27 novembre 2007

Barbara Spinelli colpisce ancora (con l'appoggio di anonimi conigli): Benedetto XVI mette in questione le conquiste del Concilio


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Il grande inverno della Chiesa

Finito l’”ecumenismo delle coccole”: Benedetto XVI incoraggia tutti a difendere le proprie convinzioni

BARBARA SPINELLI

Nell’ultima assemblea ecumenica europea, che si è svolta nel settembre scorso a Sibiu in Romania, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, ha pronunciato sul futuro del dialogo tra cristiani un giudizio che voleva esser costruttivo ed è apparso perentorio: «E’ finito l’ecumenismo delle coccole», ha detto, invitando a un confronto che non abbia le gentilezze delle conversazioni.
E’ necessario che ognuno affermi con determinazione le proprie idee dottrinali ed etiche, senza temere di urtare l’interlocutore: la divisione tra cristiani, che secondo Kasper spiega l’Europa senza Dio e il suo «danzare sulla cima d’un vulcano o d’una polveriera», può esser superata solo se essi si accordano su un «insieme di principi basilari».
Il cardinale invoca l’unione ma è chiaro che un’epoca si chiude, contrassegnata dall’entusiasmo ecumenico acceso dal Concilio Vaticano II e da parziali realizzazioni. Si continuerà a parlare di ecumenismo, ma oggi i cristianesimi tendono a rinchiudersi nei recinti delle rispettive identità, spesso nazionali. In una Lettera agli Amici scritta nel 1992, i monaci di Bose avevano già messo in guardia contro il rischio di simili chiusure, denunciando il calare d’un «grande inverno dell’ecumenismo» e la tendenza sempre più estesa a «essere più cattolici, più ortodossi, più protestanti che cristiani».
Sono tante le conquiste del Concilio che il nuovo Pontefice ha cominciato a mettere in questione, con una veemenza che secondo alcuni indica non solo l’aspirazione a precisare cose divenute poco chiare, ma un più sotterraneo desiderio di regolare i conti con se stesso.
Secondo lo storico Alberto Melloni, Benedetto XVI non cessa di essere «l’esegeta di Joseph Ratzinger», tornando e ritornando sulle proprie esperienze e convinzioni degli Anni 60. E’ quello che lo ha spinto ad attaccare la «situazione estremamente confusa e irrequieta» che regnava nel ‘68 dentro il clero oltre che nella società: confusione cui lui stesso confessa d’aver partecipato, in un’intervista a Johannes Nebel (Corriere della Sera, 20-10-07). Che alla fine di giugno lo ha indotto a sottolineare per la seconda volta, dopo la dichiarazione Dominus Iesus redatta nel 2000 in nome della Congregazione per la dottrina della fede, come solo la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse abbiano il diritto di chiamarsi Chiesa (una sottolineatura che ha spazientito i protestanti, anche se fin dal Concilio alcune loro comunità rifiutano il nome di Chiese). Che lo ha convinto ad assecondare su alcuni punti (la messa tridentina) gli scismatici di Lefebvre che da principio osteggiano la svolta conciliare.
L’insistere instancabile su alcuni valori etici, riguardanti soprattutto la famiglia, la nascita, la morte, nasce da una visione del mondo che non coincide sempre con quella del Concilio: è una visione che misura la fedeltà a Cristo su norme che non possono esser violate pena un giudizio da parte del magistero che declassa religioni e culture diverse, e che sembra ritenere tale fedeltà normativa più preziosa dell’apertura all’altro, della carità verso il diverso. La stessa parola valori è scabrosa, e quel che dice il giurista Gustavo Zagrebelsky fa meditare: i valori ci stanno davanti, possono condurre a giustificare qualunque mezzo per raggiungerli. Meglio «principi»: che stanno alle nostre spalle, all’origine del nostro agire, e lo determinano, orientano e limitano.
In Italia questi valori – detti non negoziabili – sono divenuti cagione di uno scontro aspro con lo Stato, non diversamente da quanto accade in Spagna o Brasile. La secolarizzazione delle società europee, il desiderio di non perdere il controllo dell’America Latina, il timore che la persona umana diventi vittima del progresso scientifico e tecnologico nel momento in cui più lo controlla: le sfide non sono nuove, e il magistero sente il bisogno di un’antropologia che sia all’altezza del nuovo mondo che l’uomo pensa di creare e che rischia invece di subire. Nobile bisogno, se non fosse che le conclusioni cui giunge la Chiesa sono scarne, in qualche modo inadeguate all’enorme compito. Se non si concentrassero su prescrizioni che sembrano tutelare un cosmo già frantumato. Non hanno il respiro lungo dei testi di Romano Guardini, il teologo che già negli Anni Venti parlava di un mondo che l’uomo non padroneggia più, e che deve tornare a padroneggiare – cioè umanizzare – aderendo alla storia e al suo mutare («Il nostro posto è nel divenire», scrive Guardini, «il nuovo mondo è caotico e agisce da distruttore perché l’uomo idoneo a vivere insieme a lui non esiste ancora.(...) Si deve trovare la forza di sacrificare con cuore saldo l’indicibile nobiltà del passato» (Lettere dal Lago di Como, Morcelliana ‘59).
Veri pensatori della rivoluzione tecnologica la Chiesa per il momento non ne ha. Per il momento è più forte la tentazione di rifugiarsi in posizioni dogmatiche, e in particolare nell’idea che esista un vasto campo di diritti naturali, divini, sui quali i governi terreni non possono, con leggi positive, intervenire. Per il momento non sembra esserci che un discorso sulle competenze, dunque sul rapporto di forza tra il magistero e gli Stati. E’ come se la Chiesa di Roma, sentendosi ormai minoritaria in un mondo troppo complesso, cercasse riparo nella conquista-esercizio d’un potere di veto. Anche questo è un prender le distanze dalla tensione meno angosciata, più tranquilla, che indusse la Chiesa del Concilio – specialmente nella costituzione pastorale Gaudium et Spes (1965) – a riconoscere «legittima autonomia alle realtà terrene», e alle «leggi e valori propri» che da queste realtà scaturiscono.
Il Concilio diventa qualcosa che non è più incandescente: che va raffreddato, forse rallentato. Che suscita troppe diversità, sperimentazioni.
Oggi urge ribadire la continuità di quell’evento, più che la sua discontinuità e rottura (rottura che pure vi fu: basti ricordare il mutamento nei rapporti con l’ebraismo). Chi parlava fino agli Anni 80 di «rivoluzione copernicana», nelle gerarchie, non ne parla più. Il rapporto della Chiesa con i propri Anni 60 fa pensare al rapporto che il Vaticano ebbe con la rivoluzione protestante, nel XVI secolo al Concilio di Trento. E’ ora di riaccentrare a Roma poteri, autorità, sovranità. Il cardinale Karl Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha tentato di limitare i danni: in settembre, a Fulda, ha precisato che l’idea della Chiesa di Cristo che «sussiste» solo nella Chiesa romana non «contiene in alcun modo un giudizio di identità assoluta ed esclusiva».
Il difficile accostarsi della Chiesa al protestantesimo non appiana il suo accostarsi alle società secolarizzate, inclusa la società italiana. Vero è che nel nostro Meridione la Chiesa è in ripresa: soprattutto in Sicilia, Campania, Calabria, Puglia (il 30-35 per cento dei cittadini va a messa). Resta forte anche in Lombardia-Veneto, con un tasso di frequentazione del 30 per cento, e in Emilia, dove esiste una militanza cattolica formatasi nel conflitto con il comunismo. Ma la Chiesa è oggi debolissima in Piemonte, Val d’Aosta, Liguria, Toscana, Umbria, con tassi di frequentazione della messa del 15 per cento. La battaglia sui valori dà frutti a Sud, né dà assai meno al Centro-Nord. Ed è qui che la Chiesa, innalzando muri attorno ai valori, rischia di affiancare all’inverno dell’ecumenismo un inverno non dissimile nei rapporti con la società.
Molti sacerdoti con cui parlo sono convinti che sul piano pastorale, proprio come nel dialogo ecumenico, l’etica non rafforzi necessariamente la fede. Che non svegli le coscienze questo tornare a parlar di «gregge», questa sfiducia nella capacità del singolo di vigilare se stesso. Dice ad esempio Guido Dotti, monaco della comunità di Bose, che l’ecumenismo, se si basa solo sull’etica, conduce a una comune afasia. Troppo divergenti sono le norme difese da altre religioni, culture. Troppo trascurato è il momento veramente unificante, che s’identifica con la fede e non con una determinata condotta: «La ricerca di intesa sull’etica (comunque non facile, come dimostra la tensione sulla difesa della vita) è bene che si allarghi alle altre religioni e ai non credenti – ha detto Guido Dotti dopo l’assemblea di Sibiu, in un’intervista che uscirà sul trimestrale Interdipendenze – e tuttavia non potrà mai portare a una comunione ecclesiale. Questa mi pare l’impasse dell’ecumenismo oggi». La stessa impasse regna nella società.
E’ un’inquietudine che ho incontrato di frequente, nello studiare la Chiesa italiana d’oggi. L’etica è diventata un mezzo cui la Chiesa ricorre per contare e contarsi, nell’agorà politica e giornalistica. Proprio questo tuttavia la conduce a divenire lobby, come scriveva lo storico Pietro Scoppola; o a tramutarsi in «agenzia etica», come paventa qualche vescovo. L’inquietudine l’ho constatata anche nelle parrocchie: i sacerdoti sentono, spesso, l’inadeguatezza della politica dei valori, sono alle prese con una società più varia e scristianizzata, soffrono le scelte di una gerarchia che si concentra sui rapporti con politici e giornali ma sembra aver poco tempo per cittadini e fedeli che hanno la sensazione di essere inascoltati, se non abbandonati. Sono ascoltati i movimenti, e in particolare i più politicizzati (a cominciare da Comunione e Liberazione). Sono stati meno ascoltati nell’ultimo decennio gli organismi con forti radici sociali, come la Caritas nata in Italia dopo il Concilio.
In una chiesa a Roma parlo con un sacerdote che chiede di non essere citato, e mi confessa che lui, di etica, non parla mai nei sermoni. Non parla di controllo delle nascite né di morte assistita né di famiglia: avrebbe l’impressione di schierarsi politicamente, di trasformare il popolo di Dio (dunque la Chiesa) in una pedina di giochi che si fanno altrove: conferma così che l’etica è divenuta un campo di lotta politica. «La mia stella polare è la figura di Zaccheo, in Luca 19,1-10: il ricco esattore delle tasse che s’arrampica su un sicomoro solo per vedere com’è fatto questo Gesù di cui si dicono tante cose in giro. Solo quando Gesù lo riconosce, lo interpella, lo visita nella sua casa, Zaccheo capisce che dall’incontro nascerà anche un nuovo modo d’agire, un’etica: darà la metà dei suoi beni ai poveri, se avrà frodato qualcuno restituirà quattro volte tanto». E’ l’incontro a generare la morale cristiana e non viceversa, mi dice il sacerdote: l’incontro di Gesù con l’ultimo, il povero, o il ricco esattore. Gesù riconosce il folle desiderio d’incontro, in Zaccheo: chi s’arrampicherebbe, ricco e stimato, su un sicomoro nel mezzo della folla? Gesù riconosce l’inquietudine, e d’inquietudine è fatta la fede. L’inquietudine spirituale o etica che può avere un ateo, ha scritto recentemente Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose (La Repubblica, 28-2-07). L’inquietudine del pastore errante di Leopardi che interroga la luna sul senso dell’esistere, aggiunge il sacerdote che incontro a Roma e mi ricorda quel che disse un giorno Divo Barsotti, fondatore della Comunità dei Figli di Dio: «Manzoni è più cattolico, ma Leopardi è più religioso».
Le difficoltà che nascono dalla nuova condizione di minoranza vissuta dal cattolicesimo sono percepite diffusamente, in Italia. Benedetto XVI stesso, mi fanno sapere, «è persuaso che si possa fare pochissimo» per cambiare le cose. Di qui l’aspirazione, tenace in molti sacerdoti e vescovi, a dare più spazio all’annuncio e alla profezia che non alle regole etiche. Di occuparsi della vita intera della persona umana, e non solo dei nove mesi prima della nascita e dei nove prima della morte. Sono scelte che comportano il distacco da quello che solo in apparenza dà forza alla Chiesa: l’apparire sui media, l’applauso di questo o quel politico o intellettuale. Una Chiesa che dipende dai media ha bisogno d’arroccarsi, di mostrarsi più compatta e impenetrabile di quanto ne abbia bisogno pastoralmente. Il rifiuto dei funerali religiosi a Welby è nato dal timore dell’uso che i giornali ne avrebbero fatto, e questo timore è diventato infinitamente più importante della carità, del chinarsi sulla sofferenza dell’uomo. La verità, conclude Melloni, è che per gran parte delle gerarchie quod non est in video non est in mundo: «Quel che non esiste sul video non esiste nel mondo. E’ come se non esistessero i 7 milioni di italiani che vanno in chiesa. A volte si ha l’impressione che conti poco perfino la fede». All’assemblea di Sibiu, il pastore Thomas Wipf, presidente della Comunità delle chiese protestanti in Europa, ha auspicato che le chiese contribuiscano alla costruzione di una nuova Europa, ma non con l’obiettivo segreto di farne nuovamente un continente cristiano: «L’Europa non ha bisogno di religione. Non ha neanche bisogno di cristianità né delle Chiese. L’Europa ha bisogno del Vangelo perché ha bisogno di riconciliazione e di speranza, e quel che ci deve interessare è (...) un’Europa umana, giusta e pacifica». Guido Dotti non è del tutto d’accordo. Valori come la pace, la vita, la giustizia non sono specificamente cristiani, ricorda nell’intervista a Interdipendenze: «Ciò che ci deve stare a cuore, è che Cristo sia annunciato e testimoniato all’interno di un’Europa umana, giusta e pacifica. Altrimenti cadiamo nella ricerca di un mero accordo etico su alcune istanze - come la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato - e dimentichiamo che lo ricerchiamo in quanto crediamo in Gesù risorto e annunciamo il suo Vangelo. Se l’Europa ha bisogno del Vangelo, occorre qualcuno che l’annunci. Conosco moltissimi non cristiani che hanno a cuore un’Europa giusta, umana e pacifica, e non per questo devono diventare cristiani».
La battaglia sui valori rischia di trasformare la Chiesa in strumento, adoperato da politici ansiosi di gareggiare su chi otterrà più assensi oltre Tevere. Ma una Chiesa che cerchi aiuto per queste vie faticherà a essere ascoltata. Il sostegno che viene da intellettuali che adoperano la Chiesa politicamente anziché religiosamente è utile, ma non più di un giorno o due.
Per la società ritrovare l’etica è urgente. Ma a volte si tratta di limitare i danni e ottenere il male minore, più che di trovare il Bene assoluto. Si tratta di tenere i piedi ben piantati nella storia, come nel mito del gigante – Anteo – condannato a morire se non toccava più la terra. Diceva Dietrich Bonhoeffer, negli anni in cui resisteva al nazismo, che la sete di redenzione ha tanta forza perché – come nel mito – si rivolge alla terra e non all’aldilà. Che bisogna imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno: così il pastore ucciso da Hitler è evocato nell’ultimo libro del teologo Giuseppe Ruggieri, La verità crocifissa (Carocci 2007). Bonhoeffer sosteneva che si vive dinanzi a Dio in un mondo senza Dio, e questo è credere in grande.
Uno dei primi modestissimi passi, a mio parere, è stare attenti al proprio vocabolario: perché le parole non descrivono il mondo ma lo creano, gli danno il particolare profumo e colore che ha. Una parola da eliminare è: non-credenti. Ci sono grandissimi credenti fra chi non ha religione. Ci sono credenti deboli tra chi la religione ce l’ha, a cominciare dai fondamentalisti e tradizionalisti. Già Gesù lo dice a più riprese nei vangeli, quando loda la fede che trova presso pagani, samaritani, siro-fenici. O quando apostrofa come «ipocriti» gli uomini religiosi del suo tempo.
(3 - fine)

© Copyright La Stampa, 27 novembre 2007

Mamma mia, per fortuna e' finita! Vi confesso di non avere letto con l'attenzione necessaria questo articolo, soprattutto dal punto in cui la sedicente inchiesta (fatta ascoltando personaggi "coniglieschi" sempre e comunque rigorosamente anonimi) si trasforma in sermone.
Cara Spinelli, se voglio sentire un'omelia vado in Chiesa e non ho certo bisogno di Lei che mi parla di Gesu'. Ma davvero pensa di sapere interpretare le Scritture meglio della Chiesa? Suvvia! E pensa forse che Melloni ne sappia del Concilio piu' del Papa che era presente fisicamente? Suvvia!
E veniamo al punto in cui sia Lei sia Melloni cadete nel trappolone. Vi aspettavo al varco ed eccovi li'!
Indicate Papa Benedetto XVI come il "responsabile unico" della Dominus Iesus e del "Documento della Congregazione della Dottrina della Fede "Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa" perche' il vostro intento e' quello di dimostrare che Joseph Ratzinger e' un reazionario, che ha fatto tornare indietro la Chiesa in campo ecumenico (e non solo!).
Beh, tutto cio' e' incoerente.
Se l'allora cardinale Ratzinger e' il "responsabile" della Dominus Iesus significa che voi, Spinelli e Melloni, state "esentando da ogni colpa" (colpa dal vostro punto di vista, non certo dal mio!) l'allora Papa regnante, Giovanni Paolo II.
Secondo il vostro ragionamento e' il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede l'unico redattore di questo tipo di documenti. Poco importa che essi debbano essere, comunque, approvati dal Santo Padre.
Bene! Mi spiegate perche', allora, non fate lo stesso ragionamento sulla nota della "sussistenza"? Perche' non date la "colpa" al cardinale Levada, oggi Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede?
Perche', ancora una volta, puntate il dito contro Benedetto XVI, gia' cardinale Ratzinger?
Non c'e' contraddizione nel vostro ragionamento?
Evidentemente volete regolare i conti (come direbbe Melloni) solo con Benedetto, o sbaglio?
Per di piu' sia la Dominus Iesus sia il documento sulla sussistenza affondano le radici nei documenti del Concilio, in particolare nella Lumen gentium, nella Unitatis redintegratio, nella Orientalium Ecclesiarum oltre che in due encicliche di Paolo VI e Giovanni Paolo II.

E veniamo ad un'altra amenita'. Il motu proprio Summorum Pontificum non e' stato redatto per fare un favore ai Lefebvriani ma per ristabilire la COMUNIONE fra tutti i Cattolici, compresi i tanto vituperati soggetti che "si vestono dal rigattiere", per usare le parole sprezzanti di Di Giacomo.
Anzi! Il motu proprio mira anche a frenare l'esodo verso i gruppi scismatici. Ed e' un peccato che commentatori e, purtroppo, vescovi e sacerdoti non ne afferrino la portata.
La Chiesa dipende dai media? Che cosa? Benedetto XVI ha bisogno dei media?
Questa non l'avevo mai sentita! No! Papa Ratzinger va avanti nonostante i media!
Se la Chiesa avesse voluto essere "lisciata", coccolata, esaltata avrebbe accettato di fare i funerali a Welby, non il contrario!
Il cardinale Kasper non si e' espresso nei termini indicati nell'articolo. Si veda qui.

Leggo infine
:

"Le difficoltà che nascono dalla nuova condizione di minoranza vissuta dal cattolicesimo sono percepite diffusamente, in Italia. Benedetto XVI stesso, mi fanno sapere, «è persuaso che si possa fare pochissimo» per cambiare le cose"

Chi Le fa sapere, cara Spinelli? I coniglietti? E chi sono? Fuori i nomi, altrimenti una frase del genere non ha senso e non e' credibile.
Infatti, perche' Benedetto si darebbe tanta pena se "tanto" e' tempo perso? Suvvia! La Chiesa non ragiona in termini di consenso immediato!
Credo che ci sarebbe altro da dire, ma lascio a voi la lettura del sermone
:-)
Raffaella

5 commenti:

mariateresa ha detto...

Guarda, cara Raffaella, l'ho letto di striscio anch'io, sono nè più né meno le opinioni di Melloni, firmate Spinelli.
Non sono d'accordo con questa analisi che trovo spudoratamente unilaterale.Il titolo è cretino.
Tutte le tue osservazioni sono vere, ma è inutile stare a discutere e a perdere tempo.
Ma la cosa che mi fa montare il fumo agli occhi è il processo alle intenzioni del papa, con tanto di analisi psicologica del tubo: vuole fare i conti con se stesso, con il suo passato.
Ma è un discorso serio questo?
Adesso abbiamo anche il dopolavoro dei Freud a buonmercato.
Non vale la pena di perdere tempo con questa gente, li metto tutti nel mucchio perchè dicono tutti le stesse cose, cambiando firma, neanche al Comintern.
Essere scesi però a livello di leggere gli atti di un pontificato utilizzando delle finte introspezioni psicologiche è, secondo me, un espediente penoso.
E' come se scrivessimo che Melloni scrive le cose che scrive perchè sua moglie è scappata con un prete.
Che pena.
L'inchiesta Spinelli non è un'inchiesta, è un editoriale lungo pieno di luoghi comuni e della solita linea suggerita dai soliti personaggi.
Non ne condivido nè i contenuti, né il tono.
Forse solo la punteggiatura.

malapenna ha detto...

ad una prima lettura mi stupiscono:
la citazione su Guardini che evidentemente la signora giornalista ha letto attentamente e conosce meglio di Ratzinger;
il dato sulla scarsa affluenza in chiesa riguardante regioni come Liguria, Piemonte, Toscana...proprio quelle in cui operano sacerdoti tanto "moderni" e distanti dal Magistero (non suggerisce nulla questo? In realtà, è proprio lì che avrebbe dovuto esserci un "tripudio" conciliare con grande partecipazione di fedeli al presunto nuovo);
il fatto che Ratzinger venga ritenuto sempre e comunque responsabile sia del suo papato che di quello del predecessore, peraltro spesso definito trionfale, come se il calo dei fedeli fosse cosa degli ultimi due anni.
Troppe citazioni di quel di Bose poi, mi fanno capire il tutto e archiviare come un già letto e già visto. Sarebbe bastato dirlo fin dalla prima puntata, ci saremmo risparmiate il finale, tanto è sempre quello e non è farina del sacco dell'esegesi della signora Spinelli.

mariateresa ha detto...

Ci sarebbero un mucchio di cose da dire a guardare e considerare l'articolo di fino, ma come si fa?
Non ho fatto l'antirabbica.
Avevo notato la citazione di Guardini, un espediente veramente infantile, se c'è un autore amato da Benedetto questo è Guardini. E' una caratteristica di Melloni di usare gli argomenti migliori dell'avversario per farseli propri.
Il fatto è che questo commentatore continua a mescolare il suo brodo su tutti i quotidiani come se non ne esistesse un altro da intervistare. Già questo è screditante.
Lui è il jukebox dei laici.
Spingi un bottone e fuori il solfone che può essere prestato, alla bisogna, ad amici e parenti.
Eppure non c'è niente di meno laico di questo pensiero unico.

Anonimo ha detto...

Premesso che, non voglio più rovinarmi il fegato per simili articoli che sono la prova evidente che il Papato di Benedetto XVI sta dando ottimi risultati vista la reazione scomposta e inconsulta di certi giornalisti ( che poi sono sempre gli stessi ), voglio soffermarmi su un aspetto fondamentele che malapenna a suo tempo ha evidenziato, riguardo a tutto ciò che succedeva nel Papato di Giovanni Paolo II e questo lo faccio, in relazione alla Dominus Jesus. Infatti, forse è bene ricordare a questi signori, che tutte ( diciamo così ) le patate bollenti del pontificato di Giovanni Paolo II, venivano costantemente smistate alla Congregazione per la Dottrina della Fede di cui per grazia di Dio il prefetto era un certo Joseph Ratzinger e sapientemente gestite cosa che in questo momento non avviene. Questo deve essere chiaro una volta per tutte perchè mentre c'era chi si adoperava giustamente nei suoi viaggi come pastore, c'era chi in Vaticano, si prendeva gli improperi dalla stampa come oggi, per mettere i puntini sulle i su argomenti fondamentali ed importanti come fece nella stesura della famigerata Dominus Jesus che per giunta, Giovanni Paolo II, ancora in possesso delle sue capacità intellettive, firmò senza esitazione come firmò tanti altri documenti comprese alcune encicliche e non solo ma, ne fece argomento in un suo Angelus difendendo l'operato del suo amico fidato e Prefetto e dato che in più di un'occasione si è definito importante e direi " irripetibile " quel papato, il merito non è solo di chi ha viaggiato ma, anche di colui che di tanti documenti di quel papato ne è stato l'autore o l'ispiratore in barba alle crittiche ed agli attacchi di certi giornalisti e pensatori che lasciano il tempo che trovano. Non voglio neanche soffermarmi sulle presunte diagnosi di personalità su Benedetto XVI, fatte da altrettanto presunti ed improvvisati psicologi. La realtà cari signori Melloni e Spinelli ( tanto se non è zuppa è pan bagnato) è che il vostro risentimento verso una persona già da voi odiata nel vero senso del termine è dato dal fatto che questa persona sta riportando anche se a piccoli passi ed attraverso difficoltà innegabili ( grazie ai boicottaggi non solo giornalistici ma, anche interni ), risultati che nessuno di voi avrebbe mai immaginato. Papa Benedetto non ha bisogno di televisione, ne delle coccole false di certi giornali per raggiungere i suoi obiettivi che definirei importantissimi e che sicuramente risulterebbero irraggiungibili per altri. Consumate il vostro inchiostro per altri argomenti che non siano Benedetto XVI ed il suo papato; visto che siccome siete a corto di argomenti, rimestate nel torbido e servite una minestra a chi legge, che non solo è riscaldata ma è diventata stracotta e immangiabile.
Dante Alighieri

Anonimo ha detto...

Avevo scritto un mio post sull'argomento ma, nonostante avessi fatto le procedure richieste, non lo vedo inserito. Potete dirmi perchè?

Dante Alighieri