7 aprile 2008

Ratzinger e Wojtyla secondo Andrea Riccardi (Rodari)


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Di Paolo Rodari

Oggi non è un giorno qualunque per la Comunità di Sant’Egidio. Quella che, riprendendo una felice intuizione coniata nel 1995 da Igor Man, è conosciuta come l’Onu di Trastevere festeggia oggi pomeriggio il quarantesimo anniversario di vita E per l’occasione ospita la visita di Benedetto XVI.
Il Papa è atteso alla basilica di San Bartolomeo sull’isola Tiberina, per volere di Giovanni Paolo II dal 2002 santuario in memoria dei martiri del nostro tempo affidato a Sant’Egidio. Ad accoglierlo ci sarà Andrea Riccardi, fondatore della Comunità. Ratzinger è atteso 24 ore dopo l’annuncio dell’uccisione di un altro sacerdote siro-ortodosso a Bagdad, padre Youssef Adel. La basilica di San Bartolomeo contiene le reliquie di tanti martiri: del vescovo Oscar Arnulfo Romero, del cardinale Posadas Ocampo, del pastore evangelico Paul Schneider, del contadino Franz Jägerstätter, del monaco e guida spirituale Sofian Boghiu, di don Andrea Santoro e don André Jarlan.
«Il Papa - spiega Riccardi - entrerà in Chiesa preceduto dalla croce che fu di padre Giuseppe Puglisi, il prete-martire di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993». Racconta Riccardi: «È il martirio a ricordarci che il cristianesimo è una cosa seria e a non farci dimenticare che sono esistiti uomini pacifici, miti, che hanno attirato su di sé tanto odio. Il cristianesimo, infatti, sfida il male, ma nonostante lo faccia senza impugnare armi c’è chi deve cadere come vittima innocente».
Prima di Benedetto XVI, era stato Wojtyla a visitare più volte la Comunità. E così ecco la più classica delle domande: meglio Wojtyla o Ratzinger? Riccardi non si esime dal rispondere: «Vorrei liberarmi da questo vezzo dei cattolici per cui il Papa migliore è sempre il Papa morto. Mi ricordo, infatti, le opposizioni e le critiche che suscitò Giovanni Paolo II. Mi ricordo Paolo VI di cui parlavano male tutti. Poi, dopo che venne eletto Wojtyla, Montini era ritornato a essere il migliore… Ratzinger è un Papa che conosco da tempo. Wojtyla di lui disse: “È l’ultimo grande teologo del Concilio”. Credo che non si possa fare la storia del pontificato wojtyliano senza fare la storia di Ratzinger: è un capitolo del pontificato di Giovanni Paolo II. Disgiungere le due figure sarebbe un grave errore. Certo, noi siamo legatissimi a Wojtyla. Abbiamo un grande debito nei suoi confronti: è tutta la fiducia che ha avuto in noi che ci ha fatto crescere».
Una fiducia che ha spinto Sant’Egidio a varcare i confini di Roma e ad adoperarsi per la pace e in tante opere di carità in diversi paesi del mondo. E poi le tante iniziative diplomatiche messe in campo con successo un po’ ovunque. Tanto che qualcuno, poco tempo fa, paventava addirittura una possibile nomina di Riccardi a ministro degli esteri italiano. Niente da dire in proposito. Riccardi ricorda soltanto che «il lavoro diplomatico è una piccola parte dell’opera di Sant’Egidio». E ancora, a chi sostiene che Sant’Egidio svolga un’attività diplomatica parallela a quella della Santa Sede, spiega che «sì, il nostro è un lavoro parallelo a quello del Vaticano». E ancora: «È logico che sia così: non siamo il Vaticano ma vogliamo lavorare per il bene della Chiesa e la pace nel mondo laddove possiamo. Non siamo pacifisti ma pacificatori. Crediamo nella pace preventiva. Una volta che il conflitto scoppia si devono pagare prezzi enormi: l’“inutile strage” definì la guerra papa Giacomo della Chiesa; l’“avventura senza ritorno” disse Giovanni Paolo II».
Le capacità diplomatiche di Sant’Egidio sono state riconosciute in tutto il mondo. Recentemente anche da George W. Bush, quando in occasione della sua visita in Italia e in Vaticano, è Sant’Egidio che volle avvicinare direttamente: «Quando Bush venne da noi - dice Riccardi - aveva appena incontrato Benedetto XVI e ne era entusiasta». I due si rincontreranno a breve, in occasione della visita del Papa negli Usa. Dice Riccardi: «La visita ha tre appuntamenti clou. Il discorso all’Onu: dopo Paolo VI nel 1964, è una tappa che ogni Papa deve affrontare. L’incontro con l’“imperatore”, ovvero con Bush. Infine l’incontro coi vescovi degli Stati Uniti: il cattolicesimo “made in Usa” sta cercando di ritrovare una terza via che gli faccia superare le derive di un revival in stile evangelico e quelle di un cristianesimo troppo “liberal”».
Gli Stati Uniti hanno un modello di laicità aperta: le voci delle diverse religioni e chiese sono ascoltate, un modello che sembra piacere a Ratzinger. Anche in Italia, comunque, i cattolici hanno un tipo di presenzialismo nella società non omogeneo. Dice Riccardi: «Non credo al “one catholic way”, all’unico modello di presenza dei cattolici nella società. Credo che una delle ricchezze e delle caratteristiche dei cattolici italiani sia sempre stata quella delle diverse strade. Certo, alla base occorre vi sia una profondità di fede per tutti e il desiderio della comunione: le inimicizie e gli odi teologici non portano da nessuna parte».
Riccardi parla di come sia importante che l’Italia ascolti la voce della Chiesa e, insieme, che la stessa Chiesa non abbia timore a parlare: «L’Italia - dice - è un paese in profondo declino. Sono contento della vittoria di Milano su Smirne ma ciò non cambia la situazione. Con tutto rispetto per la Turchia, ci mancherebbe anche che Milano avesse perso con Smirne. La crisi abbraccia la politica e molti altri settori. Penso alla scuola. Quando, come è successo a Bari, accade che vi sia chi compra gli esami facendo di fatto entrare la prostituzione all’interno di uno spazio sacro - una prostituzione che è peggio di Tangentopoli - allora mi domando: a cosa serve l’Italia e per che cosa debbono vivere gli italiani? Un etos nazionale senza senso d’identità, muore».

© Copyright Il Giornale, 7 aprile 2008 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari

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