8 aprile 2008

Benedetto XVI in visita alla comunità di Sant'Egidio, tra preghiere e canti festosi: «La testimonianza cristiana è non violenta» (Libertà)


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«La testimonianza cristiana è non violenta»

Benedetto XVI in visita alla comunità di Sant'Egidio, tra preghiere e canti festosi

ROMA - Nel XXI secolo, come in ogni epoca, i cristiani possono finire martiri, ma anche in questo secolo, come sempre, la testimonianza del cristiano è soltanto non violenta, di pace, e di vicinanza ai poveri.
È questo il messaggio che il Papa vuole trasmettere con la sua visita alla chiesa romana di San Bartolomeo sull'isola Tiberina, dedicata ai martiri cristiani di ogni confessione e affidata alla Comunità di Sant'Egidio, che quest'anno festeggia i 40 anni della sua attività, impegnata in 70 paesi del mondo contro la povertà e per la pace. Benedetto XVI arriva sull'isola tra un tripudio di bandiere e canti, accolto dal vicario di Roma Camillo Ruini e dai vertici della Comunità, il fondatore Andrea Riccardi, il presidente Marco Impagliazzo, mons. Vincenzo Paglia oggi vescovo di Terni e dagli inizi guida spirituale di Sant'Egidio. Fuori una folla festosa, all'interno della Chiesa anche diplomatici e personalità: c'è Francesco Cossiga, ci sono vari ambasciatori presso la Santa Sede e un ex ambasciatore degli Stati Uniti, Jim Nicholson, oggi ministro per i veterani dell'amministrazione Bush.
Come nel '900, ricorda Benedetto XVI nell'omelia, milioni di persone sono cadute sotto la «brutalità cinica» dei totalitarismi e delle violenze etniche, anche il XXI secolo appena cominciato «si è aperto nel segno del martirio e i cristiani nel mondo «suscitano talvolta un'avversione violenta. È vero - osserva - apparentemente sembra che la violenza, i totalitarismi, la persecuzione, si rivelino più forti, mettendo a tacere la voce dei testimoni della fede, che possono umanamente apparire come sconfitti dalla storia».

Il Papa non cita casi concreti, ma tra le persone che accendono un cero durante la cerimonia c'è Maddalena Santoro, sorella di don Andrea, ucciso a Trebisonda nel 2006 da un fanatico musulmano di nascita, e lui si ferma a salutarla.

E all'interno di San Bartolomeo ci sono sei altari con testimonianze di cristiani uccisi in ogni parte del mondo. C'è il messale di mons. Oscar Arnulfo Romero, ucciso 28 anni fa dagli squadroni della morte salvadoregni mentre diceva messa, c'è lo scapolare del prete ortodosso rumeno Sofian Boghiu, una delle prime vittime dell'ateismo da rivoluzione russa, c'è la lettera del contadino bavarese Franz Jaegerstaetter che spiega alla moglie perchè non può obbedire ai nazisti e c'è la bibbia di Evariste Kagorora, ucciso nel '94 nel massacro della chiesa della Sacra Famiglia a Kigali, in Ruanda. Una icona sull'altare maggiore mette insieme Martin Luther King e Romero, Dietrich Bonhoeffer, pastore protestante ucciso a Dachau, e Tichon, il primo martire della chiesa ortodossa moscovita dopo la rivoluzione russa. È dunque nel ricordo dei martiri il primo incontro ufficiale tra Benedetto XVI e la Comunità di Sant'Egidio, a cui nel '95 papa Wojtyla ha affidato la chiesa sul Tevere che custodisce reliquie dei martiri e la documentazione di 13.000 vittime del '900 e del 2000, unico memoriale ecumenico al mondo, per cattolici, protestanti ed ortodossi. Neppure un chilometro in linea d'aria separa il Vaticano da San Bartolomeo, a pochi passi dal ghetto e dalla sinagoga; per la visita del Papa si approntano misure di sicurezza, con limitazioni al traffico e la deviazione di tre linee Atac. Circa ottomila persone seguono sul sagrato e sui ponti vicini, grazie a maxischermi. Prima di andar via, all'aperto, il Papa saluta anche i malati del Fatebenefratelli e i presenti e dice «grazie» per la «attenzione agli ultimi che contraddistingue la comunità».

© Copyright Libertà, 8 aprile 2008

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