12 marzo 2008

Mano tesa agli Ortodossi: intervista di Tempi a Mons. Paolo Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca


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Paolo Pezzi

Il missionario diventato arcivescovo della Madre di Dio racconta come cattolici e ortodossi, insieme, possono ridare stabilità a un mondo annichilito dal comunismo.

di Francesco Rositano

MANO TESA AI FRATELLI ORTODOSSI sui princìpi non negoziabili come la difesa della vita dal concepimento al suo ultimo istante. La tutela della famiglia, «un fattore di equilibrio e di crescita di tutta la società».

La lotta al relativismo, animata da una consapevolezza che sa di motto episcopale: «Con Cristo si vive meglio». E, soprattutto, una grande disponibilità a confrontarsi con i vertici della Chiesa ortodossa, per condividere la cura del popolo cristiano ed elaborare piani pastorali comuni dopo il recente incontro con il patriarca Alessio II.

Monsignor Paolo Pezzi, a pochi mesi dalla sua consacrazione ad arcivescovo della Madre di Dio a Mosca (avvenuta il 21 settembre 2007), parla a Tempi delle principali sfide del suo mandato. Quarantasette anni, originario di Russi, in provincia di Ravenna, monsignor Pezzi è stato ordinato sacerdote a trent'anni presso la Fraternità sacerdotale dei missionari di san Carlo Borromeo, nata nell'alveo del movimento di Comunione e Liberazione e fondata da don Massimo Camisasca. Il seminario a Roma, poi nel 1993 la partenza per Novosibirsk, in Siberia, nella Russia asiatica. Era il periodo immediatamente successivo alla caduta dell'Unione Sovietica, l'anno zero della Chiesa cattolica russa, che, dopo il periodo delle persecuzioni, stava lentamente riprendendo la propria attività. Per i sacerdoti riaprivano le frontiere e, grazie a una legge moratoria, le chiese distrutte o trasformate in appartamenti cominciavano ad essere restituite alla Chiesa cattolica. Era una fase nuova anche per le babushke, le vecchiette sopravvissute alle deportazioni staliniane, le custodi della tradizione, che per generazioni avevano continuato a riunire le proprie famiglie, pur senza preti, per recitare il rosario, pregare e leggere il messale.

Ma oggi ad aspettare Paolo Pezzi non ci sono più soltanto quelle anziane donne dei piccoli villaggi siberiani, nelle cui case per anni il missionario italiano ha celebrato la Messa. Ci sono anche i giovani, ai quali l'arcivescovo ha deciso di dedicare «una particolare predilezione», ci sono le realtà parrocchiali e comunitarie della sua diocesi, e i sacerdoti di cui, da pastore, si deve prendere cura. E poi ci sono le famiglie, «che spesso si dissolvono anche senza motivazioni profonde, per l'assenza dei fondamenti sui quali radicare l'unione tra uomo e donna». Ecco la nuova sfida di questo giovane presule ravennate, una sfida che lui accetta in nome di una convinzione profonda: «La vita è vocazione, è chiamata di ogni uomo allo svolgimento di un compito nel quale essa, la vita, si realizza. Questo vale anche per un vescovo».

Monsignor Pezzi, a pochi mesi dalla sua nomina, quali sono le maggiori emergenze da affrontare?

Il mio compito ora è prendermi cura di un popolo, di una realtà ecclesiale che non ho creato e non creo io, ma che mi è stata data da Dio attraverso una storia e mi è stata affidata dal mio predecessore, monsignor Tadeusz Kondrusiewicz, che ha fatto tutto quello che era in suo potere per lo sviluppo di questa Chiesa. Una cura di questo popolo, dunque, una cura della formazione e dell'educazione dei fedeli attraverso le realtà parrocchiali e comunitarie che esistono nella diocesi. In secondo luogo, ho deciso di attribuire una speciale predilezione ai giovani con i quali desidero incontrarmi. In terzo luogo, desidero dedicare una parte consistente delle mie energie alla cura dei sacerdoti che mi sono affidati: una realtà piuttosto variegata. Sono tra i 120 e 150, circa una metà sono di provenienza diocesana, e di questi 25 appartengono alla mia diocesi. Gli altri provengono da altre diocesi del mondo e la loro presenza qui in Russia è l'espressione della mutua carità cristiana e della comunione esistente tra le varie chiese. Ordini religiosi e diocesi, infatti, hanno deciso di mandare qui i loro sacerdoti anche perché in Russia la formazione del clero locale è ancora allo stato iniziale. Questa situazione implica anche alcuni problemi, legati sia all'avvicendamento nel servizio svolto dai sacerdoti, dal momento che gli ordini possono sempre richiamare i propri membri, sia al regime di visti in vigore tra Federazione Russa e Unione Europea, che pone determinate clausole al soggiorno degli stranieri nel paese. Anche sacerdoti e religiosi sono soggetti a queste norme. Per consentire una continuità nella loro opera pastorale, ci stiamo muovendo perché i sacerdoti stranieri possano ottenere i necessari permessi di soggiorno.

Molte chiese durante il comunismo sono state distrutte o adibite ad altri usi. La stessa cattedrale della Madre di Dio di cui lei è ora arcivescovo era stata trasformata in una tipografia. In questi anni la Chiesa cattolica è dovuta praticamente ripartire da zero. Come intende proseguire questa opera di rinascita del cattolicesimo in Russia?

Il primo passo nella riorganizzazione della Chiesa cattolica in questo paese è stato compiuto da Giovanni Paolo II, che ha dato vita dapprima ad amministrazioni apostoliche, poi a quattro diocesi riunite in una regione ecclesiastica, di cui l'Arcidiocesi della Madre di Dio costituisce la sede metropolitana. Monsignor Kondrusiewicz, come arcivescovo, si è occupato di riorganizzare e registrare l'arcidiocesi e le parrocchie perché ottenessero il riconoscimento civile, oltre a portare avanti il processo di restituzione degli edifici di culto. Poste queste basi, occorre ora proseguire il compito di educazione di questo popolo. Innanzitutto, infatti, occorre educare l'uomo, cioè aiutarlo a far emergere in lui la coscienza di essere dipendente da Dio, dal Mistero. Questo implica la scoperta della propria vita come vocazione, come chiamata a rispondere a un compito. Un'educazione di questo tipo potrà favorire la nascita di famiglie cristiane coscienti e, di conseguenza, l'impegno a sviluppare un'attività più specifica di pastorale familiare. Mi piace ricordare che la Chiesa cattolica in Russia ha deciso di dichiarare il 2008 anno dedicato alla vocazione familiare. Infine, guardare alla vita come vocazione è il primo passo anche per cominciare a scoprire nuove chiamate alla verginità e al sacerdozio. Negli ultimi due anni sono stato rettore del seminario interdiocesano di San Pietroburgo, unico istituto cattolico in Russia deputato a formare giovani al sacerdozio. Un compito importante che mi ha preparato anche al mio attuale incarico di arcivescovo.

Qual è la situazione della famiglia in Russia?

La famiglia in Russia vive sicuramente una situazione non facile. Sono molte le donne che vivono da sole con i propri figli dopo essersi separate dai mariti. Talvolta, tutto sommato, bastano motivazioni anche relativamente secondarie affinché le famiglie si dissolvano. Questo è dovuto - sono in molti a constatarlo, in primo luogo la Chiesa ortodossa - alla mancanza di fondamenti sui quali basare l'unità familiare, dai quali far dipendere la nascita, la crescita e l'educazione dei figli. Il venir meno di questi pilastri è stato causato in parte dal regime comunista, in parte da difficoltà economiche e sociali. Il ruolo della Chiesa, sia di quella ortodossa sia di quella cattolica, è aiutare a comprendere che il matrimonio è una vocazione. Penso che ribadire la fondatezza e la necessaria stabilità del tessuto familiare costituito dall'unione di un uomo e una donna, di un padre e una madre, sia un punto comune sul quale le Chiese cattolica e ortodossa possono trovare modalità di azione congiunta, sia da un punto di vista educativo sia da un punto di vista pratico. Mi riferisco alle iniziative di sostegno alle giovani famiglie, alle attività in favore della procreazione responsabile, ai corsi di formazione sulle conseguenze dell'aborto. Rimane poi tutto il campo della difesa della vita all'interno dell'istituto familiare. Bisogna fare in modo che le famiglie vengano aiutate, anche da un punto di vista economico e finanziario, a mettere al mondo e a crescere i propri figli. Un punto, quest'ultimo, sul quale lo Stato sta lavorando, sia riformando la legislazione in materia di aborto (che limita la casistica entro cui può essere praticato, ndr), sia impegnandosi a sostenere anche famiglie numerose con un certo sforzo di tipo economico e finanziario. Inoltre, negli ospedali e nei consultori è iniziata una campagna informativa sulle conseguenze dell'aborto: sono tutti segnali di una maggiore attenzione alla famiglia provenienti dalla società civile. È sicuramente importante che in questo momento anche lo Stato e la società civile stiano mettendo in piedi iniziative concrete per ridurre i casi in cui è legale praticare l'aborto. In questo quadro non è affatto un caso che il patriarca Alessio II, in occasione delle celebrazioni del Natale ortodosso, si sia soffermato a parlare della famiglia. A questo percorso di sensibilizzazione può certamente partecipare anche la Chiesa cattolica, alla luce dell'esperienza maturata in questo ambito, offrendo in particolare due grossi contributi. Il primo è un aiuto di tipo formativo a capire che cosa sia l'aborto, quali siano le sue conseguenze per la donna e la famiglia, e quali siano le iniziative di aiuto possibili. Stiamo dando il nostro apporto con corsi di formazione ai quali partecipano sempre più persone, e non solo cristiani, che hanno il desiderio di acquisire un'informazione più accurata sull'argomento. Le donne inoltre hanno bisogno anche di un supporto di tipo psicologico, ambito nel quale la Chiesa cattolica ha una certa esperienza. La seconda direzione è un livello che potremmo definire culturale, cioè la difesa della vita e della famiglia intesa non come un principio astratto, ma come uno sguardo all'essere umano nella sua realtà, nella sua interezza.

Quali sono gli altri ambiti nei quali i cattolici russi possono trovare spazi di collaborazione con la Chiesa ortodossa?

Ci possono essere passi comuni soprattutto per quanto riguarda l'annuncio cristiano come tale. Col cristianesimo, con Gesù Cristo l'uomo vive meglio. E questa convinzione accomuna sicuramente noi cattolici ai fratelli ortodossi. Intravedo inoltre altre possibilità nell'ambito del lavoro, che rimane tutto da scoprire: cosa significa veramente essere presenti come cristiani nel mondo del lavoro? È una domanda alla quale possiamo cercare di rispondere assieme. Resta poi l'ambito delle opere di carità: laddove cattolici e ortodossi riuscissero a collaborare, non solo si sgombrerebbe il campo da molti pregiudizi, ma si riuscirebbe ad arrivare più efficacemente alla persona e al suo bisogno, si tratti di bambini oppure di anziani. Infine, un ultimo punto sul quale stiamo cercando di confrontarci riguarda il problema delle tossicodipendenze e le conseguenze dell'Aids.

Recentemente, in occasione delle celebrazioni del Natale ortodosso, si è incontrato con il patriarca Alessio II. Cosa si sente di dire?

Il patriarca ha invitato me e il nunzio apostolico, monsignor Antonio Mennini, a partecipare alla solenne liturgia che ha celebrato la notte di Natale, e al termine della liturgia, quando ci siamo avvicinati all'altare per il bacio della croce, si è congratulato per la mia nomina, visto che in precedenza non c'era stato il modo di incontrarci di persona. Poi ha parlato del nostro comune compito di pastori del gregge che ci è affidato, auspicando la possibilità di incontrarci per approfondirne il significato. Ho visto in lui un'apertura e una disponibilità che mi hanno commosso.

Cosa pensa del tanto annunciato incontro tra papa Benedetto XVI e Alessio II?

Innanzitutto penso che non si possa far dipendere meccanicamente il cammino verso una piena comunione tra cattolici e ortodossi dal fatto che il papa si incontri con il patriarca. Questo incontro è certamente auspicabile e desiderato, ma da entrambe le parti c'è la convinzione che vada adeguatamente preparato da gesti di reciproca conoscenza e di comunione, educando in questo spirito i propri fedeli, in modo che possa costituire a sua volta un passo in avanti nella strada da percorrere e non avere soltanto una forza mediatica fine a se stessa.

© Copyright Tempi, 2008

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