12 marzo 2008

Giornata di preghiera per la liberazione dell'arcivescovo di Mossul (Radio Vaticana)


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Giornata di preghiera per la liberazione dell'arcivescovo di Mossul

Nuove violenze in Iraq. Anche oggi si contano diverse vittime, sia civili che militari americani, in attentati avvenuti a Baghdad. Intanto, nella Chiesa cattolica, e non solo, aumenta l’apprensione per la sorte dell'arcivescovo caldeo di Mossul, mons. Faraj Paulos Rahho, rapito nella città irachena lo scorso 29 febbraio da un commando armato. “Non cali il silenzio su questa vicenda” – ribadisce con forza l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako. Per invocare la liberazione del presule, i caldei in Iraq e della diaspora hanno indetto per oggi una giornata di digiuno e preghiera: a Roma, nel pomeriggio, è prevista la celebrazione di una Messa nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, mentre martedì scorso c’è stato un appello di vari leader islamici. Giancarlo La Vella ne ha parlato con don Renato Sacco, di Pax Christi, da poco rientrato dall’Iraq:

R. – Quindici capi islamici hanno condannato questo rapimento ed hanno chiesto la liberazione di mons. Rahho. Il vescovo di Kirkuk chiedeva all’Occidente di impegnarsi a fare qualcosa in più: lo ha chiesto ai governi, ai mass media. Lo ha chiesto anche agli Stati Uniti che di fatto sono responsabili secondo il diritto internazionale anche della sicurezza della popolazione. Bisogna fare in modo che non diventi normale questa situazione, che non diventi normale il rapimento di un vescovo. L'arcivescovo di Kirkuk ha chiesto soprattutto di non rimanere indifferenti e di cercare di fare di tutto. Se posso dire, ho sentito in loro una grande gioia quando qualcuno li chiama, quando qualcuno gli dice di non essere con loro e di non sentirsi soli. Ma li sento anche molto provati, perché quello che sta vivendo mons. Rahho è quello che stanno vivendo anche tante altre persone rapite: l’Iraq è da troppi anni che soffre. Ll’Iraq è da troppi anni che ha il bisogno di trovare una strada di pace. Non dimentichiamo, tra l’altro, che quello che si dice in Italia ed in Occidente viene sentito e rilanciato anche in Iraq. Un appello, quindi, automaticamente ha eco anche in Iraq.

D. – Lei è tornato da poco da una missione nel Paese del Golfo. Si ha la sensazione che le cosa, invece, di migliorare peggiorino di giorno in giorno…

R. – Il rapimento è diventato quasi una prassi, che viene preceduto dalle minacce; se va in porto c’è la liberazione. Se invece non va in porto si perdono le tracce. Io ho tanti amici che hanno ormai perso le notizie delle persone rapite. Questo è quello che vive tantissima gente. Molti profughi scappano perché hanno ricevuto minacce. Fuggono per evitare rapimenti od uccisioni. Credo che sia davvero una situazione che va peggiorando sempre più. Io sono stato otto volte in Iraq e tutti, ma proprio tutti, dicono che le cose vanno sempre peggio. Come anche il Papa ha ricordato nell’Angelus, questa è una situazione di sofferenza e non secondo la volontà di Dio. Oggi siamo tra l’altro quasi alla ricorrenza dall’anniversario dell’intervento armato (il 19 marzo). Quelli che incontriamo ci dicono che qui va sempre peggio. L’unica prospettiva, l’unica speranza che hanno i giovani è di lasciare il Paese. Noi dobbiamo aiutarli a non avere solo questa prospettiva.

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