21 settembre 2007
Messa tridentina: "Il Foglio" conferma le indiscrezioni de "Il Giornale" sul motu proprio
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SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"
Dibattito in Cei: il motu proprio sulla messa non si interpreta, si applica
Roma. Lunedì scorso, nella sua prolusione alla riunione del Consiglio permanente il presidente della Cei, l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco aveva riservato una accoglienza decisamente positiva al motu proprio “Summorum pontificum” con cui Benedetto XVI ha riconosciuto, liberalizzandone l’uso, piena cittadinanza nella chiesa cattolica alla Messa preconciliare. Ma fin dalle prime battute della discussione che si è svolta a porte chiuse si è capito che nel parlamentino della Cei non tutti la pensano così. Parole critiche nei confronti della Messa cosiddetta tridentina sono arrivate – con un doppio intervento ciascuno – dall’arcivescovo di Lanciano, il lombardo Carlo Ghidelli, e da quello di Chieti, il partenopeo Bruno Forte, presidente della Commissione episcopale della dottrina della fede, entrambi allievi del cardinale Carlo Maria Martini.
Contro il messale pienamente riabilitato dal pontefice regnante si sono espressi anche l’arcivescovo di Lucca Benvenuto Italo Castellani, l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo (in corsa per ricevere la porpora cardinalizia nel prossimo concistoro) e il vescovo di Cerignola Felice Di Molfetta, presidente della Commissione episcopale per la liturgia e in passato aspramente critico anche nei confronti della “Redemptionis Sacramentum”, l’istruzione contro gli abusi liturgici emanata nel 2004 dalla Congregazione vaticana per il Culto divino d’intesa con quella per la Dottrina della fede guidata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Filo conduttore di tutti questi interventi critici è stata da una parte l’accusa al vecchio messale di essere imbevuto di una ecclesiologia ormai incompatibile con quella che sarebbe espressa nel nuovo messale, frutto della riforma liturgica attuata nel dopo Concilio e dall’altra la richiesta che la Cei si facesse carico di preparare un documento interpretativo del motu proprio per la sua applicazione, in senso ovviamente restrittivo, nella chiesa italiana.
Il tentativo di depotenziare il “Summorum Pontificum” proprio nella nazione che ha il Papa come suo primate è andato comunque a vuoto.
La sollecitazione a emanare un documento interpretativo non è stata raccolta anche perché contro tale ipotesi si sono espressi con interventi chiari e netti cardinali di peso come Camillo Ruini, Carlo Caffarra e Angelo Scola.
In pratica nel Consiglio permanente si è manifestata una divisione sul motu proprio che ricalca grosso modo quella che a suo tempo si era manifestata sulla questione dei Dico.
Le perplessità di consistenti settori della chiesa italiana per il motu proprio si erano già manifestate a fine agosto a Spoleto dove si è celebrata la 58a Settimana liturgica nazionale.
Nell’occasione molti liturgisti avevano chiesto a mons. Di Molfetta di far giungere al Papa, con una lettera avallata dalla Cei, le preoccupazioni e le perplessità per la liberalizzazione della Messa preconciliare.
Ma il segretario della Cei, il vescovo Giuseppe Betori, si era guardato bene dal firmarla.
© Copyright Il Foglio, 21 settembre 2007
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