4 agosto 2007

Lettera del Papa alla Cina: un'analisi di Paolo Merenda


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di Paolo Merenda

Con la "Lettera ai Vescovi, ai Presbiteri, alle Persone Consacrate e ai Fedeli Laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese", che porta la data della domenica di Pentecoste, ma è stata resa pubblica soltanto alla fine di giugno, il Papa Benedetto XVI, quale successore di Pietro e pastore universale della chiesa, esprime la sua vicinanza a tutti i cattolici di quel paese e li esorta a continuare, senza paura, a diffondere il messaggio di Gesù Cristo, che è un messaggio che supera i criteri politici e la dialettica storica, in quanto trascende la persona umana e la proietta in quel Regno dei cieli, che per il credente, diventa la perla preziosa, il tesoro nascosto, il “luogo” dove si compirà in pienezza l'essere dell'uomo, immagine e somiglianza di Dio. La Lettera non nasce d'improvviso, ma è la conseguenza di quanto è stato fatto in Vaticano il 19-20 gennaio 2007, una riunione, convocata dal Santo Padre, con la partecipazione di esperti del mondo cinese e con ecclesiastici anche cinesi, al fine di creare un ampio dibattito e di raccogliere indicazioni e osservazioni da parte dei convocati.

Il Santo Padre partecipe all'ultima parte del dibattito, ha deciso di indirizzare una sua Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle perone consacrate e ai fedeli laici cinesi. Da un'attenta lettura del testo emergono due linee di pensiero: da una parte l'affetto del Papa per tutta la comunità cattolica cinese e, dall'altra parte, l'attaccamento e la fedeltà alla Ecclesiologia del Vaticano II e il richiamo alla lunga e appassionata Tradizione della Chiesa cattolica. Benedetto XVI espone il tutto in un orizzonte teologico e pastorale. Questa lettera rappresenta un momento di verità, nei rapporti Cina/Santa Sede, rapporti che hanno ragion d'essere e fondamento etico, in quanto la Chiesa è chiamata a sostenere, accogliere e difendere quanti in essa si riconoscono e quanti nel Messaggio di Cristo hanno trovato la via, la verità e la vita del proprio vissuto quotidiano. Il Papa ha quindi tutto il dovere pastorale, morale e apostolico di orientare le coscienze dei cristiani cattolici, a qualsiasi contesto storico/culturale essi appartengano. Il messaggio petrino supera gli spazi e i tempi umani, pur restando incarnato nella storia di tutti e di ciascuno.

Il Santo Padre, fa poi un'analisi storica della Cina, e richiama i cattolici cinesi a quello che deve essere il loro impegno nella società civile. Impegno, afferma Benedetto XVI, che non ha come scopo il cambiamento della struttura o l'amministrazione dello stato, bensì di annunciare agli uomini il Cristo. A questo proposito vorrei mettere in risalto un principio che dovrebbe caratterizzare la vita dell'uomo di fede, il principio “dell'annuncio senza pretesa ”. Il cristiano è chiamato ad annunciare sempre e dovunque il messaggio di Cristo. Senza paura il cristiano dovrebbe annunciare al mondo la Verità, ma senza la pretesa di cambiare con le proprie mani le strutture umane. E' la potenza di Dio che cambia le cose, che trasforma le coscienze. Ai cattolici cinesi, il Papa ricorda quanto egli stesso scrive nella sua prima enciclica Deus caritas est «la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare.

La società giusta non può essere opera della Chiesa ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente”. Un testo lungo e articolato, dunque, che parla ai milioni di cattolici che vivono in Cina. La lettera sviscera tutte le problematiche della vita e della missione della Chiesa in Cina e affronta "sia temi pastorali che dottrinali". Primo fra tutti, la questione delle ordinazioni episcopali che non potranno prescindere dalla legittimazione del Papa e della Santa Sede. Cina e Vaticano non hanno relazioni diplomatiche dal 1951, quando il Nunzio Apostolico fu espulso e si rifugiò a Taiwan. Pechino ha sempre chiesto come precondizione al dialogo la rottura dei contatti con Taiwan e soprattutto la rinuncia di Roma a gestire quelli che il regime cinese ritiene “affari interni” dello stato, ovvero la nomina dei vescovi. Contrasti che nel tempo hanno portato alla divisione (più politica che dottrinale) tra cattolici della Chiesa “patriottica” controllata da un organismo statale (quattro milioni di fedeli stimati) e una Chiesa clandestina fedele al papa (dieci milioni).

Da queste considerazione che sono l'oggetto su cui si sofferma la riflessione del Papa, scaturisce il tema, potremmo dire centrale della missiva, che è quello dell'unità della Chiesa. In passato, vi erano stati altri tentativi di riavvicinamento tra Chiesa di Roma e Cina, Giovanni Paolo II aveva cercato e voluto con tutte le sue forze di stabilire rapporti con il mondo cinese, ma i suoi tentativi, apparentemente non portarono alcun frutto. Oggi, è Benedetto XVI, che tende la mano e richiama i cattolici cinesi alla fedeltà a Gesù Cristo e alla testimonianza della fede che dicono di professare. La delicatezza del Papa è senza misura, così come il suo affetto pastorale, che si evince non solo nel linguaggio che usa ma anche nell'impostazione data alla missiva. Lo scopo di questa Lettera nasce, dunque, dalla consapevolezza profetica del Santo Padre che la normalizzazione della vita della Chiesa in Cina possa dare un contributo sostanziale al processo di pace nel mondo e alla convivenza pacifica tra i popoli.

© Copyright L'Opinione, 3 agosto 2007

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