8 aprile 2008

Martiri, una ricchezza della Chiesa universale: lo speciale di "Avvenire"


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PIETRO E IL MONDO

Martiri, una ricchezza della Chiesa universale

In San Bartolomeo a Roma la grande testimonianza ecumenica di coloro che nel ventesimo secolo hanno versato il proprio sangue

DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO

Le pietre antiche della basilica di San Bar­tolomeo, sull’Isola Tiberina, nel punto in cui il Tevere più facilmente potrebbe essere guadato, furono erette proprio per cu­stodire i resti di due martiri: quelli dell’apo­stolo e quelli di Sant’Adalberto, il vescovo di Praga ucciso nel 997 mentre evangelizzava le popolazioni pagane agli estremi confini del­l’Europa cristiana. Questa sua caratteristica di poggiare su pietre così cariche di storia, u­nita alla vocazione di essere stata sempre tempio ecumenico e ponte tra Oriente e Oc­cidente, nel 2002 fu confermata da Giovanni Paolo II, che ne fece il luogo memoriale dei moderni martiri del XX secolo, affidandone la cura alla Comunità di Sant’Egidio. Sono i nuovi martiri di un secolo tormentato che ha conosciuto guerre e ideologie totalitarie, da cui si sono originate nuove e sanguinose per­secuzioni. Nessuna terra, per un motivo o un altro, ne è stata immune. Non c’è stato un continente che non sia stato bagnato dal san­gue dei nuovi testimoni della fede.
Meritevole intuizione fu quella di promuo­vere una Commissione per questi novelli martiri. In un anno, essa ricostruì la storia di tutti quei cristiani che nel Novecento hanno pagato con la vita la fedeltà al Vangelo. La Commissione si insediò proprio in questa ba­silica ed esaminò oltre tredicimila testimo­nianze che fecero emergere un fenomeno quasi ignorato.
Nel Colosseo, luogo di più antiche persecu­zioni, Giovanni Paolo II il 7 maggio del 2000, nella preghiera ecumenica in memoria di questi testimoni, scolpì questa situazione: «La generazione a cui appartengo – disse – ha conosciuto l’orrore della guerra, i campi di concentramento, la persecuzione. L’espe­rienza della Seconda guerra mondiale e de­gli anni successivi – aggiunse – mi ha porta­to a considerare con grata attenzione l’e­sempio di quanti hanno provato la persecu­zione, la violenza, la morte, per la loro fede e per il comportamento ispirato alla verità di Cristo. E sono tanti! La loro memoria non de­ve andare perduta, anzi va recuperata in ma­niera documentata».
La Comunità di Sant’Egidio ha raccolto que­sto mandato, e pone sui sei altari laterali del­la basilica di San Bar­tolomeo frammenti di questi sacrifici: piccole cose, tenere e suggestive, appar­tenute ai martiri del tormentato secolo.
Fermarsi oggi nella basilica significa co­gliere tutto il dram­ma del Novecento. Nella prima cappel­la della navata di de­stra, sono ricordati i testimoni della fede dell’Asia, dell’Ocea­nia e del Medio O­riente; nella cappel­la successiva, si ri­cordano i testimoni della fede delle A­meriche; nella terza cappella, si indicano i testimoni della fe­de uccisi nei regimi comunisti. Nella na­vata di sinistra, inve­ce, la prima cappel­la è dedicata ai testi- moni della fede in Africa; nella cappella a­diacente, sono ricordati i testimoni della fe­de di Spagna e Messico; l’ultima cappella, in­fine, è quella dei testimoni della fede uccisi sotto il regime nazista. Non c’è dunque un angolo del Pianeta che non sia rappresenta­to. «Uomini e donne – li racconta Andrea Ric­cardi, fondatore della Comunità – che non hanno vissuto per sé: scandalo per il mondo del Novecento che ha fatto sua suprema leg­ge il 'Salva te stesso' gridato a Gesù sotto la croce. Tale è ancora il mondo del nostro se­colo. E purtroppo tanti cristiani sono ancora uccisi in varie parti del mondo».
Gli altari, davanti ai quali sono stati accesi ceri, custodiscono oggetti appartenuti ai mar­tiri. Minuti oggetti quotidiani, simbolo della loro fede, abnegazione e fedeltà. Ci sono le Bibbie appartenute a Evariste Kagoriora, uc­ciso in Ruanda nel 1994 in una chiesa dove si era rifugiato, e a un giovane della Comunità, Floribert Bwana-Chui, torturato e ucciso a Goma, in Congo, per non essersi piegato a tentativi di corruzione. È tra i martiri più vi­cini a noi. Il sua sangue è ancora vivo. Fu tru­cidato il 9 giugno dello scorso anno. Gli ulti­mi a soffrire, schiacciati da una ideologia to­talitaria e cieca, sono stati i cattolici albane­si, nel periodo buio di Enver Hoxha. Il 'loro' altare mostra la croce distribuita clandesti­namente nel 1967, quando nel Paese delle A­quile furono vietate tutte le manifestazioni di qualsiasi culto, e la piccola pisside utiliz­zata dai preti per la celebrazione clandesti­na dell’Eucarestia nel carcere di Scutari. Quel­li che furono scoperti affrontarono la morte. Da qui all’America Latina: sull’altare dei mar­tiri di quella terra è poggiato il messale di O­scar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Sal­vador, ucciso mentre celebrava l’Eucarestia il 24 marzo 1980. Indietro nel tempo, ecco la custodia per ostie consacrate utilizzata dal­la moglie di Eugen Bolz, oppositore del regi­me nazista, decapitato il 23 gennaio 1945. U­na pietra più triste, tra queste pietre di storia, è una di quelle lanciate durante gli attacchi dei miliziani delle SS contro la residenza di monsignor Joannes Baptista Sproll, vescovo di Tottenburg-Stuttgart, esiliato perché si op­pose al programma nazista di eutanasia.
Quelle della basilica di San Bartolomeo sono tutte anime bianche. La fede le ha rese im­macolate davanti a Dio, come le rappresen­ta Renata Sciachì, una pittrice della comu­nità di Sant’Egidio, e come le racconta l’E­vangelista Giovanni: la moltitudine immen­sa che nessuna poteva contare, di ogni na­zione, razza, popolo e lingua: «Sono coloro passati attraverso la grande tribolazione – è scritto nell’Apocalisse – ed hanno lavato le loro vesti rendendole candide col Sangue del­l’Agnello ». L’icona campeggia sull’altare della basilica e aggiunge al martirio di San Bartolemeo e di Sant’Adalberto mille e altri mille martirii. Qualcuno riconoscerà, nella rappresenta­zione di alcuni edifici distrutti e di uomini e donne che stanno per essere uccisi, il geno­cidio degli armeni nella Turchia del 1915. Grande tribolazione fu nei campi di concen­tramento – e qui nell’icona si vede il filo spi­nato che si trasforma in cattedrale – dove cat­tolici, evangelici e ortodossi incontrarono la morte, sia in quelli nazisti sia in quelli sovie­tici. A guardare bene si riconoscono le figure di don Giuseppe Puglisi e di monsignor Ge­rardi, uccisi dalla mafia. Sant’Egidio ogni anno fa memoria, perché il sacrificio di queste anime dalla veste candi­da non sia dimenticato, e oggi la memoria è particolare perché segna anche i qua­rant’anni della Co­munità. «La vita e la morte di questi cri­stiani – ebbe a dire il cardinale Camil­lo Ruini in uno di questi giorni del ri­cordo – si innesta­no in noi tutti e nel­le nostre Chiese perché diano frutti degni del Vangelo. Il secolo che ha chiuso il millennio davvero è tornato ad essere un secolo di martiri».

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2008

RUANDA, 1994

EVARISTE KAGORORA, DIFESE LA BIBBIA E VENNE MASSACRATO IN CHIESA

Evariste Kagorora, un giovane tutsi del Ruanda, nei primi giorni di aprile del 1994, dopo l’inizio del tragico genocidio che fece 800mila vittime, si rifugia nella chiesa della Sainte Famille di Kigali pensando che sia un luogo sicuro. Dopo tre giorni, l’edificio venne circondato.
Uomini armati hutu entrano e obbligano gli uomini a uscire fuori (solo gli uomini, perché secondo la tradizione ruandese l’etnia si comunica per via maschile). Evariste è con loro.
Conosce il destino che lo aspetta. Ha con sé soltanto la Bibbia. Mentre sta uscendo vede la sorella, gli consegna il libro e le dice: «Mi uccideranno, prendi questa Bibbia, è la cosa più preziosa che ho: è la mia stessa vita». Giunto sulla soglia della chiesa, Evariste viene brutalmente ucciso. Quella Bibbia è dal 3 gennaio 2004 nella Basilica di San Bartolomeo.

GERMANIA, 1939

PAUL SCHNEIDER, MORTE A BUCHENWALD DI UN PASTORE CHE SI OPPOSE AI NAZISTI

A metà degli anni Venti Paul Schneider diviene pastore evangelico in Renania. Ha 33 anni, è sposato con Margarethe e ha già quattro figli, quando, nel 1933 viene denunciato per la sua azione pastorale che l’aveva messo in contrasto il locale Partito nazista. Nel febbraio 1934, si pronuncia dal pulpito contro Goebbels e viene trasferito nei piccoli villaggi di Dickenstein e Womrath. Il suo rigore evangelico lo porterà ad accusare esplicitamente alti gerarchi nazisti e lo stesso Hitler. In questi anni difende gli ebrei e si oppone all’abolizione delle scuole confessionali. Subisce un primo arresto e altri ne seguono sino al 1937. Margarethe, dalla quale ha avuto il sesto figlio, lo sostiene condividendo con lui un’esperienza di fede profonda. Viene infine deportato a Buchenwald, dove trova la morte, dopo maltrattamenti e torture perché si rifiutava di rendere omaggio alla croce uncinata.

SALOMONE, 2003

SETTE FRATELLI MELANESIANI CADUTI PER PORTARE PACE NELLE PROPRIE ISOLE

Dalla fine degli anni ’90, le isole Salomone sono state teatro di una guerra civile. Durante il conflitto, molte comunità religiose aprirono le loro case come rifugi.
Tra esse, si segnala l’ordine religioso anglicano Melanesian Brotherhood. I membri vanno a due a due nei villaggi comunicando il Vangelo e aiutando poveri e malati. Come i pellegrini hanno i fianchi cinti da una fascia e tengono un bastone nella mano destra. Robin Lindsay, Francis Tofi, Alfred Hill, Ini Paratabatu, Patteson Gatu, Tony Sirihi hanno pagato con la vita nel 2003 il loro lavoro per la pace, avendo scelto di non identificarsi con un’isola o una tribù, ma di servire il Vangelo. Nell’aprile del 2003, sei Fratelli Melanesiani partirono in canoa da Honiara verso la Weather Coast.Volevano recuperare il corpo di Nathaniel Sado scomparso durante una missione. Ma furono uccisi al loro arrivo.

ALGERIA, 1996

CHRISTIAN DE CHERGÉ E 6 CONFRATRELLI ASSASSINATI DA ESTREMISTI ISLAMICI

Priore del monastero trappista di Notre Dame de l’Atlas, a Tibihirine in Algeria, fu rapito e ucciso dai terroristi del Gruppo Islamico Armato, assieme a sei suoi confratelli, il 21 maggio 1996. Il Monastero di Tibihirine era un luogo di preghiera, dialogo e incontro, molto conosciuto e apprezzato dalla popolazione musulmana algerina. Malgrado l’inasprirsi della crisi e l’aumento degli attacchi, i frati avevano deciso di non abbandonare il monastero e di condividere pericoli e sofferenze con l’Algeria e con i loro amici musulmani. Già da tempo infatti, Frère Christian e i suoi confratelli avevano ricevuto minacce e 'visite' notturne da parte di gruppi armati. Dopo una di queste 'visite', frère Christian scrisse un Testamento nel quale, pur avvertendo i pericoli, non abbandona la sua fiducia in Dio e il suo amore per il popolo algerino e per il dialogo con l’Islam.

ROMANIA, 1958

L’ARCHIMANDRITA SOFIAN BOGHIU PERSEGUITATO DAL REGIME COMUNISTA

L’Archimandrita Sofian Boghiu è stato per circa 60 anni monaco e quindi starez del Monastero Antim, di Bucarest, morto il 14 settembre del 2002. Una personalità spirituale di grande valore del monachesimo romeno. La sua santità fu riconosciuta fin dall’inizio dalla Chiesa, a motivo della sua testimonianza del Vangelo. Nel tempo del comunismo ha costituito un punto di riferimento intellettuale e spirituale a Bucarest, a motivo delle sue relazioni con il Movimento 'Roveto Ardente', avviato nel 1945 con 40 monaci e intellettuali. Oltre alla preghiera quotidiana, si tenevano conferenze nella biblioteca del Monastero Antim. Padre Sofian fu arrestato, con altre 15 persone di Roveto Ardente tra cui padre Roman Braga, nel giugno del 1958. Condannato a 16 anni di lavori forzati, fu internato prima a Jilava e poi a Aiud. Dopo quattro anni fu inviato nel campo di Salcia, vicino Braila.
Tornò a casa, nel monastero di Antim, nel luglio del 1964.

GERMANIA, 1943

IL BEATO FRANZ JÄGERSTÄTTER CHE RIFIUTÒ DI COMBATTERE CON HITLER

Il 9 agosto 1943, in un carcere vicino Berlino, veniva decapitato un contadino austriaco di 36 anni, cattolico e padre di tre figli. La sua colpa: essere un oppositore del nazismo ed essersi rifiutato strenuamente, in nome della sua fede cristiana, di combattere agli ordini di Adolf Hitler. Quest’uomo si chiamava Franz Jägerstätter, e scelse di testimoniare con la sua vita la sua fedeltà al Vangelo ed il suo rifiuto di seguire l’ideologia e la prassi nazista. Jägerstätter, vissuto in un piccolo villaggio a pochi chilometri dalla Baviera e dai luoghi in cui Joseph Ratzinger ha passato alcuni anni della sua infanzia, è stato proclamato beato da Benedetto XVI. Nel pieno della guerra e del clima di isterica propaganda bellica creato dalle autorità naziste, questo giovane padre di tre figlie, nato e cresciuto a soli trenta chilometri dal villaggio natale di Hitler, ebbe molto chiara nella sua coscienza l’impossibilità per un cristiano di essere soldato in un esercito comandato da un potere iniquo e anticristiano.

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2008

LE ORIGINI

Nel 2000 la commemorazione al Colosseo

A ffidata nel 1993 da Giovanni Paolo II alla comunità di Sant’Egidio la basilica di San Bartolomeo negli anni 1999-2000 divenne sede della Commissione Nuovi Martiri, incaricata da Papa Wojtyla di documentare le vicende dei cristiani che lungo il Novecento hanno reso testimonianza al Vangelo fino all’effusione del sangue. Un lavoro che si inseriva nel processo di aggiornamento dei martirologi sul quale il Papa si era soffermato nella Lettera Apostolica «Tertio Millennio Adveniente» (1994), scrivendo tra l’altro: «Nel nostro secolo sono ritornati i martiri, spesso sconosciuti, quasi 'militi ignoti' della grande causa di Dio. Per quanto è possibile non devono andare perdute nella Chiesa le loro testimonianze. Occorre che le Chiese locali facciano di tutto per non lasciar perire la memoria di quanti hanno subito il martirio, raccogliendo la necessaria documentazione. Ciò non potrà non avere anche un respiro ed una eloquenza ecumenica. L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente». Per ricordare i nuovi martiri, in quel processo di purificazione della memoria, carattere distintivo dell’Anno Giubilare, Giovanni Paolo II presiedette al Colosseo la commemorazione ecumenica dei testimoni della fede del XX secolo (7 maggio 2000). Lo stesso Giovanni Paolo II volle associare la basilica di San Bartolomeo alla memoria degli eroici «testimoni» della fede del Novecento. Con una celebrazione ecumenica presieduta il 12 ottobre 2002 dal cardinale Camillo Ruini, alla presenza del patriarca ortodosso romeno Teoctist, la basilica fu proclamata «luogo memoriale» dei «Nuovi Martiri» del XX secolo.

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2008

IL SEGNO

Venerdì la Messa di suffragio per Rahho

Il 13 marzo scorso furono ritrovate in Iraq le spoglie mortali del compianto arcivescovo di Mosul dei Caldei, monsignor Paulos Faraj Rahho, rapito il 29 febbraio precedente in un sanguinoso scontro che costò la vita ai suoi tre giovani accompagnatori. Ad un mese dal triste evento, sarà il prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, cardinale Leonardo Sandri, a presiedere la Messa di suffragio «in die trigesima» all’altare della Cattedra della Basilica Vaticana, venerdì 11 aprile alle 9. Alla preghiera per il riposo eterno del defunto pastore e di tutte le vittime della guerra irachena, seguirà la fervida implorazione al Signore perché conceda presto la pace, con un ricordo speciale di conforto per gli abitanti di quella nazione e di particolare incoraggiamento per i cristiani che in Iraq, in Terra Santa e in altre regioni del mondo che vivono in condizioni di estrema prova a motivo della fede. La Congregazione per le Chiese orientali rivolge un cordiale invito alla Comunità caldea di Roma, ai superiori e collaboratori della Curia Romana, ai distinti membri del Corpo diplomatico, alle istituzioni culturali e formative dipendenti dal dicastero, alle Comunità religiose maschili e femminili orientali e latine, come ai fedeli perché si uniscano alla celebrazione eucaristica. I sacerdoti che desiderano concelebrare sono pregati di darne avviso alla Congregazione per le Chiese orientali (tel. 06-6988 4281).

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2008

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