12 luglio 2008

Prof. Violini (diritto costituzionale): «Il consenso di Eluana non è provato». Il padre: «Faremo in fretta» (Nava e Lambruschi)


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diritto costituzionale

«Ma il consenso non è provato»

Lorenza Violini: su stato di irreversibilità del coma e scelte del paziente non si può decidere solo in base al responso medico e al concetto di volontà presunta

DA MILANO ILARIA NAVA

«È in atto una degiuri­dicizzazione della vita e della morte» secondo Lorenza Violini, ordinario di diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano. Il provvedimento della Corte d’Appello di Milano - pronunciatasi a seguito di una sentenza della Cassazione dell’ottobre scorso, che aveva rinviato il fascicolo ad una diversa sezione della stessa Corte - ne è il risultato.

Professoressa Violini, ci spieghi meglio questo concetto.

La Corte di Cassazione, nel rinviare la causa alla Corte d’Appello, aveva dettato degli standard di prova molto rigorosi, che la Corte ha cercato di applicare. Si trattava di accertamenti tecnici sulla situazione di fatto molto precisi, davanti ai quali il giurista è obbligato a fare un passo indietro.

In che senso?

Ad esempio, uno dei requisiti prevedeva che si accertasse lo stato di irreversibilità. Ma questo è possibile solo in sede medico legale, attraverso una consulenza tecnica nel corso del processo. Tutto viene demandato solo ed esclusivamente alla scienza medica, che, come sappiamo, non è una scienza esatta, e può risentire delle diverse valutazioni valoriali.

Qual è il problema, quindi?

Se la scelta tra mantenere o togliere la nutrizione dipende dall’accertamento dell’irreversibilità, e dal giudizio che ne danno i medici, allora c’è il rischio che vengano meno le garanzie offerte dal diritto.
Se il criterio è questo, mi chiedo se presto non si arriverà a lasciare tutte queste decisioni in mano ai medici.

La Cassazione però aveva prescritto anche di ricostruire la volontà della paziente.

La Suprema Corte era stata molto rigorosa nel richiedere l’accertamento della volontà, ossia che cosa Eluana avrebbe deciso di fare se si fosse trovata in uno stato di coma. I giudici avevano utilizzato un linguaggio molto pesante nel richiedere questo accertamento, prescrivendo che la volontà della persona fosse provata in maniera univoca e indubitabile.
Tuttavia aveva introdotto anche principi meno rigorosi, affermando che il 'consenso' per interrompere un trattamento indispensabile per il mantenimento in vita possa ritenersi validamente prestato anche se intervenuto molto tempo prima del sopraggiungere dello stato di incoscienza, ma soprattutto che sia possibile desumere tale consenso da elementi tutt’altro che oggettivi, come lo stile di vita e la personalità.

La Cassazione però non parlava di un diritto di morire, giusto?

No, anzi lo escludeva, anche perché sarebbe in contraddizione con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Tuttavia il rischio è che il diritto a morire venga affermato nei fatti.

La Corte d’Appello come ha applicato questi principi?

A questo proposito vorrei fare due osservazioni.
Innanzitutto ci terrei ad evidenziare che anche lo standard di prova più rigoroso può essere applicato in modo blando dai tribunali. Senza entrare nel merito di come hanno agito i giudici di Milano, mi pare importante verificare questo requisito. In secondo luogo vorrei esprimere una considerazione più generale, che riguarda il concetto di volontà presunta. La volontà di un soggetto si presume in molti casi ove si tratti di compiere delle scelte di tipo economico. Mi pare veramente difficile poter applicare una presunzione a una scelta così radicale come quella circa la propria vita e la propria morte. Questi sono fatti, eventi che accadono, che sono dati. E una civiltà giuridica che si rispetti dovrebbe in primo luogo rispettare ciò che è dato.

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

Concordo al cento per cento.
R.

ETICA E GIUSTIZIA

Secondo alcune fonti sarebbe già stato individuato l’hospice dove trasferire la ragazza e un medico disposto ad assisterla

Il padre: «Faremo in fretta, pronto a togliere la sonda»

Beppino Englaro non cambia idea: non aspetterò il ricorso della Procura. Interesse di Eluana è interrompere il trattamento

Paolo Lambruschi

DA MILANO

La famiglia ha fretta di staccare il sondi­no che alimenta Eluana. E non intende aspettare la decisione della Procura ge­nerale di Milano che potrebbe impugnare il decreto col quale la Corte d’appello civile ha autorizzato la sospensione dei trattamenti vi­tali della giovane. Lo ha reso noto ieri uno de­gli avvocati degli Englaro, Vittorio Angiolini, aggiungendo che l’interruzione dell’alimen­tazione avverrà «in modo chiaro e controlla­bile dall’opinione pubblica». Intanto nella casa di cura lecchese «Beato Ta­lamoni », dove è stata ospitata e curata in que­sti anni, le suore Misericordine, chiuse in un rispettoso silenzio, aspettano con angoscia la telefonata che annuncerà la partenza della ra­gazza verso l’ultima destinazione. L’altro gior­no avevano scritto al padre sul sito della dio­cesi di Milano di lasciare la giovane a loro, per­ché dopo tanti anni di cure la considerano u­na sorella. Niente da fare, la generosa offerta non è stata neppure presa in considerazione. «La sentenza ha carattere esecutivo», spiega u­na nota diffusa dal legale. Quindi, in qualità di tutore, il padre Beppino Englaro ha dichia­rato di aver valutato con la curatrice speciale avvocata Franca Alessio, che «l’interesse di E­luana comporti il disporre l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale artificiale in at- to, quale è stata autorizzata e di cui si sta va­lutando l’attuazione nel più rigoroso, pieno e trasparente rispetto di ogni direttiva e indica­zione espressa in sede giurisdizionale». En­glaro non ha cambiato idea e non ha esita­zioni, si dichiara «lucido e deciso». Aggiun­gendo che «non sarebbe un problema» se do­vesse essere lui a fermare l’alimentazione al­la figlia, nonostante la sentenza permetta sia un medico a farlo.
E intanto sarebbe stato individuato anche il luogo dove tutto ciò dovrebbe avvenire. Se­condo alcune agenzie si tratterebbe dell’ho­spice di Airuno, vicino a Lecco, che non a­vrebbe opposto pregiudiziali. Secondo la cu­ratrice Franca Alessio, la struttura «si è detta disponibile nei modi e nei tempi che la situa­zione, delicata e dolorosa, prevede». E a com­piere l’ultimo atto potrebbe essere Carlo Al­berto Defanti, ex primario di neurologia al Ni­guarda di Milano, oggi in pensione, che assi­sterà Eluana nel suo cammino verso la mor­te.
«Che ci sono strutture è nella sentenza – ha ag­giunto ieri Englaro – noi ci stiamo preoccu­pando solo di come fare meglio». La famiglia si è detta «stupita» dalle polemiche. «Pensavo – ha affermato l ’uomo – che ci sarebbe stato meno clamore: il caso è limpido, tutto è defi­nito. Tutti quelli che parlano non hanno letto le due sentenze. La nostra intenzione è chia­ra: stiamo valutando come muoverci al me­glio ». L’uomo ha quindi richiamato stampa e mez­zi di informazione «all’esigenza di rispetto del­la riservatezza dovuto per il mantenimento della dignità personale di Eluana, in relazio­ne allo stato in cui si trova e ai suoi personali convincimenti come giudizialmente accerta­ti ». Englaro ha evitato di polemizzare con Ric­cardo Massei, il primario della Rianimazione dell’ospedale di Lecco che ha curato la don­na subito dopo l’incidente, rimasto in con­tatto da allora con la famiglia. Massei ha ri­badito che non l’aiuterà a morire, spiegando l’altro giorno in un comunicato che un ospe­dale è un luogo di cura. «Non abbiamo mai affrontato la questione con lui, ma fra di noi non ci sono stati fraintendimenti» ha sottoli­neato Beppino Englaro dopo un colloquio te­lefonico con il primario. Infine ha affermato che la famiglia non vuole fare della vicenda un apripista. «Il suo è un caso talmente estre­mo – ha osservato il papà – che la sentenza del­la Cassazione è una sorta di legge ad perso­nam ».

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

ENGLARO/ IL PADRE: SARA' DEFANTI MEDICO CHE AIUTERA' ELUANA A MORIRE

La mia angoscia non farla morire. Valutiamo hospice Airuno

Milano, 12 lug. (Apcom) - Il professore che aiuterà Eluana Englaro a morire sarà Carlo Alberto Defanti. Per papà Beppino questa, forse, in 16 anni di battaglie, è l'unica certezza che non è mai venuta meno. "Defanti è stato il primo interlocutore clinico con cui ho potuto parlare di libertà di cura. E' stato il primo interlocutore che mi ha dato la speranza", ha detto parlandone come se fosse la cosa più scontata di questo mondo. "Senz'altro sarà Defanti - ripete al telefono con insistenza - se ci sarà un medico che aiuterà Eluana a morire sarà lui. Lui è sempre stato al fianco di Eluana in questi anni. Tutte le perizie le ha fatte lui. Non è mai stato in dubbio il suo ruolo". Qualche incertezza resta invece sulla struttura che dovrà accogliere Eluana nella sua ultima fase di vita, dopo che le verrà tolto il sondino. "Stiamo valutando in queste ore" dice il padre che pure non esclude possa essere l'hospice di Airuno, in provincia di Lecco. "La struttura di Airuno, dal momento che sto valutando, la prendo in considerazione - spiega - E' una struttura che ha dato la disponibilità. Io mi riservo di valutare. Al momento è l'unica che si è detta disponibile. Ma questo non è un mercato".
Nonostante la richiesta di riservatezza, chiesta ieri tramite il suo legale, Vittorio Angiolini, il signor Beppino accetta ancora una volta di parlare della sua battaglia, determinato come è a portarla a termine. Se gli si chiede della paura, legittima, che potrebbe accompagnare lo stacco del sondino, salta come sui carboni ardenti: "Io avrei paura a non farlo - ribadisce perentorio - è la mia angoscia quella di non fare la volontà di Eluana. La libertà è nel dna delle tre persone che fanno parte della nostra famiglia. E' una follia umana pensare che qualcuno possa decidere per noi".
Ecco perché in tutti questi anni, dal 1992 quando sua figlia rimase vittima dell'incidente, si è battuto in lungo e in largo per trovare medici e avvocati che potessero aiutarlo a vedere riconosciuti "i principi di diritto di ogni cittadino italiano". "Eluana - dice - ha avuto tutto il possibile, noi le abbiamo dato la voce. Abbiamo cercato di dialogare con i medici, ma questo dialogo non c'è mai stato, ce lo hanno sempre negato". Finché non ha incontrato il professor Defanti, già responsabile del reparto neurologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo, docente della Università Vita-Salute del San Raffaele di Milano, presidente della Consulta Bioetica di Milano, colui che dal 1995 ha curato tutte le certificazioni necessarie per ottenere la sospensione del mantenimento artificiale di Eluana.
"Io ho conosciuto Defanti il 5 dicembre 1995 quando mi sono rivolto a lui come paziente - racconta Beppino - Ai tempi era presidente della Consulta Bioetica di Milano ed era neurologo presso gli ospedali riuniti di Bergamo. E' stata la prima persona che ha capito la volontà di Eluana, visto che prima di lui il professor Riccardo Massei, a cui mi ero rivolto, mi aveva detto che per nessuna ragione al mondo mi avrebbe aiutato. Ma per quanto abbia agito al massimo livello l'epilogo delle sue cure è stato il più infausto. Defanti, invece, è stato il primo interlocutore clinico con cui ho potuto parlare di libertà di cura".
Attraverso l'aiuto di Defanti e di altri membri della consulta bioetica, come l'avvocato Maria Cristina Morelli e il magistrato Amedeo Santososso, che Beppino cita a più riprese, è riuscito a certificare l'irreversibilità dello stato vegetativo in cui versa sua figlia, da qualche giorno riconosciuto anche dalla sentenza dalla Corte di Appello civile di Milano. "Nella consulta c'erano giuristi, medici ed è da loro che è nata l'idea di nominare me come tutore - prosegue nel suo racconto -. Solo che poi per poter procedere nel rispetto della volontà di Eluana servivano delle certificazioni. Allora nel 1996 abbiamo trasferito Eluana per 10 giorni presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo per la prima certificazione".
La determinazione del papà di Eluana emerge dalle sue parole, sempre rigorose, talvolta tecniche. "Io in tutti questi anni sono stato costretto ad approfondire e a informarmi per aiutare mia figlia a morire perché la morte fa parte della vita e questo tra noi era un patto tacito - spiega -. Ho anche partecipato ad un gruppo di lavoro della consulta, il gruppo 'Vita, morte e persona' diretto ad interim dal professor Defanti da cui è nata Bio card, la carta dell'autodeterminazione". La stessa che anima il signor Beppino nella sua battaglia. "Io ho perso mia figlia - dice - il 18 gennaio del 1992. Ma sono stato condannato a vivere una tragedia nella tragedia per avere accesso ai principi di diritto che mi riconosce la Costituzione". "Ho dovuto aspettare 5.750 giorni - conclude amareggiato - per vedere i principi di diritto di mia figlia allineati al dettato costituzionale".

© Copyright Apcom

Non voglio esprimere giudizi ma e' quantomeno singolare che si continui ad invocare la riservatezza e poi, senza sosta, si contattino i giornalisti per offrire particolari sulla struttura ospitante, sul nome del medico che assistera' Eluana (la notizia e' di poco fa) e si facciano continue polemiche.
Se riservatezza deve essere, che valga per tutti
.
R.

MONSIGNOR NEGRI

Laicismo, tecnoscientismo e anticattolicesimo sono alla base di questa decisione

«La magistratura si è autoinvestita di essere il soggetto etico e culturale supremo, indiscusso e indiscutibile della vita sociale». Lo ha detto monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, che sottoscrive le parole di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontifica Accademia per la Vita, «nella denuncia rigorosa che si tratti ormai di un ingresso dell’eutanasia nell’ambito della società italiana» per la vicenda di Eluana Englaro. «Rimane chiaro che quello che è stato deciso dal Tribunale di Milano è un attacco al mistero della vita, alla sua sacralità», ha detto Negri.
«Ma l’aspetto più inquietante – ha aggiunto – è quello che non emerge: decisioni di questo tipo ormai sono prese dalla magistratura. Non ci si rende conto che la democrazia può finire per questo potere della magistratura di intervenire a ogni livello della vita sociale senza alcuna verifica delle sue decisioni, mostrando, nella maggior parte dei casi, che i principi di queste decisioni, come nel caso di Eluana, sono principi che risalgono alla più radicale mentalità laicista, tecnoscientifica e quindi anticattolica».

© Copyright Avvenire, 12 luglio 2008

2 commenti:

Anonimo ha detto...

scusatemi, ma io sono un semplice, e vorrei un chiarimento:

privare degli alimenti e della necessaria idratazione una persona - anche se attualmente incapace di intendere e di volere - al fine di provocarne la morte per disidratazione, si chiama eutanasia o - più semplicemente - OMICIDIO?

e come va chiamato colui che metterà in atto tale "procedura"?

Luigi

MANTELLATE ha detto...

Anche per me è omicidio e la cosa tragica è che mentre il padre parla di rispettare la riservatezza, poi parla di stampa, giornali...Non so. Mi pare che ci sia una grande fatica a chiamare le cose con il loro giustonome...