiva emancipazione della società dalla dittatura spirituale del cristianesimo e delle sue istituzioni ». E che per conseguirla è stato necessario riscoprire due idee pagane: quella della «piena sovranità della ragione » e quella «che non ci sia altra realtà che questo mondo».
Eppure l'impero romano era una monarchia dispotica, in cui il sovrano era sacralizzato e i cristiani venivano perseguitati. «In realtà — replica Pellicani — nell'antica Roma lo Stato era laico e quasi tutte le religioni erano tollerate e garantite. Il cristianesimo fu colpito perché era percepito come una minaccia politica, in quanto i suoi fedeli rifiutavano di fare sacrifici all'imperatore, cioè di compiere un atto di lealtà al potere costituito. Inoltre le classi colte del mondo antico avevano del mondo una visione laica, fondata sul primato della ragione». Quindi anticipavano l'Illuminismo: «Non a caso il cristiano Soren Kierkegaard considerava neopagana tutta la filosofia moderna. Del resto gli antichi romani non avevano teologia, né testi sacri, né clero. I loro sacerdoti erano semplici magistrati dello Stato. Cicerone, da pontefice massimo della Repubblica romana, scrive un trattato in cui si domanda se le divinità esistono. Si può immaginare un papa che dubita dell'esistenza di Dio e lo mette per iscritto?».
Pellicani peraltro non disconosce il contributo della fede cristiana all'Occidente: «Il suo merito maggiore è consistito nell'introdurre un principio di solidarietà verso i deboli, la caritas, che il mondo pagano non conosceva. Però il cristianesimo è solo una componente della nostra civiltà, non ne è l'unica origine. Il punto essenziale è che il Dio della Bibbia esprime una verità rivelata: pronuncia dall'alto sentenze, comandi e divieti, senza argomentarli. Invece la filosofia greca ritiene che ogni proposizione vada giustificata in termini razionali: un principio fatto proprio dalla democrazia moderna».
Però Benedetto XVI afferma che i diritti umani derivano dal cristianesimo, secondo il quale noi siamo creature generate da Dio a sua immagine. «Il fondamento religioso della dignità e delle libertà personali — risponde Pellicani — non è l'unico possibile. Già il filosofo romano Seneca, stoico e pagano, affermava che l'uomo è la cosa più sacra per l'uomo. Inoltre il rispetto per l'individuo comprende la tutela del suo diritto di professare qualsiasi fede, o anche di non credere, un principio che la Chiesa ha sempre combattuto. Per la civiltà moderna la legittimazione dell'eresia, cioè la libertà di coscienza, è il valore supremo, mentre Sant'Agostino sosteneva che il diritto all'errore è la peste dell'anima, da cui deriva la perdizione: per lui l'eretico è figlio di Satana e deve essere perseguitato nel suo stesso interesse. Al contrario l'imperatore romano Tiberio diceva: se gli dei vengono offesi, ci penseranno loro a punire i colpevoli di empietà, non deve occuparsene lo Stato».
© Copyright Corriere della sera, 27 settembre 2007
Consiglierei a Pellicani di leggere la lectio magistralis di Ratisbona di Papa Benedetto XVI, lectio che ha come argomento principale il rapporto fra fede e ragione nel Cristianesimo. Il Papa, guarda caso, a Ratisbona parlo' dell ragione ellenica...
Inoltre, caro Pellicani, il Cristianesimo ha fondato la societa' moderna intesa come comunita' di cittadini aventi pari dignita.
A questo proposito rileggiamo un passo dell'udienza generale di ieri:
Su questo sfondo, proprio a Costantinopoli Giovanni, nel commento continuato degli Atti degli Apostoli, propone il modello della Chiesa primitiva (At 4,32-37) come modello per la società, sviluppando un’ “utopia” sociale (quasi una “città ideale”). Si trattava infatti di dare un'anima e un volto cristiano alla città.
...
In altre parole, Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina, aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario creare una nuova struttura, un nuovo modello di società; un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento. È la nuova società che si rivela nella Chiesa nascente. Quindi Giovanni Crisostomo diventa realmente così uno dei grandi Padri della Dottrina Sociale della Chiesa: la vecchia idea della “polis” greca va sostituita da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana. Crisostomo sosteneva con Paolo (cfr 1 Cor 8, 11) il primato del singolo cristiano, della persona in quanto tale, anche dello schiavo e del povero. Il suo progetto corregge così la tradizionale visione greca della “polis”, della città, in cui larghi strati della popolazione erano esclusi dai diritti di cittadinanza, mentre nella città cristiana tutti sono fratelli e sorelle con uguali diritti. Il primato della persona è anche la conseguenza del fatto che realmente partendo da essa si costruisce la città, mentre nella “polis” greca la patria era al di sopra del singolo, il quale era totalmente subordinato alla città nel suo insieme. Così con Crisostomo comincia la visione di una società costruita dalla coscienza cristiana. Ed egli ci dice che la nostra “polis” è un'altra, “la nostra patria è nei cieli” (Fil 3, 20) e questa nostra patria anche in questa terra ci rende tutti uguali, fratelli e sorelle, e ci obbliga alla solidarietà.
Forse non era il caso di pubblicare questo articolo proprio all'indomani della catechesi del Papa su San Giovanni Crisostomo :-)
Raffaella
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3 commenti:
Il problema è cara Raffaella,che il Corsera da spazio a Pellicani e non alla catechesi di Benedetto XVI, dunque salvo ad essere ineressati e venire qui o andare sul sito della Santa Sede o altri, il quidam leggerà e registrerà ....magari solo il titolo... e si considererà informato !
A parte ciò niente di nuovo in quest`articolo, tesi conosciute che Pellicani non è il primo e non sarà l`ultimo a sostenere.
Forse al Corriere si sono accorti di essersi lasciati scappare in pagina un Ernesto Galli Della Loggia che proprio martedì 25 settembre recensiva un libro sui diritti umani ed esprimeva il suo stupore per l'ignoranza, da parte dell'autore, della radice cristiana degli stessi: "L'idea cristiana di incarnazione, del Dio che diviene corpo umano "generico", costituisce, essa sì mi sembra, un ostacolo insuperabile per ogni riduzionismo biologistico razziale o eugenetico che sia, vuoi per l'idea che sia solo una cittadinanza o un qualunque patto politico, o una qualunque sovranità, a conferire a un essere umano dei diritti. (...) se nella nostra cultura - e solo in essa - c'è l'idea dei diritti umani, l'idea di un diritto universale oltre gli Stati e oltre le culture della terra, a cos'altro mai si deve?".
Grazie Raffaella, e buon lavoro.
Adriano
Piccola ma fondamentale obiezione: nelle poleis si era subordinati alla "ragion di Stato" ma non ad Atene, eccezione ed esempio ante-litteram di società aperta simile a come la conosciamo oggi...
E Cristo era di là da venire..
A parte questo le tesi di Pellicani sono quanto mai solide e le obiezioni rivolte ad esse deboli e pretestuose..
Le radici dell'Europa non possono prescindere dal pensiero razionale greco-romano, dalla vittoria del logos sul mitos..non si scappa.
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