25 luglio 2008

A un anno dalla lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi il cardinale Zen racconta come vive la Chiesa del suo Paese (Tracce)


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Parla il cardinale Zen

Si può vivere così anche in Cina

Riccardo Piol

A un anno dalla lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi (e alla vigilia delle Olimpiadi che metteranno Pechino al centro del mondo), il vescovo di Hong Kong racconta come vive la Chiesa del suo Paese. Tra molte sofferenze. E una grande speranza

Si può vivere così anche in Cina?

«Ma certo, certo che si può!!»

Il cardinale Joseph Zen Ze-kiun quasi non crede alle sue orecchie e prima di rispondere ripete per capire se ha sentito bene, se davvero gli ho chiesto: «Oggi in Cina si può essere cristiani?».

Mi guarda per un attimo sopra le lenti, tra lo stupito e il perplesso, poi riprende a parlare. E fedele al titolo del libro-intervista che ha presentato alla Fiera del libro di Torino, risponde «Senza diplomazia».
Perché una delle caratteristiche più note e spesso criticate del vescovo di Hong Kong è la schiettezza. Dice che «parlare con franchezza è un dovere importante, perché se la verità non viene conosciuta nessuno può aiutare questa realtà molto complessa». E allora, senza troppi giri di parole, dice quel che pensa sulla sua Cina e sulla situazione attuale dei dodici milioni di cristiani - l’1% della popolazione - che ci vivono. E che occupano un posto particolare nel cuore di Benedetto XVI: dalla famosa lettera del maggio 2007, al recente accenno papale alle prossime Olimpiadi («un evento di grande valore per l’umanità»), fino alla Preghiera a Nostra Signora di Seshan, scritta per la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina del 24 maggio scorso, l’ultimo anno è stato contrassegnato da riferimenti continui del Papa alla patria del cardinale Zen. Con risposte ondivaghe da parte del Governo di Pechino.

Stando alle cronache si rimane un po’ confusi. In Vaticano l’Orchestra Filarmonica di Pechino tiene un concerto in onore del Papa e tutti parlano di apertura. Poi dalla Cina arrivano notizie del divieto imposto ai fedeli che vogliono andare in pellegrinaggio ai santuari mariani del Paese. Come si spiegano segnali così contrastanti?

È una situazione complessa. Si tratta di iniziative diverse che riguardano livelli diversi. Ora si può indovinare che gli atti di avvicinamento e apertura, come il concerto, vengano più dall’alto del governo cinese, dai responsabili della politica estera, probabilmente. Mentre le opposizioni e i divieti vengono dal livello dell’Associazione Patriottica e dell’Ufficio degli affari religiosi, che controllano la Chiesa ufficiale e sorvegliano quella clandestina: in questi anni stanno lavorando in senso molto negativo. Senza nulla togliere al gesto di amicizia del concerto, bisogna sapere che ci sono anche molti segni negativi. Il 24 maggio era il giorno della Madonna Ausiliatrice e il Papa ha invitato tutti a pregare per la Chiesa in Cina. Io sono di Shanghai e salesiano, per cui ho lanciato l’idea di un grande pellegrinaggio della comunità di Hong Kong al grande santuario di Sheshan, nella mia città natale. Subito dal governo ci hanno fatto sapere che non vedevano bene la cosa. Allora noi, per non generare confusione, abbiamo ritirato il progetto senza tragedie. Il problema però è che anche nella Cina continentale sono stati vietati i pellegrinaggi. Un sacerdote della Chiesa clandestina ha fatto sapere a suo fratello che vive a Taiwan che dal 1° maggio è tenuto d’occhio 24 ore su 24: una sorveglianza talmente stretta che un giorno i suoi controllori gli hanno impedito di uscire di casa per andare a fare la spesa e sono andati al mercato loro. È il colmo della limitazione della libertà, inspiegabile se non come un atto di boicottaggio. C’è chi dice che non sia piaciuto l’invito a pregare che il Papa ha rivolto nella sua lettera. Dicono: «Perché pregare per la Cina? Abbiamo dei problemi? Qui tutto va bene».

A un anno dalla lettera del Papa ai cattolici cinesi la situazione, quindi, fatica a cambiare?

Le cose non sono cambiate molto, ma forse io sono troppo impaziente. E la situazione che permane da tanti anni non è facile che cambi in un attimo. Comunque noi non abbiamo una carta più forte della lettera del Papa; e anche se io, tra pazienza e impazienza, penderei di più per la seconda, bisogna lasciare che passi del tempo. Alla lunga porterà i suoi risultati.

Ma come è stata accolta la lettera?

Contrariamente a quello che ci si aspettava, il governo non ha criticato subito violentemente la lettera, che gli era stata anche mandata in anticipo. Il giorno della pubblicazione la si poteva addirittura scaricare da internet; solo il giorno dopo è stato impossibile. Però ci si aspettavano reazioni immediate e più forti.

E la comunità cattolica, come ha reagito?

C’è stato un grande entusiasmo soprattutto tra i preti più giovani. Hanno promosso anche seminari di studio e incontri. Poi, però, è arrivata la reazione dell’Associazione Patriottica e dell’Ufficio degli affari religiosi: hanno cominciato a lamentarsi, hanno convocato sessioni di indottrinamento per i fedeli e i sacerdoti della Chiesa ufficiale che controllano. Dispiace non abbiano apprezzato la sincerità e l’amicizia del Papa, ma forse ero troppo ottimista nel pensare non si verificasse questa resistenza. Il controllo del governo sulla Chiesa è inimmaginabile, è stretto e totale. Non parlo solo delle nomine dei vescovi senza l’approvazione di Roma, ma anche della vita della Chiesa stessa. Per esempio: la Conferenza episcopale è convocata dagli organi del governo ed è una specie di farsa. Per i vescovi e i sacerdoti è una schiavitù ed un’umiliazione continua a cui è difficile sottrarsi.

Nella lettera il Papa invita la Chiesa cinese all’unità. Viste le divisioni causate e sostenute dal governo tra la Chiesa ufficiale e quella clandestina, è possibile che questa riconciliazione avvenga?

La Chiesa in Cina è una. Quasi tutti i vescovi più anziani non regolari [nominati senza l’approvazione di Roma; ndr] hanno chiesto al Papa di essere legittimati sapendo di essere contro l’unità della Chiesa. Quasi tutti vescovi sono con il Santo Padre. In questo momento però è importante non fare confusione e distinguere le due cose: l’invito alla riconciliazione da un lato e il problema dell’inserirsi o no nella struttura ufficiale del governo dall’altro. Ciò a cui siamo chiamati oggi è la riconciliazione degli spiriti e dei cuori, dal momento che sia i membri della Chiesa clandestina sia quelli della Chiesa ufficiale hanno capito che la Chiesa è universale e che il Papa è il padre comune di questa grande famiglia. Unirsi anche sotto la stessa struttura è tutta un’altra questione. Siccome la Chiesa ufficiale è strettamente controllata e il governo non sembra aver cambiato la politica religiosa, allora non è il momento per i fedeli della Chiesa “sotterranea” di venire allo scoperto, perché vorrebbe dire rinunciare a quella piccola libertà che hanno nella clandestinità. Vorrebbe dire consegnarsi al controllo del governo.

Sentendola parlare di clandestinità, Chiesa “sotterranea”, controllo, viene da chiedersi: ma si può essere cristiani in Cina oggi?

Certo, certo che si può! La situazione non è di completa libertà, ma si può essere cristiani. Abbiamo sofferto tanto e soffriamo ancora. Ma la storia della nostra Chiesa è piena di testimoni che hanno dato la loro vita per la missione e per comunicare la fede. Guardare a loro, a quelli più lontani nella storia e a quelli più recenti, è il punto di forza delle nostre comunità. E poi c’è un altro aspetto...

Quale?

L’ho detto al Papa alla prima riunione della Commissione per la Chiesa in Cina: «I comunisti hanno paura della Madonna di Fatima perché è “anticomunista”. Ma loro non sanno che la Madonna ausiliatrice è più potente e battagliera: ha fatto vincere a Lepanto e a Vienna!». Io prego perché ci sostenga e illumini i nostri dirigenti, perché possano capire che il nostro Paese, insieme al progresso economico, ha bisogno anche del progresso dello spirito.

© Copyright Tracce, giugno 2008

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