27 settembre 2007
Morte Papa Wojtyla: il dott. Puccetti risponde colpo su colpo a MicroMega
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La morte naturale di Papa Wojtyla: né eutanasia né omissioni mediche
Parla il dott. Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna
ROMA, giovedì, 27 settembre 2007 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo l'articolo del dott. Renzo Puccetti, Specialista in Medicina Interna e Segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno, in risposta all'articolo della dott.ssa Lina Pavanelli, medico anestesista, dal titolo “La dolce morte di Karol Wojtyla”, apparso sull'ultimo numero della rivista MicroMega (5/07).
* * *
Ha destato una certa attenzione mediatica, più che altro per la rilevanza della personalità oggetto di discussione, un recente articolo apparso su un periodico di politica secondo cui Papa Giovanni Paolo II sarebbe deceduto a seguito delle conseguenze di un’omissione terapeutica volontariamente scelta dallo stesso pontefice in qualità di paziente (1). L’autrice, medico anestesista ed attivista politico, riferisce direttamente che il proprio lavoro è il risultato non certo di una conoscenza diretta della situazione clinica degli avvenimenti e del paziente, non avendo ella mai visitato direttamente Karol Wojtyla, ma di una ricerca condotta al computer per trarre “notizie, note di agenzie e articoli di giornale”, con l’aggiunta della lettura del recente volume scritto dall’archiatra pontificio, il dottor Renato Buzzonetti (2).
Possiamo considerare l’articolo composto di due parti nella prima delle quali l’autrice, sulla base degli elementi raccolti con le modalità già enunciate, fornisce una personale valutazione delle ultime settimane di vita di Papa Giovanni Paolo II. Si tratta di una ricostruzione che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere di tipo tecnico-scientifico, mentre nella seconda parte la stessa ricostruzione diventa elemento di partenza per una valutazione di tipo bioetico circa la problematica delle cure di fine vita e dell’eutanasia.
Cercheremo di mostrare come, seguendo il medesimo percorso metodologico, sia possibile giungere a conclusioni esattamente opposte a quelle riferite dall’autrice dell’articolo. La tesi sostenuta nel libello è così riassumibile: nelle ultime settimane di vita di Papa Giovanni Paolo II, per la difficoltà a deglutire causata dal morbo di Parkinson, sarebbe stato necessario inserire un sondino naso-gastrico ed attivare la nutrizione entrale assai prima di quanto poi non avvenne. Secondo l’autrice, che ritiene “improbabili” eventuali omissioni dei sanitari che hanno seguito il pontefice, il ritardo nell’intraprendere l’alimentazione artificiale sarebbe da imputare, come unica ipotesi “plausibile”, allo stesso Papa Wojtyla, che, pur essendo “informato” ed avendo “capito” “la gravità della situazione e le conseguenze della scelta”, avrebbe “rifiutato”(3); tale procedura sarebbe stata considerata dallo stesso paziente un “accanimento terapeutico” (4). Eppure questa scelta del Pontefice di non alimentarsi avrebbe anticipato di molto la crisi fatale pregiudicando le difese immunitarie del Papa. L’autrice è perentoria: “Karol Wojtyla avrebbe potuto vivere ancora a lungo, ma questa opzione lui l’ha scartata” (5).
Si afferma che la naturalità della morte del Papa sarebbe solo apparente, “dolcemente falsa” (5). Giovanni Paolo II sarebbe stato “accompagnato con dolcezza per un percorso meno gravoso, verso una fine meno drammatica di quella che avrebbe potuto incontrare” (6). Partendo da questa asserzione e dai vari documenti ufficiali della Chiesa, che indicano come proporzionata e doverosa l’idratazione e la nutrizione artificiale, si giunge ad accusare i cattolici e il Papa medesimo d’incoerenza (non è probabilmente un caso che in apertura si citi Mt 7,3); secondo la morale cattolica infatti “quando il paziente rifiuta consapevolmente una terapia salva-vita, la sua azione, unita al comportamento remissivo-omissivo dei medici, deve essere considerata eutanasia, ovvero, più precisamente, suicidio assistito” (7).
Ecco perché, secondo il medico autore dell’articolo, non vi è differenza alcuna tra il caso Welby e la morte di Karol Wojtyla: “l’unica differenza è che all’uno è stato tolto, su sua richiesta, il sostegno tecnologico necessario a farlo respirare. All’altro, invece, per sua volontà, il sostegno non è stato mai fornito. Entrambi i pazienti sono morti per la mancanza di uno strumento indispensabile a tenerlo in vita” (6).
Abbondiamo in citazioni per non incorrere in fraintendimenti e da qui procediamo per un’analisi alternativa dei fatti. Circa il presunto ritardo nell’avvio della nutrizione mediante sondino naso-gastrico, l’autrice fa risalire la necessità di tale presidio agli “ultimi due mesi di vita” del Papa (6), quindi agli inizi di febbraio, postulando un ritardo terapeutico di circa due mesi, attribuendo al giorno 30 marzo il posizionamento del sondino (8). Il Santo Padre sarebbe stato iponutrito per quasi due mesi, dall’inizio di febbraio fino alla fine di marzo. Eppure esistono una serie di elementi che contraddicono tale assunto, qualcuno riferito dalla stessa autrice.
La sera del 1° febbraio il Papa era a cena (9), quindi era capace di alimentarsi, ma non riuscendo a respirare, fu disposto il ricovero al Gemelli dove rimase fino al 10 febbraio. Il 3 febbraio il portavoce Navarro-Valls, riferendo delle condizioni generali del Santo Padre, aggiunge che “si alimenta regolarmente e sono da escludere alimentazioni alternative” ( 10). L’affermazione non pare convincere la dottoressa Pavanelli, la quale, sembra adombrare che già in questo periodo, contrariamente alle dichiarazioni ufficiali, si sarebbe manifestata l’iponutrizione che avrebbe reso necessario il sondino naso-gastrico.
Un’ipotesi che mal si concilia col fatto che l’eventuale disfagia spesso non è solo per i cibi solidi, ma anche per i liquidi e si accompagna col pericolo di polmoniti ab ingestis (11). Si tratta di una situazione che avrebbe reso necessario il posizionamento urgente del sondino naso-gastrico anche a scopo preventivo; il supposto rifiuto da parte del paziente è incongruente col suo consenso al successivo e ben più invasivo intervento di tracheotomia.
Che il problema nutrizionale non dovesse essere particolarmente rilevante lo si desume altresì dal fatto che ancora il 23 febbraio, alla vigilia dell’ultimo ricovero, il Santo Padre si trovava a cena (12) e dalla dichiarazione del 24 febbraio del Direttore del Centro Parkinson degli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano, il professor Gianni Pezzoli: il Papa “dopo il primo soggiorno in ospedale si è ripreso molto bene” (5). Subito dopo l’intervento di tracheotomia le fonti riferiscono di una ripresa dell’alimentazione (un caffelatte, 10 piccoli biscotti, e uno yogurt) (13); difficile pensare ad una repentina ripresa della capacità di deglutire, persa già da quasi un mese. Conoscendo inoltre la perizia dei sanitari del Gemelli e il rapporto fiduciario di lunga data instaurato tra costoro e Giovanni Paolo II, insieme al suo assoluto e totale affidarsi alla Madre di Dio, è difficile pensare ad una negligenza nel presidiare i sintomi disfagici per tutto il periodo dell’ultimo ricovero, protrattosi fino al 13 marzo. Il dottor Buzzonetti ha successivamente precisato che il sondino naso-gastrico venne portato dal Papa dal lunedì della Settimana Santa, cioè dal giorno 21 marzo (14) e che durante la Via Crucis il Pontefice venne sempre inquadrato di spalle proprio per questo motivo.
La presunta omissione non riguarderebbe quindi ben due mesi, ma, nel peggiore dei casi solo 8 giorni, un intervallo di tempo in cui è possibile e verosimile un atteggiamento dei medici improntato all’attesa, nella speranza di un possibile miglioramento delle capacità di deglutizione, miglioramento che non presentandosi, è possibile abbia fatto decidere i sanitari per l’applicazione del sondino. Non si comprende altresì come la dottoressa possa desumere la ridotta efficacia del sondino da brevi interruzioni di pochi minuti avvenute in corrispondenza dell’affacciarsi del Papa dalla finestra del Palazzo apostolico (15). Non può inoltre non destare una certa ammirazione la capacità della dottoressa di definire in due articoli diversi la medesima manovra di rimozione e applicazione del sondino prima come “per nulla rischiosa” (3), “semplice e poco traumatizzante” (16), poi un tormento (15).
Ma se possibile ancora più stupefacente è la contestazione del concetto di morte naturale che l’autrice nega si verifichi nella realtà con frequenza significativa.
Stupisce infatti che l’espressione di Papa Benedetto XVI “naturale tramonto” venga interpretata come una morte senza assistenza e senza modifica del corso naturale della malattia (5) e non piuttosto come una morte che tenga conto dell’uomo, della sua natura ontologicamente razionale, rispettandolo, una morte che avvenga in presenza di cure ragionevoli, o, più propriamente, proporzionate alla situazione.
La dottoressa sembra in più punti voler far passare l’idea che, tamponando di volta in volta le falle che si creano nei vari organi di un organismo gravemente malato, si possa procrastinarne l’exitus in misura quasi indefinita (5; 17), quasi che, risolto il problema nutrizionale, Papa Wojtyla sarebbe vissuto certamente molto tempo. Purtroppo la letteratura scientifica insegna che dopo oltre 10 anni di malattia, nonostante tutti i moderni presidi terapeutici disponibili, i pazienti affetti da morbo di Parkinson continuano ad avere una mortalità del 350% maggiore rispetto ai coetanei non affetti dalla patologia (18).
Infine la posizione dell’autrice pare fortemente influenzata da una lettura retrospettiva degli eventi, dimentica, almeno così sembrerebbe, che in medicina non raramente la natura delle azioni e delle omissioni è rivelata solamente attraverso il tempo che ne decreta le conseguenze.
È una considerazione che rende evidente la differenza tra il caso Welby e quello di Papa Wojtyla, laddove mentre nel primo ben si conosceva la conseguenza della deconnessione del paziente dall’apparecchio per la ventilazione (una conseguenza cercata, voluta dal paziente e condivisa dal medico), nel secondo onestà impone di riconoscere che il teoricamente possibile, seppure improbabile e indimostrato, ritardo di qualche giorno nell’attivazione della nutrizione artificiale sia stato dettato da situazioni contingenti a noi ignote, magari dall’attesa del momento opportuno per confezionare una PEG (Gastrostomia Percutanea Endoscopica) (19), o dalla speranza di un recupero funzionale da parte del paziente.
Questo ci conduce così alla lettura per così dire bioetica degli eventi fornita dall’autrice, che utilizza in maniera impropria testi ufficiali della Chiesa e del Magistero, insieme a risoluzioni di autorevoli consessi bioetici e di autori cattolici, per affermare che essi sostengono che qualsiasi omissione di una terapia salva-vita sia da considerare come eutanasia e in quanto tale coinvolga il paziente che volontariamente rifiuta tali cure insieme ai sanitari che assecondano tale richiesta (7). Una tale prospettiva distorce completamente lo stesso contenuto dei documenti della Chiesa, che sempre, accanto alla chiara indicazione della norma generale, si premurano di sottolineare la necessità di una specificazione del soggetto e delle circostanze nel giudizio di moralità dei propri atti a cui la coscienza è chiamata.
Inoltre essa omette completamente di considerare il contenuto intenzionale dell’agente, così come sin dal 1980 chiaramente indicato nella dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede Iura et bona, che intende l’eutanasia come la morte procurata “allo scopo di eliminare ogni dolore” (20). Come fa notare il professor Pessina, vi è differenza fra una richiesta di morte e mettere la propria vita al servizio degli altri attraverso la categoria del sacrificio (21). Non cogliere la differenza fra l’istanza eutanasica e il comportamento di Giovanni Paolo II significa non vedere la differenza fra il prendersi e il donarsi. Si tratta di una scelta che unisce quanti, pur considerando la vita un bene primario, non l’hanno ritenuta il bene assoluto, e memori che “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13), non hanno rifiutato il Suo esempio, ma hanno ripetuto fino alla fine: “Totus tuus” (22).
Bibliografia:
1) Lina Pavanelli, “La dolce morte di Karol Wojtyla”, in MicroMega 5/2007, pag. 128-140, http://micromega.repubblica.it/micromega/2007/09/la-dolce-morte-.html.
2) Ibid. pag. 129.
3) Ibid. pag. 137.
4) Ibid. pag. 132.
5) Ibid. pag 135.
6) Ibid. pag. 136.
7) Ibid. pag. 138.
8) Ibid. pag. 133.
9) Stanislaw Dziwisz, Una vita con Karol, Rizzoli, 2007 pag. 219.
10) Lina Pavanelli, op. cit., pag. 131.
11) E. Alfonsi e coll, La disfagia oro-faringea nelle sindromi parkinsoniane. Aspetti clinico-elettrofisiologici e terapeutici, Presentazione orale al XXXIII Congresso Nazionale LIMPE, Stresa 15-17 novembre 2006.
12) Ibid. 9, pag. 220.
13) “Dopo la tracheotomia, il Papa si alimenta normalmente e respira autonomamente”, ZENIT, 25 febbraio 2005, http://www.zenit.org/article-5576?l=italian.
14) Luigi Accattoli, “Quel sondino che nutriva Wojtyla”, in Corriere della Sera 15 S
settembre 2007, http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/09_Settembre/15/sondino_wojtyla.shtml.
15) Lina Pavanelli, op. cit.
16) Ibid. 1 pag. 132.
17) Ibid. 1 pag. 134.
18) Chen H et al, Survival of Parkinson's disease patients in a large prospective cohort of male health professionals, Mov Disord. 2006 Jul 21(7):1002-7.
19) “Papa, niente udienza del mercoledì e si parla di un nuovo intervento”, La Repubblica, 29 marzo 2005, http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/esteri/papa3/udienz/udienz.html.
20) Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia. http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19800505_eutanasia_it.html.
21) Adriano Pessina, Eutanasia. Della morte e di altre cose, Cantagalli 2007, pag. 49-51.
22) Ibid. 9, pag. 221.
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3 commenti:
Ti ringrazio cara Raffaella, per la magnifica foto che illustra questo post.
La guardi e resti in silenzio, la guardi,ti commuovi e capisci tutto, la guardi e sei pervasa da umile rispetto per queste due immense persone, e per il misterioso disegno divino che ha fatto sì che Joseph Ratzinger-Benedetto XVI continui anche oggi a portare la croce che Giovanni Paolo gli ha trasmesso.
Oggi, quando degli avvoltoi senza coscienza si servono di Giovanni Paolo e dell`ultima tappa della sua vita dove ha realmente vissuto la passione di Cristo, aggrappato alla sua Croce, immagino il dolore nel cuore del suo amico divenuto Papa , ma sono anche sicura che Benedetto XVI prega per chi insulta e offende.
Sì grazie per questa foto Raffaella, una lezione per noi tutti, nella nostra vita di tutti i giorni !
Cara Luisa, mi fa molto piacere che questa foto ti abbia colpita tanto. Mi sembrava che rappresentasse bene il legame e l'amicizia fra i due Papi che ancora oggi qualcuno, scioccamente, tenta di contrapporre. La colpa non e' solo di MicroMega: diciamo che il "lavoro" e' stato "abilmente" preparato, magari inconsapevolmente, da un esercito di vaticanisti e commentatori che in questi due anni hanno giocato molto sul continuo confronto.
Ecco dove siamo arrivati...
Grazie Luisa per le tue splendide e commoventi parole e grazie anche a te Raffaella per aver postato un immagine triste ma significativa. Ho sempre sostenuto che il confronto tra due persone è una cosa ignobile che denota poca intelligenza e sensibilità e ancor di più nel caso di questi due amici che, lo Spirito Santo vuole in un certo senso inseparabili. Chi si ostina ancora nel contrapporli l'uno all'altro, proprio in virtù della propria aridità di animo e della poca intelligenza, non riesce a comprendere che danneggia entrambi. Usare le immagini e gli scritti che riguardano l'ultima parte della vita di Giovanni Paolo II per attaccare Benedetto XVI, ha il gusto dell'orrido, del perverso e della pura cattiveria. Ciò che si semina si raccoglie............
per quanto assurdo possa essere anche nei nostri tempi c'è una giustizia che non è quella delle toghe ma, una giustizia più alta che non scende a compromessi ed alla quale tutti un giorno dovremmo presentare il resoconto delle nostre azioni meditate!!!!!!!
Eugenia
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