22 novembre 2007

La seconda inchiesta di Barbara Spinelli per "La Stampa": il confronto fra i due Papi (che cosa vi avevo detto?) :-)


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Eccoci alla seconda inchiesta di Barbara Spinelli per "La Stampa" (qui potete leggere la prima). Purtroppo quel "continua" lascia intravedere nuovi "scoop"...pazienza...siamo qui per divertirci :-))
Che cosa vi avevo detto la volta scorsa? Forse che la Spinelli avrebbe paragonato (che noia, che barba...) Papa Benedetto al suo predecessore? Eccoci serviti :-)
Leggiamo e commentiamo con gioia
...
Raffaella

La Chiesa e le tentazioni del dopo-Dc

Unità politica o ispirazione etica
La fermezza di Benedetto XVI


BARBARA SPINELLI

Nonostante le numerose critiche che le vengono rivolte, la Chiesa in Italia appare a un primo sguardo sicura di sé, animata da certezze intense su questioni che per molti non sono così certe. Appariva tale anche nei ventisette anni trascorsi sotto la guida di Giovanni Paolo II, ma Benedetto XVI trasmette un'immagine di sé ancora più ferma, nitida. È la diligente impalcatura dottrinale che crea quest'impressione di saldezza: i valori etici su cui il magistero non vuol negoziare sembrano moltiplicarsi, irrigidirsi. Dedito soprattutto a insegnare, concentrato sulla teologia, il Papa tedesco ha qualcosa di dimesso e tanto più granitico, imperturbato.

Sul punto più critico della laicità - quello dei comportamenti morali che secondo la Chiesa appartengono alla sfera dei diritti naturali e divini, non negoziabili perché su essi lo Stato non può legiferare - le opinioni dei due Pontefici coincidono.
Ma Giovanni Paolo II aveva un modo speciale di accordare sapienza e «dotta ignoranza». Gianfranco Brunelli, direttore della rivista Il Regno, lo evoca così: «Egli aveva una visione politica del papato, fortemente calata nella storia e dunque in grado di modificare e adattare le risposte della Chiesa. C'era in lui la convinzione che il cristianesimo non può fare a meno della dimensione orizzontale e organizzativa, ma che non può perdere - pena smarrire se stesso - la verticalità dell'annuncio e della profezia. Egli non scelse mai univocamente tra istituzione e annuncio, cercò di tenere assieme per così dire i due contrari e questo metodo aperto, meno evidente nel suo successore, più capace di una propria prospettiva teologica, fu benefico per la Chiesa e l'Italia».

Tanta inflessibilità non nasce tuttavia solo da sicurezza, come tutte le inflessibilità. È una forza che impressiona e trascina ma scaturisce da un pessimismo che in Benedetto XVI è profondo, e sul quale più volte viene richiamata la mia attenzione.

I miei interlocutori mi parlano di vere angosce (alcuni usano la parola ossessioni) che non riguardano solo l'Italia: angoscia di una possibile uscita del cristianesimo dall'Europa, angoscia di una perdita d'autorità, di una caduta nell'irrilevanza.

Il disagio nel rapporto Stato-Chiesa, simultaneo in due paesi anticamente cattolici come Spagna e Italia, dilaterebbe questo stato d'animo. Non sono dimenticabili le parole terribili che il cardinale Ratzinger scrisse per Giovanni Paolo II nel 2005, in occasione della Via Crucis: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! (...) Signore, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!».

È il motivo per cui credo che quello che l'occhio percepisce oggi guardando la Chiesa - l'insistere del Pontefice sulle «confusioni» dello spirito postconciliare, gli arretramenti su questioni controverse come la liturgia e il dialogo ecumenico con le chiese protestanti, le pressioni sullo Stato italiano perché non legiferi su alcune questioni etiche - sia solo una parte della sua verità. L'altra parte è il mal-essere in cui la Chiesa si trova, la fatica di trovare una strada che l'aiuti a distendere i rapporti con la politica, che combini di nuovo il potere con l'autorevolezza, che nel caso italiano trasformi la diaspora del dopo-Dc in un'occasione di ripresa e non di sfiducia.

Da Mani Pulite

Giacché questo è il trauma che affligge gli uomini di Chiesa in Italia. Mani Pulite e la nascita del bipolarismo sono eventi ormai scontati per chi fa politica e la commenta, ma per il mondo ecclesiastico la ferita è attualissima e non rimarginata. La Chiesa è nel mezzo del cammino di guarigione, se ci sarà guarigione, e lo sta percorrendo senza certezze granitiche e con sforzi non subito visibili. Ho potuto constatarlo parlando con chi è ansioso di cercare l'itinerario giusto, e imboccarlo.

Tutto cominciò nei tempi torbidi che l'Italia conobbe prima che apparisse Tangentopoli: tempi torbidi perché la Dc era stata una presenza rassicurante, e stava ora tramontando. Il partito cattolico rappresentava la Chiesa, e questo le dava libertà di movimento e anche una certa indifferenza al ruvido quotidiano della politica. Era una formazione che aveva la giusta dose di attenzione agli interessi ecclesiastici ma che era ben attenta a fissare limiti laici fermi, e al tempo stesso affidabili, prevedibili. Non erano mancati scontri duri, che avevano visto contrapporsi la Chiesa e grandi democristiani come Sturzo o De Gasperi. Ma la complessità del legame oltre a essere una garanzia semplificava l'esistenza ecclesiastica. La crisi venne quando quest'architettura si sfaldò, e fu allora che iniziò il travaglio.
L'appuntamento decisivo avvenne prima che la Dc scomparisse. Era il 1985, e a Loreto si riunì un convegno ecclesiale per discutere il rapporto futuro con la politica in Italia. La Chiesa si divise, e inizialmente non furono i riformatori a vincere. Era un'epoca di personalità forti nelle gerarchie: Anastasio Ballestrero guidava la Conferenza episcopale, Carlo Maria Martini ebbe il compito di presiedere il Convegno, e il primo relatore era Bruno Forte, oggi Arcivescovo di Chieti-Vasto. Viva e diffusa era la consapevolezza che una nuova epoca dovesse aprirsi: l'era della diaspora politica del cattolicesimo italiano, contrassegnata dalla decisione di «non dare più a nessuno deleghe in bianco». Veniva riconosciuto come compito urgente della Chiesa quello di divenire una coscienza vigile in un mondo sempre più complesso, decisa a servire il bene comune ma non più schierata. Questo significava autorizzare la diaspora del cattolicesimo, non puntare più sulla sua unità politica, accettarne la disseminazione in partiti anche contrapposti. Ad unire i cattolici non doveva più essere l'appartenenza partitica, ma l'ispirazione spirituale, etica. Su questa posizione erano profondamente d'accordo moltissimi Vescovi, a cominciare dai cardinali Martini, Ballestrero e Pappalardo, ma in un primo tempo non fu la loro linea che passò.

Erano contrari a essa i nostalgici del rapporto con la Dc che aveva dato tanta sicurezza, è vero, ma nel quale gli innovatori vedevano uno schema ormai imprigionante. Nel discorso che Giovanni Paolo II fece a Loreto sembrò che tra lui e i nostalgici ci fosse un'intesa di fondo, e la cosa non era stupefacente: il Papa aveva vissuto in Polonia le tribolazioni di uno scontro frontale tra potere ecclesiastico e potere politico, che non consentiva diaspore e scelte più spirituali. Tuttavia la sua libertà interiore era grande, e il Pontefice rimeditò i discorsi ascoltati. Dieci anni dopo, al Convegno Ecclesiale di Palermo del 23 Novembre '95, anch'egli prendeva le distanze dal collateralismo che aveva caratterizzato gli anni della Dc, e incoraggiava il formarsi di una diaspora politica del cattolicesimo: «La Chiesa - disse - non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l'una o per l'altra soluzione istituzionale o costituzionale, che sia rispettosa dell'autentica democrazia». Era un sì alla diaspora politica, non a una diaspora etica: «Ciò nulla ha a che fare con una "diaspora" culturale dei cattolici, con un loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede, o anche con una loro facile adesione a forze politiche e sociali che si oppongano, o non prestino sufficiente attenzione, ai principi della dottrina sociale della Chiesa sulla persona e sul rispetto della vita umana, sulla famiglia, sulla libertà scolastica, la solidarietà, la promozione della giustizia e della pace. E' più che mai necessario, dunque, educarsi ai principi e ai metodi di un discernimento non solo personale, ma anche comunitario, che consenta ai fratelli di fede, pur collocati in diverse formazioni politiche, di dialogare, aiutandosi reciprocamente a operare in lineare coerenza con i comuni valori professati».

Il gioco dei partiti

L'itinerario della nuova vita in diaspora non è concluso, né è scontato il vero rinnovamento. I nostalgici hanno il loro peso e le loro convinzioni, e questo li ha spinti negli anni scorsi ad appoggiare il centro-destra e Berlusconi, pensando di poter suscitare un nuovo referente politico. Il giudizio spesso duro espresso contro Prodi è frutto da queste convinzioni: in particolare quando il capo del centro-sinistra, in nome di un cristianesimo adulto, si pronunciò contro la scelta astensionista della Conferenza episcopale, nel referendum del 2005 sulla procreazione assistita. Il termine impiegato - cristiano adulto - fu biasimato. Ma Prodi non inventava nulla: la parola era stata usata già nel '65, ai tempi del Concilio Vaticano II. La costituzione pastorale Gaudium et Spes parla del «bisogno dei popoli di esercitare la loro libertà in modo più adulto e personale», e prospetta la «testimonianza di una fede viva e adulta, (...) opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle».
La diaspora tuttavia ha le sue insidie, le sue asperità. Prima insidia: la Chiesa può sentirsi invogliata a far politica in prima persona, intervenendo troppo pesantemente sul terreno dell'etica come se questo fosse un terreno che le è esclusivamente riservato. Come se in materia di nascita, morte, famiglia, uso della scienza, fosse lei a decidere quale sia l'interpretazione dell'articolo 7 della Costituzione, e cioè quel che spetta allo Stato e alla Chiesa (come se avesse lei «la competenza delle competenze», scrive lo storico Giovanni Miccoli nel libro In Difesa della Fede). Seconda insidia: il peso condizionante dei mezzi di comunicazione può trasformarsi in macigno, costringendo la Chiesa a mostrarsi sistematicamente molto più compatta e rigida di quel che in effetti è. Terza insidia: la Chiesa può sentirsi invogliata a non cercare una sintesi tra diverse culture, aprendo un dialogo diretto con la società e rivolgendosi prioritariamente ad essa, ma a imboccare la vecchia strada della sintesi ai vertici: tra politici e Chiesa, partiti e Chiesa, Stato e Chiesa. Sarebbe un ricadere nel passato, ma senza più reti di sicurezza. Sarebbe un conquistare potere, non autorità.

(2 - continua)

© Copyright La Stampa, 22 novembre 2007

Mi faccia un favore, cara Spinelli: dica ai Suoi cosiddetti interlocutori di uscire dalla tana dei conigli (con tutto il rispetto per questi deliziosi animaletti, rispetto che non si estende a certi "personaggi" ecclesiastici) e di mettere una faccia alle sciocchezze che dicono.
Come? L'anonimato consente loro di parlare chiaro? Enno'! L'anonimato permette semplicemente di insultare e di denigrare il Papa regnante a cui, se sono prelati, hanno giurato fedelta'. Se poi sono cardinali devono essere pronti a versare il sangue per il Pontefice e la Chiesa...
Io non so chi siano i suoi spifferatori, cara Spinelli. Nello scorso articolo, Lei parla di "esponenti della gerarchia ecclesiastica". Povera Chiesa...
Ossessioni? Pessimismo? No, miei cari, il Papa e' semplicemente realista. Non nasconde nulla ne' a noi ne', soprattutto, a se stesso.
La Chiesa non vive in una fortezza dipinta di rosa, non abita nel paese dei balocchi, ma sta nel mondo, con tutte le sue contraddizioni e la sua sporcizia. Si', cara Spinelli. La Chiesa sta nel mondo ma non deve essere del mondo, quindi non si puo' affermare che Papa Wojtyla "adattasse la Chiesa" ai tempi perche' questa e' un'accusa grave per un Pontefice. Il fatto che Papa Benedetto sembri piu' "fermo ed incisivo" non dipende da un cambio di rotta ma, probabilmente, da una "strategia" precisa e da un carattere mite, ma fermo, che non ama i giri di parole.
Papa Ratzinger non ha un compito facile: il Cristianesimo si e' indebolito, qualcuno pensa che essere Cattolici non significhi ascoltare il Magistero, altri confondono i Re Magi con la Befana...
C'e' tanto lavoro da fare, ma i risultati di vedono gia': mai come adesso intellettuali e giornali parlano di Cristo (nel bene e nel male), mai come in questo momento ci si interroga sui valori non negoziabili, mai come oggi risulta debole e sorpassato "il pensiero laicista" che attacca la Chiesa ed il Papa con argomentazioni futili e basate sul nulla. Non si "combatte" il lavoro di Papa Benedetto accusandolo di pessimismo o di essere troppo rigido. Suvvia! Si puo' fare di meglio :-)
Una cosa e' certa: ascoltando il Papa, comunque, si torna a casa con qualcosa in testa (magari non condividendo cio' che si e' sentito), leggendo certe argomentazioni cadono solo le braccia.
Un'altra parola sugli "interlocutori dalla bocca larga" della Spinelli: mi piacerebbe sapere chi sono.
Per quale motivo? Semplice! Vorrei sapere se, magari, sono gli stessi che, quando incontrano il Papa "pessimista ed ossessionato", rischiano costantemente la distorsione del ginocchio e la rottura dell'anca per la fatica di inginocchiarsi davanti a lui, passando anche per la lussazione della mandibola nel tentativo di baciare l'anello del Pescatore...sarebbe un giochino divertente :-))
Cari "esponenti della gerarchia", Cristo vi ha insegnato a nascondervi dietro l'anonimato o a manifestare con coraggio, fino alla morte, la vostra fede? O forse devo pensare che il nascondiglio vi garantisca la speranza di una promozione?
Ricordare che il cardinale Ratzinger ha scritto e detto cose scomode anche quando la Chiesa andava "a braccetto" con i media e che il cardinale Martini ha il coraggio di esporsi in prima persona, senza nascondersi e senza tramare alle spalle del Pontefice.
Ecco perche', nonostante le differenze, c'e' grande stima fra Benedetto XVI e Carlo Maria Martini.
Meditate, interlocutori, meditate... :-))

Raffaella

8 commenti:

mariateresa ha detto...

cara Raffaella, effettivamente l'anonimato delle interviste rende , per così dire, l'inchiesta un po' curiosa. Comunque, al di là dei nomi, è la solita analisi che viene presa per buona dalla sinistra ecclesiale. Anche se la sinistra ecclesiale ha sempre criticato Giovanni Paolo II, rimando ad esempio all'ultimo libro di Miccoli su questo punto, per lui i due papati sono in perfetta continuità e con gli stessi limiti. Comunque il punto più criticabile dell'articolo non mi sembra il confronto dei papi (e a dire il vero le parole di Gianfranco Brunelli mi sembrano un po' oscure, con il solito uso della parola "profetico" che comincia a seccarmi e che funge sempre da prezzemolo, ma che caspita vuol dire?)
E' che il papato attuale è visto solo in un contesto italiano e in relazione alle povere vicende italiane.Questa sì è un'ossessione.
Il modo di argomentare della Spinelli non è però dello stesso livello da pizzicagnolo di Maltese. Da laica si fa alcune domande e si dà le risposte più vicine alla sua mentalità, tratte dalle solite analisi del sinistrese cattolico, almeno in larga parte.
Ora io non credo affatto che il papa sia "ossessionato" da alcunchè (questo è un termine usato spesso da Politi, ricordate?), a me sembra un uomo molto equilibrato,semplicemente ha una sua visione e strategia ed è solito dire le cose direttamente,e senza fronzoli e senza perdere il sonno per le reazioni. E questo lo fa, secondo me,e per formazione e per convinzione.
C'è qualcosa anche di Sergio Romano nelle considerazioni della Spinelli. E questo a conferma che le categorie con le quali si analizza sui media questo papato sono sempre le stesse che girano da un commentatore all'altro, senza molti sprazzi di originalità e sempre in omaggio al contesto politico italiano.
Si può dire che è una barba ma si può anche dire che è un approccio molto limitato.
Inoltre qualcuno, pur su queste posizioni o giù di lì, come Miccoli ha almeno l'onestà di dire che questo papato non può essere analizzato facendo consuntivi perchè è troppo giovane.
Questa comunque non è un'inchiesta,sono considerazioni,pensieri,che probabilmente la Spinelli ha elaborato parlando con un po' di gente ,che a me sembra tutta dello stesso impasto culturale,senza offesa,e poi ha messo nero su bianco. Ma tutto l'impalcatura è debitrice alle analisi melloniane che ben conosciamo e che sono quelle che dominano sui giornali in condizioni di monopolio.
Insomma , a me sembra un editoriale a puntate.

Anonimo ha detto...

Cara Mariateresa,non posso che concordare con la tua analisi. Purtroppo siamo immersi negli stereotipi e nel luogo comune. Forse, quando certi giornalisti li supereranno, si potranno fare inchieste con nomi e cognomi.
Cosi' e' un po' troppo facile e non ci basta...:-)

malapenna ha detto...

So che alcuni dissentiranno ma non si possono continuamente paragonare due diverse personalità che hanno operato in diverse situazioni contingenti. Prima nei paesi dell'Est c'era il comunismo, c'era la Polonia a cui pensare (quale Italia!), l'attacco ai famosi principi non negoziabili (caro anche a Giovanni Paolo II) non si era ancora manifestato nei termini odierni, almeno nei paesi a maggioranza cattolica; non c'era ancora stato l'11 settembre nè l'11 marzo e mentre qualcuno si dedicava agli ampi orizzonti pastorali, ecumenici e profetici, qualcun'altro preparava le basi teologiche per mea culpa e rapporti coi fratelli ebrei, scriveva i "rigidi" documenti dottrinali e la Dominus Jesus. E alle "ingerenze" nelle questioni italiane ci pensava Ruini.
L'unica differenza che personalmente percepisco è che prima "la faccia" ce la mettevano in tanti, ora pare esserci solo quella del "pastore tedesco". Grazie per l'informazione continua che fornisci, Raffaella.

paola ha detto...

E' incredibile questo continuo paragone tra due persone comunque legate tra loro e tra cui c'è continuità,ma ancora più incredibile è questo ostinarsi a tacciare di pessimismo Benedetto xvi: le parole che più frequentemente usa sono gioia,amicizia,bellezza e tutto il suo aspetto esprime serenità quasi incredibile tenendo conto del compito inaudito che si ritrova sulle esili spalle in tale contesto storico. Probabilmente molti non sono in grado di cogliere il pensiero raffinatissimo di questo pontefice o semplicemente cercano di distorcerlo perchè spiazzati dal seguito che ha paradossalmente proprio tra i semplici.Paola

mariateresa ha detto...

Credo che malapenna abbia ragione.
Ora c'è solo la faccia di papa Benedetto . E' un fatto anche di personalità forte, non c'è dubbio. Tutti sembrano sbiadire a confronto, almeno per i media è così. Provate a chiedere in giro chi è l'attuale Prefetto della fede e segnatevi chi sa rispondere. La vostra biro non consumerà una goccia di inchiostro.

Antonio Candeliere ha detto...

Concordo con Mariateresa.

euge ha detto...

Anch'io concordo con malapenna soprattutto su un paio di cose: la prima più evidente è il riferimento alla situazione dei paesi dell'est, il comunismo e la situazione polacca; la seconda il fatto che l'attacco ai principi non negoziabili, erano cari a Giovanni Paolo II tanto quanto sono cari a Benedetto XVI peccato però e questo mio pensiero l'ho già espresso in altri miei interventi, che molti fra cui questi " superbi giornalisti " estremamente saccenti nel fare paragoni, ricorderanno Giovanni Paolo II, soltanto come il Papa del gioco, del Papa che ballava e cantava e che come ricordava un'attrice tempo fa in televisione, il Papa che ballava la samba!!!! Che Campioni!!!!!! Inoltre, sono d'accordo con malapenna che mentre c'era chi girava il mondo, in Vaticano c'era chi preparava le encicliche, chi prendeva improperi dalla stampa perchè diceva la verità e la scriveva sui temi più caldi della morale del valore della vita e quant'altro e poi c'era chi alla presidenza della CEI, c'era chi con le sue ingerenze come dice malapenna, cercava di far capire agli italiani l'importanza dei valori come il rispetto della vita umana ed il valore della vita vissuta alla luce della fede. Poi se la stampa attaccava Giovanni Paolo II, arrivava il solerte direttore della sala stampa vaticana Navarro Valls. Adesso è tutto cambiato adesso è il cattivo e perfido Benedetto XVI che impone la rigida visione della moralità e dei valori non negoziabili però ora non c'è nessuno che prepara documenti efficaci alla CDF e non c'è pronto Navarro Valls a smontare i paradossali articoli di certi giornalisti contro il Papa ...... No perchè benedetto XVI oltre a mettere il cuore e tutta la sua energia in quello che fa ci mette anche la faccia ..... come è successo nel dopo Ratisbona è lui che davanti ai microfoni di quell'Angelus che non dimenticherò mai da Castel Gandolfo ribadì con voce ferma il vero significato di quel discorso senza chiedere scusa a nessuno perchè non c'era nulla di cui scusarsi. Cari giornalisti ancora una volta dobbiamo constatare con immenso dispiacere che di Benedetto XVI non avete compreso il vero valore ( peggio per voi ) ma, ancor più doloroso è l'ostinazione cieca e deprecabile di continuare con dei paragoni che non hanno senso: primo perchè le e poche erano diverse, secondo perchè ognuno è se stesso e non sempre è indispensabile dare spettacolo per essere seguiti ( le persone che credono lo spettacolo mediatico indispensabile per catturare cervelli sono dei superficiali senza speranza) e poi per noi che siamo credenti almeno io parlo per me, ogni Papa è giusto al momento giusto e sinceramente in questo laicismo, relativismo dilagante anche nella chiesa, Benedetto XVI è la persona giusta al momento giusto.
Grazie malapenna per il tuo intervento.
Eugenia

euge ha detto...

aggiungo un'ultima cosa da dire ai giornalisti.......... non pensate che ricordare Giovanni Paolo II come il Papa giocarolo sia onorevole. Purtroppo, anche nel caso di Giovanni Paolo II, la vostra capacità presunta di capire la personalità ed il valore di un Papa ha fatto cilecca miseramente.