25 settembre 2007
Motu proprio Summorum Pontificum: baruffa in CEI sulla messa. De Marco spiega perché
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Baruffa in CEI sulla messa. De Marco spiega perché
Dalla discussione a porte chiuse fra i trenta vescovi del consiglio permanente della conferenza episcopale italiana è trapelata l’opposizione di alcuni al motu proprio “Summorum pontificum” di Benedetto XVI che ha liberalizzato il rito antico della messa.
Il fuoco di fila delle critiche ha impegnato la discussione tra lunedì 17, subito dopo la prolusione del presidente della CEI Angelo Bagnasco, e mercoledì 19 settembre. Tra gli oppositori si sono distinti Carlo Ghidelli, vescovo di Lanciano-Ortona, Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto; Benvenuto Italo Castellani, arcivescovo di Lucca; Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo; Felice Di Molfetta, vescovo di Cerignola e presidente della commissione episcopale per la liturgia. Quest’ultimo già prima dell’uscita del motu proprio aveva approvato la lettera inviata al papa da un gruppo di liturgisti italiani per chiedergli di non procedere con la liberalizzazione dell’antico rito.
A giudizio di questi oppositori l’ecclesiologia presente nel vecchio messale sarebbe “incompatibile” con quella delineata dal Concilio Vaticano II. Per questo, essi hanno proposto che la CEI preparasse un documento interpretativo – in senso restrittivo – del motu proprio papale.
Ma la proposta non è stata approvata. A difesa della decisione di Benedetto XVI si sono pronunciati altri vescovi del direttivo della CEI, in particolare i cardinali Camillo Ruini, Angelo Scola e Carlo Caffarra.
Sulla ricezione del motu proprio in Italia e in altri paesi vedi in “Settimo Cielo” due post più sotto: “Il motu proprio entra in vigore. Chi lo difende e chi no”.
In più, in questa pagina di www.chiesa trovi un nuovo intervento del professor Pietro De Marco, come sempre acuto nel cogliere la sostanza della questione: “La ricchezza tradizionale intera del culto cristiano è, per Benedetto, il canone cui attingere…”.
Settimo Cielo, il blog di Sandro Magister
"La ricchezza tradizionale intera del culto cristiano è, per Benedetto, il canone cui attingere..."
Testo completo delle risposte raccolte da Roberto Beretta, giornalista di "Avvenire" per l'edizione on line di "Toscana Oggi" e per il mensile "Il Timone"
di Pietro De Marco
D. – Perché, da un lato, “restaurare” una liturgia mai abrogata e, perché, dall’altro, se era il latino l’obiettivo, non promuovere la forma latina del Messale di Paolo VI invece di tornare a quello di Pio V? In più, tornare a Pio V non è forse regredire agli “abusi” del passato per rimediare a quelli del presente?
R. – Vi è un aspetto tecnico giuridico che non è mio mestiere trattare, anche se mi cimenterei volentieri. Certo è che le dichiarazioni di non abrogazione della “forma antica del Rito romano” si sono moltiplicate di recente, ma lo stesso cardinale Jorge Medina Estévez, cui dobbiamo affermazioni nette in proposito, sembrò adombrare in passato, firmando nel 1999 come prefetto della congregazione per il culto divino le risposte ai quesiti posti da Gaetano Bonicelli, allora arcivescovo di Siena, una tacita abrogazione da parte di Paolo VI.
L’argomento "e silentio" relativamente agli atti di Paolo VI, che oggi pesa correttamente a favore della non abrogazione tacita, è stato a lungo usato in direzione opposta. Inutile ripetere quello che troppe voci hanno attestato recentemente: gli ordinari amministravano la concessione della celebrazione dell’anticus ordo missae con molta parsimonia, forse apprensione, talora ostilità, in sostanza troppo ad libitum, nonostante il cosiddetto indulto della "Quattuor abhinc annos" risalisse al 1984 e il più deciso motu proprio "Ecclesia Dei" – ancora un atto del vescovo di Roma in prima persona! – al 1988.
La decisione di Benedetto XVI di sottrarre la celebrazione della messa tridentino-gregoriana alle contingenze locali è un ammirevole atto d’imperio, quale attiene alla missione petrina.
La "Summorun pontificum" risolve i tentennamenti e le resistenze perenni nelle Chiese locali, e tra gli specialisti, alla luce di una convinzione maturata in molte sedi, anche entro la congregazione per il culto divino, da oltre un decennio.
In effetti una svolta è in atto già nel 1996, con l’avvio della preparazione della Editio typica tertia del Messale di Paolo VI, ed è confermata dalla sua promulgazione (2000) ed edizione (2002).
Nella Institutio del Messale non solo si rafforzava il richiamo ad un massimo di rigore (a fondamento teologico) negli “adattamenti” di gesti e parole a situazioni, non solo si aveva la fermezza di dire fine alla stagione delle “sperimentazioni”, ma fu ulteriormente marcata l’essenza sacrificale del rito e l’infungibilità del sacerdote.
La Institutio generalis del 2002 (ma anticipata nel luglio 2000) e alcuni attenti, non minimizzanti, commentari delle sue novità vanno assolutamente letti; essa si trovò naturalmente tra i due fuochi della minimizzazione di parte “riformatrice” e della insoddisfazione di parte “tradizionalista” non scismatica.
D. – Perché, a maggior ragione, questa correzione di rotta non basta agli occhi del pontefice e, con ogni probabilità, di altri?
R. – Non basta perché non si tratta solo di venire incontro caritatevolmente (nonché secondo verità) ad istanze di una frammentata minoranza. Si deve pur riconoscere (tardivamente? questo non vale certo per Joseph Ratzinger) che alcune delle severe riserve che vennero dall’interno della Chiesa agli indirizzi della riforma liturgica degli anni Sessanta, riserve coltivate poi per decenni da ambienti diversi e certamente non scismatici, hanno conservato e visto confermate nel tempo le loro buone ragioni.
Non sfuggì e non sfugge a critici più severi che, nelle mani dei liturgisti e biblisti (pochi i teologi) del Consilium ad exequendam constitutionem de sacra liturgia, la messa della tradizione secolare tridentino-gregoriana si stava riducendo alla figura-evento della Cena, della sua commemorazione più che riattualizzazione, sotto la presidenza del presbitero. Enorme il rischio, col tacere l’evento culmine della transustanziazione e sottovalutare la natura sacrificale e propiziatoria del rito, di smarrire la peculiare realtà della messa. Si sostenne anche, e sottilmente a mio parere, che la nozione di presenza veniva equivocata, nei testi prodotti dal Consilium, col porre sullo stesso piano la presenza di Cristo nella Parola e la presenza nel sacrificio eucaristico. Le riserve furono e restano eccessive, ed eccepibili nel merito; perché furono però preveggenti quanto alla recezione delle “riforme” nelle Chiese locali? Una domanda importante; dovremo raccogliere il coraggio e l’intelligenza per rispondervi.
Resta, a mio parere, colpevole la sottovalutazione, spesso sprezzante, delle critiche conservatrici da parte dei liturgisti impegnati a più titoli nella “riforma”. Eppure ebbero dinanzi agli occhi le derive teologiche e pastorali puntualmente e precocemente (già negli anni Sessanta) realizzate. È vero che negli anni Sessanta-Settanta, non solo nella Chiesa, gli occhi di moltissimi (e non mi tiro fuori iuventute mea) erano come accecati.
Si capisce che la disciplina del nuovo rito, anche nella revisione del 2000-2002, non solo non basti ai “tradizionalisti” (non sarebbe decisivo, considerata la loro rigidità) ma, ciò che conta, “non basti” a Roma. Essa non è, ovvero ha mostrato di non essere, freno in sé sufficiente alle concezioni banalizzanti, attivistico-comunitarie, della materia liturgica che sono subentrate alle sfide manipolatorie di qualche anno fa. Né basta il latino della typica tertia: non è il latino il problema, ne è solo un corollario.
La nuova legittimazione erga omnes della intatta validità (ma legittimità e legittimazione non vanno di pari passo) del Missale romanum tridentino o di Pio V (nelle revisioni posteriori, fino a quella pio-giovannea del 1962), e la sanzione positiva della sua scelta alternativa libera, decise da Benedetto XVI, vanno oltre le pratiche di pacificazione, quanto a intentio magisteriale. Esse dichiarano che la ritualità cattolica e il dogma eucaristico, come intesi prima Concilio Vaticano II, restano vitale orizzonte della nostra vita liturgica.
Inoltre, nel permettere che due diverse sensibilità si affianchino liberamente e con pari dignità, Benedetto riconduce la forma cattolica alla sua essenziale natura di complexio (espressione che preferisco di gran lunga a “diversità” o “pluralismo”: complexio è diversità necessariamente articolata in unità secondo il senso).
Sottolineo ancora che la sensibilità e la determinazione del pontefice non sono, ovviamente, isolate. Le opinioni ai vertici della congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti sembrano decisamente favorevoli a restituire alla tradizione liturgica preconciliare e al lavoro del Concilio come tale il suo valore intrinseco e il suo peso regolativo. Anche a difesa delle diverse forme di attuazione della riforma liturgica, poiché dall’arbitrio nulla viene risparmiato, anzitutto ciò che si presenta come nuovo.
D. – Ma valeva comunque la pena di emettere il motu proprio, di fronte ai rischi di conflittualità e ai rischi di recupero di antiche carenze e “abusi” legati alla liturgia tridentina?
R. – La ricchezza tradizionale intera del culto cristiano è, per Benedetto, il canone cui attingere nuovamente. È criterio strettamente connesso all’essenza stessa dell’analogia fidei. L’obiettivo della “riconciliazione interna nel seno della Chiesa” diviene parte di un più ampio intervento per l’intera comunità credente, indipendentemente da storiche tensioni con le minoranze tradizionaliste.
Conosciamo la reazione, spesso innervosita, degli episcopati. La moderatio sacrae liturgiae esercitata dal vescovo dovrà, comunque, essere intesa dagli ordinari in conformità alla intentio del pontefice, con più attento senso, rispetto al passato (almeno per alcuni casi), delle necessità della Chiesa e della struttura della Tradizione.
Questo quadro può essere generatore di conflittualità intraecclesiale? Avrei voglia di replicare che l’argomento della conflittualità (come rischio, anche spirituale o morale) è spesso usato per proteggere i gruppi, o gli stati di cose, “egemoni” o prevalenti.
La libera opzione del Missale romanum del 1962, che potremmo chiamare tridentino-giovanneo, agirà come paradigma stabilizzatore delle fluttuanti liturgie in lingua corrente. Il cardinale Karl Lehmann ha riconosciuto in questa stessa direzione, mi pare, che il motu proprio è un buon motivo per promuovere “con nuova attenzione una celebrazione degna dell’eucaristia e degli altri riti sacramentali”. Chiaramente per la Chiesa tedesca l’obiettivo della “riconciliazione interna nel seno della Chiesa” (formula del cardinale Camillo Ruini, in "Avvenire" dell'8 luglio) diviene un intervento medicinale a spettro ampio, indipendentemente dalla presenza di minoranze scismatiche.
Si conferma, a mio avviso, con la "Summorum pontificum" il taglio inconfondibile del programma di Benedetto XV. La sua visione strategica opera ad integrazione-compimento del magistero di Giovanni Paolo II, con quelle caratteristiche di fermo discernimento sui temi della verità e della ragione che il cardinale Ratzinger aveva praticato come prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Rendere esplicita e governare fermamente, nell’unità, una feconda complexio è in profondità la funzione petrina. Ne valeva, e ne varrà, sicuramente la pena.
D. – I rilievi critici sul rito antico non hanno peso? Scarsa presenza della Parola e del popolo, ritualismo e tentazione “magica”, infine ”una liturgia che dimentica la bellezza del simbolo per diventare pedantemente allegorica”...
R. – Si tratta, anzitutto, di una caratterizzazione deteriore quanto corrente del rito antico, che chi lo ha praticano e interiorizzato nella sua formazione cristiana contesta fermamente. Il rito antico porta con sé, ed esprime in gesti e parole, ricchezze insostituibili. Ricordo che i maestri della primissima fase della riforma liturgica, da Martimort a Jungmann al nostro Righetti, al grande liturgista Odo Casel (meno prossimo al Concilio: era morto nel 1948) e tanti altri, conoscevano la magnificenza simbolica, non “allegorica”, del rito cristiano entro e a partire dalla liturgia gregoriano-tridentina, che non hanno mai pensato di sconvolgere.
Opere di filosofia liturgica – se posso esprimermi così – che hanno nutrito tante generazioni, quelle di Guardini e di Hildebrand, nascono entro lo stesso ordo e la stessa esperienza. Così "Il senso teologico della liturgia" di Cipriano Vagaggini. Una frattura vi fu. Infatti, che hanno a che fare Casel o Jungmann o il magnifico “saggio di liturgia teologica generale” di padre Cipriano (la quarta edizione è del 1965), o la stessa costituzione liturgica del Concilio, con gli indirizzi della “riforma” diffusa e dello stesso Consilium ad exequendam?
In questa frattura prende corpo, oserei dire, ufficiosamente nella Chiesa lo stereotipo evocato nella domanda. Le critiche protestanti e modernistiche al ritualismo e al magismo della messa avevano sempre ricevuto la loro adeguata risposta. Ma il “riformatore”, questa volta il riformatore cattolico, ha bisogno di un contromodello, di un paradigma negativo, e non va per il sottile.
Certo, la riforma forse non guidata ma disciplinata, ed era difficilissimo, da Paolo VI ha introdotto nell’actio liturgica più Scrittura, più memoriale e più popolo. Roma riuscì allora con difficoltà (per qualcuno non vi riuscì del tutto) ad evitare la deriva “protestante”. Deriva temibile, perché lex orandi e lex credendi sono legate tra loro e perché, comunque, nella Tradizione tutto è fortemente connesso.
Sequenze intere di elementi fondamentali simul stant, simul cadunt. Non nascondiamoci che molte élites teologiche cattoliche, specialmente nelle cerchie europee ecumenizzanti, lo sapevano e lo speravano.
Non si tratta, dunque, di smarrire quello che della vita liturgica attuale apprezziamo; né è ragionevole pensare che il motu proprio abbia non solo l’intentio – che non ha – ma la forza obiettiva di produrre effetti indesiderati del genere e su larga scala. Ma dobbiamo saper prendere atto che Parola e popolo sarebbero da soli poca cosa (e davvero un po’ magico-teurgica) senza la realtà del Corpo mistico e del "mirabile mysterium praesentiae realis Domini sub speciebus eucharisticis": realtà che precede, fonda e trascende la comunità orante.
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12 commenti:
magister si conferma cattivo maestro...
le cose come le presenta lui sono forzate e tendenziose: i vescovi non erano divisi tra pro e contra ma tra chi desiderava un documento ufficiale sull'applicazione del Summorum e chi non lo riteneva utile... abbiamo lodato gli episcopati francesi e svizzeri, ma poi, per la lettura tendenziosa di alcuni vaticanisti ci siamo scandalizzati della proposta di alcuni membri del consiglio permanente della CEI, bah...
cmq tornando al pessimo magister forza le posizioni - non è certo socci, perciò è delicato, subdolo, insinuante... - e lascia intravedere una spaccatura radicale dell'episcopato italiano
ciliegina sulla torta questo bel pezzo di de marco (qualcuno potrebbe mettere in guardia questi intellettuali di non farsi usare in maniera così squallida?) che servirebbe a che cosa non si sa bene...
insomma qui siamo davvero davanti ad un magister divisionis
quanto al bel pezzo di de marco... ci sono un paio di forzature:
* il ritornello "tradizionalista" della frattura operata dalla commissione presieduta dal card. Lercaro... qui si manifesta l'idea che non è del Papa né della Chiesa che una cesura dalla Tradizione alla fine ci sia stata... il che fa iscrivere i propugnatori di questa teoria nel novero di quelli dell'"ermeneutica della rottura" che si giudica da sola... ma anche questo ritornello ormai ha stancato ed è tra le principali cause di ostilità alla serena accoglienza del motu proprio di Benedetto XVI
* il fatto di presentare la forma extra ordinaria come di pari dignità con quella ordinaria, mentre già la stessa denominazione fa chiarezza sulla diversa importanza delle due forme...
Avevo già sentito qualcosa in proposito,ma non avrei mai immaginato che tra i vescovi resistenti al rito tridentino ci fosse Bruno Forte.Proprio lui che in occasioni di dibattiti e conferenze non fa altro che prodigarsi in citazioni ebraiche,tedesche,inglesi per il solo gusto di autoascoltarsi senza preoccuparsi di tradurre per l'uditorio.Quando lo scorso anno è venuto in cattedrale il cardinale di Vienna per l'inizio della settimana mozartiana Forte lo ha accolto parlando per 20 minuti in tedesco,incurante delle tante persone presenti,mentre il cardinale ha risposto in perfetto italiano come pure in italiano ha celebrato e predicato,mentre il vescovo continuava ad intervenire in tedesco,che devo pensare? Comunque sto partendo per Lourdes affiderò a Maria la Chiesa e Benedetto a presto Paola
caro Francesco, sono sincera: sono d'accordo solo con le ultime quattro righe, questo sì lo capisco, quello che è straordinario è fuori dall'ordinario, non c'è dubbio.
Il resto lo capisco un bel po' meno. Forse De Marco, che io leggo sempre con piacere e che è un signore, non è così scocciato di farsi strumentalizzare. Magister è meglio che ci sia, vuole che leggiamo solo Melloni e piombiamo tutti nella malinconia?
Se i vescovi avessero fatto un documento interpretativo, non contro il MP,s'intende, ma per interpretarlo, di questa bella intenzione tutti i commentatori si sarebbero fatti un robusto baffo e avrebbero invece inteso senza tema e pudore che la Chiesa italiana , la più vicina al Papa di Roma, è contro il MP e ci avrebbero sguazzato per mesi. Melloni sarebbe ingrassato dalla felicità e forse sarebbe partito con Monsignor Bagnasco per Lourdes in segno di ringraziamento.
Lei dice che sbaglio?
Come si e' dato spazio a Melloni cosi' si da' spazio a Magister che, comunque, rimanda ad un articolo molto interessante di De Marco. Sono contenta che non ci sia stato alcun documento visto che il motu proprio e' chiarissimo e, francamente, dare argomenti contro il Papa a Melloni e Politi e' un errore che la Chiesa italiana non puo' permettersi.
Francesco,
siamo alle solite... per lei a fomentare divisioni è chi riporta dei fatti (evidenti tra l'altro dalle dichiarazioni pubbliche rilasciate dai suddetti Vescovi, senza che ci sia bisogno di indignarsi per un 'segreto d'ufficio' tradito), non chi quei fatti concretamente li compie: cercando appigli e scuse per manifestare la contrarietà e limitare l'applicazione della chiara volontà del Papa.
Insomma, Magister non inventa nulla: che le divisioni ci siano mi pare evidente, come il fatto che a crearle siano proprio quei Vescovi che non perdono occasione per 'interpretare' le parole del Papa, invece di obbedire alla chiara volontà che vi si trova espressa.
E non si cerchi di offuscare la questione pretendendo che la divisione vertesse sulla pubblicazione o meno di un neutro 'documento ufficiale': è chiaro che il dissenso era (purtroppo) ben più sostanziale, come - ripeto - le infelici uscite di alcuni Vescovi ci mostrano da quando è uscito 'Summorum Pontificum'.
Quanto al fatto che la forma straordinaria del Rito non avrebbe la stessa dignità della forma ordinaria, siamo alla negazione dell'evidenza: si rilegga il Motu Proprio.
E' evidente come la denominazione scelta dal Santo Padre per le due forme risponda esclusivamente, e in modo realistico, alla realtà d'uso che di tali forme attualmente si fa: nessun giudizio di valore o, men che mai, di diversa dignità.
A ribadirne pari dignità, legittimità e liceità è, le ripeto, lo stesso Motu Proprio, col riconoscere ad ogni sacerdote la possibilità di celebrare indifferentemente con l'uno o l'altro Messale senza il bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica né del suo Ordinario.
Qui il problema principale è che si manifesta in modo evidente all'interno della CEI una divisione sul Motu Proprio e qui il segreto d'Ufficio non centra nulla. La cosa gravissima che non doveva accadere, è proprio questa spaccatura la CEI non può e non deve dividersi sui provvedimenti del Papa il Motu Proprio nella fattispecie; perchè questo è ciò che la stampa anticlericale aspetta leccandosi i baffi ma, possibile che questo all'interno della CEI non si capisca???????? Offriamo uno spettacolo indegno proprio a coloro che sparano a zero sulla chiesa e sul Papa. Ricordo che, l'obbedienza al Papa non è una burla non è una frase buttata lì tanto perchè si deve dire ma,perchè è una promessa solenne. Si può essere contrari come modo di pensare ma, si deve essere compatti perchè la chiesa ha bisogno di unità soprattutto, in questo frangente. Evidentemente chi all'interno della CEI crea queste divisioni, non vuole il bene ne del Papa ne della chiesa.
Mi meraviglio di Bruno Forte e pensare che poteva essere un probabile candidato alla CDF!!!!!???? A questo punto, penso che anche questo aspetto sia da rivedere con urgenza!!!!!!!!!
Eugenia
Scusate l'intromissione - Agli occhi di chi è interessato ma esterno al mondo della Chiesa e si mantiene a una certa distanza, tutta questa attenzione nei confronti del Summorum desta non poca meraviglia e la meraviglia cresce quando, a ben vedere, non è tanto il significato di questo MP ad essere oggetto di controversie, quanto gli aspetti applicativi e le dinamiche di potere dietro di essi, mentre mi pare resti spesso in ombra il grande tema dietro al MP stesso.
Posso chiedervi perchè vi interessate tanto agli aspetti relativi all'"obbedienza" ed alla applicazione del motu? Siete allarmati per la tenuta del potere del papa? Alcuni di voi paiono indispettiti perchè qualcuno tra i vescovi sembra disobbedire. C'è qualcosa nel Summorum che ritenete rivesta un'importanza inderogabile oppure ritenete che sia imperdonabile semplicemente il fatto che si deroghi rispetto ad un MP papale?
Il motu proprio e' un grande atto di apertura verso tutti i fedeli, anche quelli piu' legati alla tradizione.
Impedire a questi fedeli di accostarsi alla Messa tridentina e' contro lo spirito del documento. Ci possono essere centinaia di motivi per cui un vescovo ritiene "pericolosa" l'applicazione del motu proprio, ma, finora, le argomentazioni addotte per limitare la portata del documento non sono sembrate convincenti.
Ci si limita a dire: il latino e' una lingua morta, nessuno lo capisce piu', la messa tridentina non e' democratica, e' solo coreografia.
Oppure: noi usiamo un rito diverso da quello romano.
Mi piacerebbe leggere una vera argomentazione perche' da un lato vedo la chiarezza del documento papale e dall'altro l'interpretazione restrittiva.
Vorrei capire meglio...
sì, so che molti desiderano fruire del rito tridentino e non possono, e immagino che dinanzi a questo diniego il desiderio cresca, ma non immaginavo che un simile desiderio potesse esser tanto forte da animare sì tante discussioni. Se il problema è solo la volontà di assistere allo "spettacolo" della messa tridentina, allora tutto questo discutere mi pare francamente esagerato. E' noto che la Chiesa è una struttura profondamente conservatrice, che si oppone ai mutamenti con una inerzia bimillenaria... non stupisce che ci sia tra i vescovi chi si è sentito spiazzato dal MP, che prescinde da ogni collegialità e che esercita una sovranità immediata.
Ma al di la di tutto questo, che mi pare di importanza relativa, c'è qualcosa nel S.P. che riteniate tanto importante da essere inderogabile? E poi, condividete tutti la direzione impressa dal papa con questo MP che è indubbiamente rivolta al passato?
Ecco il punto centrale, caro Mister: a mio avviso il motu proprio guarda al futuro, non al passato.
La Chiesa del passato si e' divisa fra conservatori e progressisti proprio in virtu' della liturgia. Perche' non cercare di accogliere tutti indipendentemente dalle etichette (destra, sinistra) che non hanno piu' senso, soprattutto per chi e' nato dopo il Concilio?
"E' noto che la Chiesa è una struttura profondamente conservatrice, che si oppone ai mutamenti con una inerzia bimillenaria"
E' noto a chi?
Ti ricordo che mentre la Chiesa guardava improvvidamente al passato, imperi, regimi solidissimi, sono andati a quel paese in un batter di ciglio (dal punto di vista storico).
Come mai? La Chiesa è ancora lì.
E' un discorso lungo che non si può liquidare in una battuta, ma forse, dico forse, c'è qualcos'altro nella Chiesa, oltre la difesa del passato, che
la rende così longeva. Se non è l'aborrito Spirito Santo(dai laici) forse è una certa qual capacità di adattarsi alla storia.
Un qualcosa, nella struttura, che va oltre la capacità e i meriti (a volte inesistenti) degli uomini che la compongono. Forse è semplicemente, ed è il mio parere, la preghiera e il sacrificio di tanti signor nessuno che in tutti i tempi e in tutti i luoghi, hanno testimoniato la propria fede e l'hanno resa forte a resistere a qualsiasi colpo gobbo. E ce ne sono stati tanti.
In qualsiasi momento storico, anche il più buio,ci sono stati uomini e donne che all'interno della Chiesa, hanno continuato a testimoniare la stessa semplice verità, Dio esiste e si è fatto uomo, come noi. Non un Dio lontano, un Dio vicino come dice papa Ratzinger, che è nato, cresciuto come un uomo, ha mangiato, bevuto come noi ed è morto come un qualsiasi contemporaneo sulla croce in un'oscura Palestina , provincia dell'Impero romano.
La maniera di celebrare questo durante una messa, non è un brustolino per un cristiano liquidabile nei poveri editoriali di questi giorni. E' qualcosa di molto profondo.Da qui, le polemiche che ti stupiscono. Per noi, Dio E' durante la messa.Non siamo lì, tra amici, per fare delle chiacchere, ma Dio è lì.
Capisci anche tu che per qualcuno, questo è importante. Anche la forma è importante.
il fatto, che ribadisco, che la Chiesa guardi al passato e si opponga ai mutamenti non è una opinione nè tantomeno è un giudizio negativo, almeno chi, come me, non ha molta fiducia nel "progresso" comunemente inteso. E' un dato di fatto più che assodato che la Chiesa abbia una struttura conservatrice, ma non fraintendete: essere conservatori non significa affatto essere di destra (a suo modo anche Pasolini era un conservatore), così come essere progressisti non significa necessariamente essere di sinistra.
Volete mettere in discussione il fatto che la Chiesa sia una forza prevalentemente conservatrice? Beh, allora dovete cercare altri argomenti rispetto al fatto che sia durata molto... I faraoni in Egitto sono durati assai più della Chiesa, e senza Provvidenza, e non si può negare che non fossere un tantinello conservatori :-). Ma la nozione di conservazione (ovvero tutela della tradizione, mantenimento degli equilibri sociali, resistenza ai mutamenti) è un concetto relativo e in questo caso si tratta di stabilire una rotta, ovvero la misura in cui la Chiesa debba essere conservatrice.
Ebbene, il Concilio Vaticano II è stato un momento, forse il momento, in cui questa rotta è stata per una volta "inclinata" verso il futuro. Alcuni hanno parlato di una rivoluzione proprio per significare la profondità di questo cambiamento e l'"anomalia storica" che esso ha significato. Non so cosa sarebbe oggi la Chiesa senza questo momento e senza quelle due immense personalità che hanno permesso che ciò accadesse, ma certamente la storia del mondo sarebbe stata diversa. Ma i nostri sono tempi estremamente cupi, non c'è luna sulla piazza e la gente ha paura in questo buio e già si pente, anche solo di avere una volta sperato...
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